Fuga da Israele a causa della guerra: negli ultimi due anni gli emigrati hanno superato gli immigrati. “Non succedeva dagli Anni 80”

  • Postato il 9 gennaio 2025
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  • Di Il Fatto Quotidiano
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Sono 82mila gli israeliani che hanno lasciato il Paese nel 2024. E per la seconda volta da decenni, proprio come nel 2023, il saldo migratorio netto del Paese è negativo: sono più le persone che emigrano dal Paese che quelle che vanno a viverci. Un trend che cozza col concetto di Aliyah, ossia il ritorno degli ebrei della diaspora verso la madre terra, che i governi succedutisi hanno cercato di alimentare anche con la cosiddetta legge del ritorno che riconosce la cittadinanza a chiunque dimostri una discendenza ebraica. I dati, elaborati dall’Israel Central Bureau of Statistics (CBS), sono stati pubblicati dall’agenzia di stampa israeliana Ynet News: “Nell’anno appena trascorso il saldo tra il numero di individui che si sono trasferiti in Israele e quelli che invece sono emigrati è negativo e riflette un calo di 18mila persone”. Anche la crescita demografica in generale ha subito un rallentamento, nonostante la popolazione dello Stato ebraico nel 2024 abbia superato per la prima volta le 10 milioni di persone. I numeri li dà lufficio del censimento israeliano secondo cui “la crescita della popolazione – che nel 2022 era pari al 2,2% – è scesa ancora dall’1,6% del 2023 all’1,1%”. Un fattore importante relativo ai dati raccolti – tiene però a sottolineare il Bureau – è che “il pieno impatto della guerra condotta da Israele sul modello migratorio a lungo termine deve ancora essere valutato”.

Il quotidiano israeliano Maariv ha riferito che nei primi sette mesi dell’anno sono emigrati 40mila israeliani – tre volte il tasso registrato prima della guerra – Tenendo a mente l’ultimo dato, secondo quanto elaborato da CBS, nel decennio compreso tra il 2014 e il 2024 la media ponderata del flusso emigratorio è stato pari a circa 37mila persone. Dall’altro lato, Sergio Della Pergola, docente di demografia presso l’Università Ebraica di Gerusalemme, ha evidenziato che “in numeri assoluti, durante il periodo compreso tra il 1991 e il 2019, hanno raggiunto Israele 1 milione e 200mila persone”, con una media di 43mila nuovi arrivi all’anno. Nel 2024 i nuovi arrivi si sono però fermati a 32mila, quindi un numero inferiore rispetto al trend di lungo periodo registrato da Della Pergola. Proprio il demografo, raggiunto da Ilfattoquotidiano.it, ha spiegato che l’inversione di tendenza degli ultimi due anni riguardo al saldo migratorio netto rappresenta un unicum nella storia recente: “Il saldo migratorio negativo, derivante dalle partenze del 2023 in una condizione di guerra, sono un fatto anomalo che non si verificava dagli Anni 80″.

La scorsa estate il Guardian citava Aaron Ciechanover – Premio Nobel israeliano e critico di lunga data del premier Benjamin Netanyahu – in relazione a un tema sempre collegato alle emigrazioni, seppur non esaustivo per spiegare il fenomeno, più dibattuto nei circoli intellettuali israeliani: la fuga di cervelli. O come egli stesso la definisce: “La partenza silenziosa”. Il punto fondamentale su cui si anima il dibattito è che la crescita economica dello Stato ebraico – di fatto – è guidata dall’innovazione, perciò “se professionisti nel settore dell’hi-tech decidono di emigrare, il peso della loro partenza dal Paese sarebbe immenso in confronto al loro numero”. Questo perché “le aziende tecnologiche che guidano l’economia impiegano solo il 10% della forza lavoro”, ha poi sottolineato Noam Bardin – ex amministratore delegato dell’app di navigazione satellitare Waze – in un’intervista rilasciata ad Haaretz.

Secondo un rapporto stilato dalla società di consulenza sulla migrazione degli investimenti internazionali Henley & Partners, inoltre, c’è un altro elemento da considerare: “Per la prima volta da decenni, Israele non rientra tra le prime dieci destinazioni per i milionari”: “Questo cambiamento radicale sottolinea quanto rapidamente un conflitto possa indebolire l’attrattiva di un Paese per i ricchi e la mobilità globale”, ha evidenziato Dan Marconi, Senior Client Advisor di Henley & Partners Israel.

Dal 7 ottobre 2023, nonostante il supporto all’esercito israeliano da parte della società civile, Israele è stato segnato da costanti rivolte interne che sono state documentate e condivise da molti entro i confini. Tra le motivazioni che hanno spinto gli israeliani a riversarsi nelle strade: le proposte di riforma del sistema giudiziario, l’inadeguatezza nella gestione della sicurezza da parte del governo Netanyahu e l’incapacità – o per alcuni la mancata volontà – di riportare a casa gli ostaggi. Queste sono solo alcune delle ragioni che hanno portato migliaia di israeliani a decidere di pagare il costo economico e sociale del trasferimento all’estero. Associated Press, esaminando le domande di cittadinanza presentate da israeliani espatriati, ha evidenziato che il maggior numero di richieste sono state concentrate in Canada, Germania e Australia. Secondo quanto riferito dal Ministero dell’Interno tedesco, sono 18mila gli israeliani che hanno fatto domanda di cittadinanza tedesca nel 2024, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2023. Il Canada invece – tra gennaio e ottobre – ha detto ad AP di aver ricevuto circa 6mila domande di permesso di lavoro da parte di cittadini dello stato ebraico.

Oltre ad aver elaborato i dati relativi all’ultimo anno, CBS ha pubblicato anche la proiezione di quella che dovrebbe essere la crescita della popolazione israeliana tra il 2025 e il 2065. Nonostante i dati degli ultimi due anni, non sorprende l’ottimismo del Bureau per il futuro: “Nel 2065 la popolazione dello stato di Israele sarà pari a circa 25 milioni di abitanti” si legge, sempre se il trend di crescita su cui si basa l’indagine statistica non subisca variazioni inaspettate.

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