Frankenstein, al Teatro Modena la rivisitazione contemporanea dei Motus
- Postato il 7 novembre 2025
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- Di Genova24
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Genova. Uno spettacolo per un pubblico consapevole e aperto anche a proposte poco tradizionali. Va fatta questa premessa per evitare sorprese a rappresentazione in corso a spettatori che magari leggono il titolo Frankenstein e si attendono il classicone tratto dal romanzo di Mary Shelley.
I Motus, la compagnia fondata nel 1991 da Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, sono sinonimo di sperimentazione visiva, corporea, di linguaggio e mettono costantemente alla prova chi sta seduto in platea con messe in scene ardite e indagini sociali contemporanee ispirandosi però, come in questo caso, a un classico che loro rivisitano a modo loro.
Sino al 9 novembre al Teatro Modena è proposto appunto Frankenstein che si può vedere o in dittico (History of love e History of Hate l’8 e 9 novembre) sia nella versione singola History of Hate (a cui si riferisce questa recensione) che è coprodotto dal Teatro Nazionale di Genova e Love story.
La traccia è quella del romanzo di Shelley: il capitano ed esploratore Robert Walton scrive alla sorella Margaret durante un viaggio verso il polo (qui invece l’ambientazione è sulla spiaggia). L’incontro con un uomo in difficoltà, Victor Frankestein, permette a Walton di conoscere la storia della Creatura e del rifiuto per essa da cui nasce l’odio che, al pari della Creatura, non può morire essendo un prodotto dell’umanità. Sul palco Enrico Casagrande e i giovani Tomiwa Samson Segun Aina (il navigatore Robert Walton) e Yuan Hu (la sorella di quest’ultimo, che riceve le sue lettere) con Silvia Calderoni e Alexia Sarantopoulou (Mary Shelley) presenti sullo schermo.
Qui la Creatura è vestita di nero, indossa un cappuccio e occhiali a mascherina, balla musica tecno e nello schermo alle spalle degli attori vediamo una storia di continuo inseguimento tra Creatura e creatore, ambientato in “non luoghi” come una spiaggia o lo scheletro di un ecomostro (la parte filmica è stata girata a Soverato, in provincia di Catanzaro).
Con la consueta abilità nel mescolare video, suono e recitazione sul palco, i Motus fanno interagire i corpi fisici con i filmati, danno vita a una regia “cinematografica” dentro quella teatrale con gli attori che maneggiano telecamera e telefonini per mostrare volti e dettagli su un ulteriore schermo ovale a lato del palco.
Pur mantenendo appunto il filo rosso del romanzo originale, i Motus reinterpretano con accostamenti arditi, inseriscono anche una serie di interviste a dei giovani per indagare su cosa è l’odio per noi, oggi e ci consentono di riflettere anche dopo lo spettacolo. L’effetto, durante, rischia però a volte di essere straniante con alcune scene che possono risultare più complesse da ‘leggere’ dagli occhi dello spettatore-medio. La visione del dittico è consigliabile per avere il quadro completo del progetto.