Garlasco, 18 anni dopo: droni, laser e un modello 3D per rileggere il delitto Poggi
- Postato il 13 agosto 2025
- Di Panorama
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Ogni 13 agosto, a Garlasco, il tempo rallenta. La chiesa parrocchiale diventa il cuore muto di una comunità che da diciotto anni vive con una ferita mai rimarginata. Questa mattina, come sempre, mamma Rita, papà Giuseppe e il fratello Marco hanno scelto la discrezione: una messa, qualche stretta di mano, e poi il ritorno al privato. Nessuna intervista, nessun commento. “Vogliamo solo trascorrere l’anniversario da soli e in silenzio” hanno fatto sapere. Perché il dolore, qui, non è mai diventato materia di spettacolo.
La scena del crimine rinasce in 3D
Eppure, fuori da quel silenzio, la macchina della giustizia si muove. Per la prima volta nella storia del caso, tecnologie da crime lab americano sono entrate nella villetta di via Pascoli. Droni e scanner laser hanno disegnato una mappa tridimensionale perfetta dell’abitazione, dal vialetto d’ingresso fino all’ultimo gradino della scala interna. Non è un vezzo scenografico: il gemello digitale della casa diventerà una piattaforma su cui ricostruire in modo dinamico ogni passaggio della mattina del 13 agosto 2007.
Il modello 3D sarà arricchito con i dati delle perizie: posizione esatta del corpo, tracce ematiche, impronte di mani e piedi, distribuzione degli oggetti. Ogni elemento potrà essere visualizzato e misurato al millimetro. L’obiettivo è semplice e ambizioso: verificare le compatibilità tra la scena e le versioni fornite, ma anche valutare se ci fossero più persone all’interno della casa. Il The Times, in un lungo approfondimento, ha definito questo lavoro “un’autopsia digitale della scena del crimine”.
Il nodo dei “23 minuti” e la condanna di Stasi
Nell’architettura del caso resta sospeso il vuoto di 23 minuti: il tempo che, secondo la ricostruzione giudiziaria, Alberto Stasi non ha mai spiegato in maniera convincente. Due assoluzioni, una condanna definitiva a 16 anni e un processo che ha diviso l’opinione pubblica per anni. Stasi, oggi in semilibertà a Bollate, lavora fuori dal carcere di giorno e vi rientra la sera. La sua difesa ha sempre sostenuto che le indagini iniziali abbiano trascurato piste alternative, e ora guarda ai nuovi rilievi come a un’ultima occasione per ribaltare la narrazione.
La scossa: il DNA in bocca a Chiara non è del killer
Pochi giorni prima dell’anniversario, la Procura di Pavia ha reso pubblica una scoperta che ha il peso di una scossa: il DNA maschile trovato nella bocca di Chiara, prelevato con una garza non sterile durante l’autopsia, non è del killer. Si tratta di una contaminazione: quel profilo genetico corrisponde a un uomo morto poco prima e sottoposto ad autopsia sullo stesso tavolo. Un errore di laboratorio, avvenuto nell’istituto di medicina legale di Vigevano, che taglia di netto l’ipotesi di una traccia biologica utile per identificare un complice o un nuovo sospettato.
La Procura ha affidato nuove verifiche all’antropologa e medico legale Cristina Cattaneo, nome di riferimento internazionale, per una rilettura dell’intero quadro: modalità dell’aggressione, posizione della vittima, tempi di morte, compatibilità delle ferite con le possibili armi.
Indagini riaperte e vecchi nomi che ritornano
Il fascicolo è stato riaperto nel marzo 2025, con l’iscrizione nel registro degli indagati di Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, già coinvolto e poi uscito dall’inchiesta anni fa. La Cassazione ha autorizzato nuove verifiche, ma la Procura ha scelto un approccio prudente: prima di alimentare piste investigative, serve una base tecnico-scientifica inattaccabile.
Nel frattempo, la famiglia Poggi osserva. Da sempre schiva alle telecamere, teme che l’inchiesta possa trasformarsi in un true crime da prima serata, dove il pathos supera il rispetto. “Si rischia di trasformare tutto in uno spettacolo”, ha ribadito il loro legale.
Il peso del tempo
Diciotto anni sono un tempo lungo abbastanza da cambiare tecnologie, metodi, volti in procura e in tribunale. Ma non cancellano la memoria. Restano le scale interne, che per gli investigatori sono ancora un teorema da risolvere: dove era posizionato l’aggressore? Quanti colpi sono stati inferti? Con che arma? Restano anche i silenzi, quelli della famiglia e quelli di un paese che ha imparato a convivere con un nome che non indica più solo un luogo, ma un caso.
Una verità in bilico
Oggi il caso di Garlasco vive in uno spazio sospeso: tra la condanna definitiva e il desiderio di una revisione, tra un modello 3D che promette precisione e un DNA che si rivela un vicolo cieco. La parola “fine” non arriverà con un colpo di scena, ma — se mai arriverà — sarà scritta centimetro per centimetro, frame per frame, pixel per pixel. Perché la verità, in certi delitti, non è un lampo: è un lavoro di cesello.