Franco & Hollywood, il patto tra cinema e regime a suon di dollari nel documentario di Michel Viotte
- Postato il 24 giugno 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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Per un pugno di dollari (americani). Ancora prima che Sergio Leone trasformasse nel 1964 l’Almeria in Texas e Messico, a girare i kolossal hollywoodiani in Spagna ci andavano Robert Rossen, Stanley Kramer, Anthony Mann. Insomma tutto il gotha di Hollywood, comprese le grandi star (tra gli altri: Charlton Heston, Richard Burton, Ava Gardner; Loren e Lollobrigida) Motivo? Un tanto commercialmente semplice, quanto politicamente ipocrita, accordo bilaterale tra il fascistissimo Francisco Franco e il presidente statunitense Eisenhower. Con gli attori democratici e progressisti del mondo del cinema americano che nemmeno fiatano, anzi accorrono come api sul miele.
Questa poco conosciuta dinamica industriale è ciò che racconta l’avvincente e curioso documentario Franco & Hollywood, diretto da Michel Viotte, in prima italiana al Cinema Ritrovato 2025, nella sezione Documenti e Documentari curata dal direttorissimo Gianluca Farinelli. Segui il denaro, diceva qualcuno. E quello mancava agli spagnoli. Soprattutto dopo il 1945 con tutta l’Europa inondata di banconote verdi del piano Marshall e il caudillo che, tra un prigioniero politico garrotato e l’altro, fa l’autarchico come un Mussolini qualunque. Dura pochissimo l’ironia del filmetto che sfotte gli aiuti americani (Bienvenido Mr. Marshall, 1953). Meglio far arrivare dollari a fiumi e magari ripulire la lugubre immagine del franchismo incancrenita sullo stereotipo fascistelli torvi, tutti crocifisso e occhialacci neri. L’Accordo di Madrid del 1953, tra Franco e Eisenhower in persona, non solo prevede centinaia di milioni di dollari nelle casse spagnole, ma anche basi militari americane, matrimoni misti, visita di stato di Eisenhower a Madrid con auto scoperta e ballo serale. Con la clausola esplicita americana affinché in Spagna prima o poi ci sia libertà di culto. Questo il dato politico. Poi c’è quello prettamente cinematografico che è una cornucopia tra storia e leggenda.
I primi a correre in Spagna sono quelli della United Artist. Niente lotto californiano per il set in patria, ecco il posto al sole garantito nei dintorni di Madrid per il kolossal in costume Alessandro il Grande (1955). Quello dove Richard Burton recita coi capelli biondo platino. Seguiranno Orgoglio e passione (1957), girato tra Galizia e Castiglia, con la Loren, Cary Grant e Frank Sinatra che fanno rivivere lo spirito nazionalista spagnolo contro il barbaro invasore napoleonico grazie anche a migliaia di comparse dell’esercito locale a costo zero per le scene di massa; e Salomone la regina di Saba (1959). Ma c’è una sorta di paradossale creativa mise en abyme, di documentario dentro al documentario. Perché sul finire degli anni cinquanta tra le griglie di cinema e politica si afferma il produttore indipendente Samuel Bronston. Uno che a Madrid costruisce una nuova piccola Hollywood con team per la scrittura (ci sono pure nomi della lista nera maccartista) e uno faraonico per la scenografia tanto da far impallidire Cinecittà, poi si intromette anche negli affari più spiccioli come il commercio del petrolio. Parliamo comunque di film campioni d’incassi mondiali come Il re dei re (1961) o 55 giorni Pechino (1963).
Pensate che Charlton Heston, reduce dai fasti dell’oscarizzato Ben Hur, accetta il ruolo principale di El Cid (1961), porta armi e bagagli a Madrid, e la produzione Bronston edifica in poche settimane un set medioevale dalle dimensioni inimmaginabili. Il governo franchista supervisiona gli script, dà il via libera ai lavori, offre alla popolazione locale la possibilità di diventare comparse o lavorare come tecnici con paghe molto elevate. La penetrazione statunitense in Spagna è talmente in profondità che star come Rita Hayworth e Orson Welles si fanno testimonial di eventi truculenti ma tanto popolari come la corrida. Ava Gardner diventa la regina delle notti glamour madrilene, flirtando coi toreri. Dulcis in fundo: negli anni sessanta oltre 4 milioni di turisti americani sbarcano nelle grandi città spagnole, attirati da natura e cultura iberica vista nei film. E Bronston? Con Il declino dell’impero romano (1964), altra megaproduzione hollywoodiana, va in bancarotta. Un socio collaboratore, tal Michael Waszinksy, nel gestire brillantemente le produzioni sopracitate, si era nel frattempo intascato cifrette importanti tanto da far andare gambe all’aria Bronston. E qui ci starebbe un terzo documentario nel documentario. Anche se Franco & Hollywood basta e avanza per capire il senso del cinema nella sua epoca più sgargiante e magniloquente, come il senso di furbizia del dittatore che si ripulì l’immagine sanguinaria facendo battere i ciak di grandi film hollywoodiani
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