Garlasco, c’era anche una donna accanto al cadavere di Chiara Poggi: i pm danno la caccia alla complice
- Postato il 25 agosto 2025
- Di Panorama
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Quando il 13 agosto 2007 Chiara Poggi venne brutalmente uccisa nella villetta di via Pascoli a Garlasco, il killer non era solo. È questa l’ipotesi che sostiene la nuova inchiesta della procura di Pavia, che vede ora indagato per concorso in omicidio con ignoti Andrea Sempio, amico del fratello della vittima. L’idea che quel giorno nell’abitazione ci fossero più persone non nasce dal nulla: a suggerirlo sono nuovi accertamenti ancora coperti dal massimo riserbo, ma anche elementi mai del tutto valorizzati nelle centinaia di pagine della vecchia inchiesta, come riportato da Il Tempo. Tra questi indizi, il più clamoroso porta alla presenza di una donna sulla scena del delitto.
I tre profili genetici senza identità
Nei fascicoli d’indagine dell’epoca sarebbe infatti emerso un profilo genetico femminile, che non apparteneva a Chiara Poggi. Lo conferma quanto scritto nella relazione biodattiloscopica del 2007 redatta dal Ris di Parma. In quel documento, i reperti riconducibili alla vittima venivano classificati con l’etichetta «vittima», mentre quelli sconosciuti finivano sotto la voce «profili X». Fra questi, tre sono rimasti senza identità: il reperto numero 57, prelevato dalla «maniglia porta a soffietto» della cantina; il numero 59, trovato sulla «leva miscelatore bagno»; e il numero 60, raccolto dalla «maniglia porta di ingresso».
Quegli stessi reperti vennero acquisiti dai carabinieri nelle prime ore dell’indagine, sotto il coordinamento del generale Luciano Garofano. Proprio lui, oggi consulente di Andrea Sempio e spesso volto televisivo in qualità di “memoria storica” del caso, aveva seguito in prima persona quei sopralluoghi. I campioni furono raccolti da punti chiave della scena: la porta a soffietto della cantina, dove era stato trascinato il corpo di Chiara; il rubinetto del bagno, luogo in cui – secondo le sentenze che hanno condannato Alberto Stasi – l’assassino avrebbe tentato di ripulirsi dal sangue; e infine il portone d’ingresso, che il killer richiuse alle proprie spalle prima della fuga. Sullo sfondo rimane anche un’ulteriore traccia, l’«impronta 10», lasciata da uno degli aggressori durante la fuga.
Perché quel Dna femminile non portò a nulla
Nonostante la rilevanza dei reperti, le analisi di allora non permisero di risalire a un nome. I test sul profilo femminile diedero esito negativo, forse a causa dello scarso numero di marcatori genetici disponibili. Eppure, osserva Il Tempo, già allora si sarebbe potuto procedere con comparazioni più mirate, ad esempio con le donne che frequentavano abitualmente la casa dei Poggi. Non si trattava infatti di campioni marginali: erano stati raccolti in punti cruciali della scena del crimine.
L’assenza di impronte di Alberto Stasi
Un dettaglio aggiuntivo alimenta i dubbi. Alberto Stasi raccontò di aver trovato chiusa la porta a soffietto che conduceva alla cantina e di aver dovuto aprirla per scoprire il corpo senza vita della fidanzata. Quella stessa porta fu smontata e analizzata dai Ris: emersero impronte digitali di Marco Poggi, due digitali e una palmare mai attribuite, oltre a un profilo di Dna femminile rimasto ignoto. Nessuna traccia, invece, di Stasi. Lo stesso vale per la maniglia del portone d’ingresso: nessuna impronta del fidanzato di Chiara, nonostante fosse l’ultimo ad aver varcato quella soglia.
Un vuoto investigativo che oggi torna a pesare, perché su quel Dna femminile e su altri reperti mai chiariti potrebbe nascondersi la chiave di un enigma rimasto irrisolto per 18 anni.