Francesco, il cancro e il tempo che manca, sei mesi per una Pet
- Postato il 3 luglio 2025
- Notizie
- Di Quotidiano del Sud
- 1 Visualizzazioni

Il Quotidiano del Sud
Francesco, il cancro e il tempo che manca, sei mesi per una Pet
In Calabria ammalarsi è già, di per sé, una condanna. Scoprirsi malato di cancro, in questa terra bellissima e dimenticata, significa molto spesso dover scegliere tra due vie ugualmente dolorose: attendere mesi, talvolta troppi, per un esame fondamentale o partire. Andarsene. Lasciare casa, affetti, lavoro, e affrontare quel viaggio che da anni chiamiamo, con amarezza, “viaggio della speranza”, ma che forse dovremmo ribattezzare con il suo vero nome: viaggio disperato.
Questa è la storia di un uomo, un operaio di Corigliano-Rossano, uno dei tanti volti invisibili di una Calabria che resiste, che lavora, che fatica e che, quando la malattia bussa alla porta, si ritrova in ginocchio. Lo chiameremo Francesco, nome comune, come comune è diventata la sua odissea. A gennaio, dopo aver affrontato la paura e l’incertezza, Francesco si è sottoposto a una biopsia prostatica. Il responso è arrivato come un macigno: adenocarcinoma prostatico acinare, score di Gleason 7. Parole difficili, fredde, pronunciate in un ambulatorio dai muri spogli, ma dal significato inequivocabile: cancro. E un cancro con un grado di aggressività medio-alta. Chi conosce questa diagnosi sa che il tempo non è un alleato. La malattia può avanzare silenziosa, inarrestabile, e ogni giorno può essere quello che segna il confine tra una speranza concreta di guarigione e l’irreversibilità.
Per stabilire l’estensione del tumore e verificare la presenza di eventuali metastasi, i protocolli medici indicano un esame preciso: la Pet con tracciante Psma, capace di “illuminare” anche le più piccole cellule tumorali e fotografare lo stato reale della malattia. Francesco ha subito chiesto informazioni. La risposta, al Cup dell’ospedale Annunziata di Cosenza, è stata una sentenza gelida: la prima data utile per effettuare l’esame è il 7 gennaio 2026. «Sei mesi? Sei mesi per sapere quanto è avanzato il mio tumore? Ma come si può?», si è sfogato con la voce rotta dalla rabbia e dall’incredulità. E così, mentre la politica regionale annuncia trionfalmente piani per abbattere le liste d’attesa, mentre si importano medici da Cuba e si sventolano bandiere di rinnovamento sanitario, la realtà resta immobile.
I reparti funzionano a rilento, le prenotazioni si trascinano nel tempo, i farmaci per i contrasti speciali – come il tracciante Psma – vengono dosati con parsimonia. Sul perché, nessuno si sbilancia. Forse per carenze strutturali, forse per problemi di approvvigionamento. Non è nostro compito stabilire se sia una scelta o una necessità, ma resta il fatto che, per i pazienti, quella data lontana può trasformarsi in una condanna. In Calabria i reparti di medicina nucleare sono pochi: a Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria. Ma nessuno, se non l’Annunziata insieme al Mariano Santo, esegue Pet con Psma.
Troppo poco per una regione che, con i suoi due milioni di abitanti, è già schiacciata da un sistema sanitario al collasso. Così, a Francesco non resta che preparare la valigia. Un gesto che conosce bene chi vive qui: si parte per studiare, si parte per lavorare, si parte – ancora oggi, nel 2025 – per curarsi.
«Non volevo lasciare la mia terra, ma non posso aspettare sei mesi. Ho figli, ho una famiglia, ho una vita. Voglio lottare, ma devo avere le armi giuste e il tempo giusto per farlo» racconta Francesco, con quello sguardo stanco che solo chi ha conosciuto il volto più amaro della malattia può comprendere. E allora si cerca una strada alternativa. E basta poco, paradossalmente. Pochi chilometri, appena oltre i confini regionali. A Potenza, ad esempio, la stessa Pet con Psma si può ottenere in 10 giorni. In Campania, entro tre settimane. Un tempo compatibile con le necessità cliniche, un tempo che può fare la differenza tra la vita e la morte.
Ma partire significa affrontare spese enormi: il viaggio, il pernottamento, i costi di un sistema sanitario che, pur garantendo le cure essenziali, spesso obbliga i cittadini a sobbarcarsi tutto il resto. E per un operaio, per una famiglia normale, questo può significare sacrificare anni di risparmi, chiedere un prestito, vendere qualcosa. «Ho lavorato una vita, non ho mai chiesto nulla allo Stato, e ora, che ho bisogno, devo pagarmi tutto da solo e andarmene via. È un’ingiustizia che fa più male della malattia stessa» aggiunge, con la dignità ferita di chi non si arrende, ma si sente tradito.
Questa non è solo la storia di un uomo, è il ritratto di un sistema che continua a non funzionare. È la fotografia di una Calabria che si svuota, che si piega, che lotta contro il tempo e contro i muri della burocrazia. Il diritto alla salute dovrebbe essere universale, uguale, immediato. Ma qui, tra le montagne e il mare che incantano, tra i vicoli di paesi antichi e le città che faticano a rialzarsi, è ancora una corsa a ostacoli. E troppo spesso, a pagarne il prezzo più alto, sono proprio i più fragili. Oggi tocca a Francesco. Domani, potrebbe toccare a chiunque. E allora, forse, quei viaggi disperati non dovrebbero più essere considerati una scelta, ma l’ultima drammatica prova che il diritto di curarsi, in Calabria, è ancora un miraggio lontano. Nel frattempo, valigie pronte, biglietto in mano. Perché qui, ammalarsi è solo l’inizio di un incubo.
Il Quotidiano del Sud.
Francesco, il cancro e il tempo che manca, sei mesi per una Pet