Fondi esauriti per Hamas: il gruppo non paga più i suoi uomini
- Postato il 20 aprile 2025
- Di Panorama
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Mentre la guerra continua e Hamas rifiuta ogni proposta per il rilascio degli ostaggi si trova a dover fronteggiare una nuova emergenza nella Striscia di Gaza: reperire i fondi necessari per pagare i propri combattenti. Inoltre, la situazione si è aggravata lo scorso mese, quando Israele ha interrotto le forniture di beni umanitari diretti all’enclave. Secondo fonti di intelligence araba, israeliana e occidentale, parte di questi aiuti veniva sequestrata da Hamas e rivenduta per finanziare le proprie attività. La recente offensiva israeliana ha colpito duramente la rete finanziaria del gruppo, uccidendo figure chiave responsabili della distribuzione del denaro e costringendo altri dirigenti alla clandestinità. Tra le operazioni più rilevanti l’eliminazione di un cambiavalute ritenuto centrale nel sistema di finanziamento del gruppo armato, oltre a diversi alti funzionari politici, inclusa una figura di primo piano: il primo ministro de facto di Hamas, Ismail Barhoum. Un colpo definito durissimo da più analisti.Le conseguenze si sono già fatte sentire.
Crisi di liquidità a Gaza, cresce la tensione contro Hamas
I pagamenti ai dipendenti pubblici di Gaza sono stati sospesi e molti combattenti e funzionari politici di Hamas hanno ricevuto solo la metà dello stipendio, proprio durante il mese sacro del Ramadan. Secondo fonti di intelligence, il compenso mensile per un miliziano di Hamas si aggira solitamente tra i 200 e i 300 dollari. La crisi economica interna sta minando la struttura operativa del gruppo e mette in luce crescenti difficoltà organizzative. Hamas, già sotto pressione militare, deve ora affrontare anche un deterioramento finanziario che rischia di compromettere ulteriormente la sua tenuta di fronte a una strategia israeliana sempre più decisa e offensiva. Anche la propaganda ne sta risentendo, come ci conferma Elisa Garfagna, esperta di comunicazione: «La propaganda di Hamas sta diventando ogni giorno più aggressiva, un segnale della crescente pressione finanziaria che il gruppo sta subendo a Gaza. Senza più argomentazioni narrative convincenti e con la retorica del ‘genocidio’ e degli ‘ospedali bombardati’ che si sta sgretolando di fronte alle rivelazioni sui covi di miliziani e sulla compromissione dell’Onu, Hamas sembra puntare su una comunicazione più violenta ed estremista. Questa strategia disperata potrebbe essere un tentativo di tenere uniti i propri ranghi e di mantenere il sostegno esterno, cercando di mascherare la sua debolezza sul campo e la crisi economica che ne sta minando la capacità operativa. Prova ne sarebbero le imminenti manifestazioni del 25 aprile in Italia, che in modo controverso accostano antifascismo e antisionismo, rischiano di amplificare ulteriormente questa polarizzazione, strumentalizzando la memoria storica per veicolare messaggi di odio e delegittimazione nei confronti di Israele e degli ebrei».
I soldi del Qatar non arrivano più
Al Wall Street Journal Eyal Ofer , ricercatore open source sull’economia di Gaza ha affermato: «Anche se avessero a disposizione grandi quantità di denaro contante, la loro capacità di distribuirlo sarebbe molto limitata al momento. I metodi di pagamento tipici di Hamas erano l’utilizzo di un corriere che trasportasse denaro contante o l’istituzione di un punto di distribuzione, entrambe opzioni che avrebbero potuto creare obiettivi per le truppe israeliane. Queste due cose attirerebbero l’attenzione». Prima dello scoppio della guerra, Hamas – che esercita il controllo sul governo civile della Striscia di Gaza – riceveva trasferimenti mensili pari a 15 milioni di dollari dal Qatar. Il gruppo aveva inoltre raccolto fondi da diverse aree del mondo, tra cui l’Africa occidentale, l’Asia meridionale e il Regno Unito, accumulando riserve stimate in circa 500 milioni di dollari. Una parte consistente di questi fondi sarebbe stata depositata in banche turche, secondo fonti occidentali e arabe. Con l’inizio del conflitto, Israele ha imposto severe restrizioni al trasferimento di denaro contante verso Gaza, costringendo Hamas – classificato dagli Stati Uniti come organizzazione terroristica – a cercare soluzioni alternative per aggirare i blocchi. Tra queste, secondo fonti palestinesi ed ex funzionari, il furto di circa 180 milioni di dollari da filiali della Banca di Palestina e da altre istituzioni finanziarie locali.
Hamas affama la popolazione e gestisce il racket degli aiuti umanitari
Parallelamente, fonti dell’intelligence araba, israeliana e occidentale riferiscono che Hamas avrebbe sfruttato l’afflusso di beni umanitari e commerciali per generare nuove entrate. Il gruppo ha imposto tasse ai commercianti locali, riscosso dazi doganali sui camion in entrata e sequestrato beni destinati alla popolazione, poi rivenduti per ottenere liquidità. Inoltre, secondo quanto riferito da funzionari coinvolti, Hamas ha acquistato beni umanitari all’estero utilizzando denaro contante e li avrebbe successivamente rivenduti a prezzi esorbitanti a Gaza, trasformandoli in fondi prontamente disponibili per finanziare le proprie attività. Nonostante i tentativi di aggirare le restrizioni, Hamas si stava avvicinando a una crisi di liquidità già prima del cessate il fuoco di gennaio, che aveva temporaneamente consentito l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Secondo fonti israeliane e occidentali, quel breve periodo aveva permesso al gruppo di rimpinguare parzialmente le proprie finanze. Tuttavia, questa finestra si è chiusa bruscamente quando, nel mese di marzo, Israele ha sigillato i confini, interrompendo nuovamente l’accesso degli aiuti umanitari.
Il blocco imposto da Israele è finito nel mirino delle organizzazioni umanitarie, che temono possa aggravare la già drammatica crisi alimentare nella Striscia di Gaza, dove vivono circa due milioni di persone. Il Ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha ribadito l’intenzione di impedire che gli aiuti umanitari finiscano sotto il controllo di Hamas, annunciando un piano alternativo per il loro smistamento tramite partner civili. Secondo le autorità israeliane, la capacità di Hamas di generare profitti dagli aiuti ha spinto il governo a rivedere i criteri di selezione per le spedizioni future. Se in passato i controlli si concentravano sulle merci considerate a rischio per la sicurezza, oggi l’esercito valuta di bloccare anche quelle autorizzate, qualora rappresentino una fonte economica rilevante per Hamas. Durante il cessate il fuoco, Hamas aveva predisposto punti di distribuzione per il pagamento degli stipendi, ricorrendo a contanti o, in alcuni casi, a beni di prima necessità, secondo fonti dell’intelligence araba. Con la ripresa degli attacchi israeliani a marzo, la distribuzione si è frammentata, affidandosi a reti informali e interpersonali, complici la clandestinità in cui sono finiti molti membri dell’organizzazione. Il taglio dei pagamenti rende sempre più difficile per Hamas mantenere la coesione interna e reclutare nuove leve. Nel frattempo, mentre Israele continua ad ampliare il proprio controllo territoriale, nella Striscia di Gaza è emersa una rara ondata di proteste popolari contro Hamas, accusato di non essere riuscito a porre fine al conflitto. Secondo l’analisi del Wall Street Journal, la crescente crisi di liquidità sta aggravando ulteriormente le condizioni della popolazione civile. A Gaza, dove lo shekel israeliano è valuta ufficiale, reperire contante è diventata una sfida quotidiana. Gli sfollati, già costretti a cercare cibo, riparo e medicinali in un territorio devastato, faticano ora anche a procurarsi il denaro necessario per soddisfare i bisogni primari.
A Gaza si riparano le banconote: la crisi del contante spinge alla creatività
Prima dello scoppio del conflitto, la banca centrale israeliana garantiva regolarmente il flusso di contanti verso Gaza. Tuttavia, da oltre 18 mesi, non sono state introdotte nuove banconote nell’enclave. A peggiorare la situazione, molti dei 56 istituti bancari e dei 91 sportelli automatici presenti nel territorio sono stati distrutti o resi inservibili durante la guerra. Dall’inizio del conflitto, le organizzazioni umanitarie hanno trasferito decine di milioni di dollari in aiuti economici ai palestinesi, utilizzando applicazioni di pagamento elettronico sempre più diffuse. A questo si aggiungono le rimesse provenienti da parenti e amici all’estero. Tuttavia, per convertire questi fondi digitali in contante, i cittadini di Gaza devono affrontare commissioni elevate: i cambiavalute locali applicano tariffe superiori al 20%, secondo un alto funzionario finanziario palestinese. Non è chiaro quanta valuta fisica resti effettivamente in circolazione all’interno dell’enclave. Analisti come Eyal Ofer stimano che il valore complessivo del denaro contante ancora disponibile potrebbe aggirarsi intorno ai 3 miliardi di dollari. La carenza è così acuta che ha dato vita a una sorta di industria artigianale: laboratori di riparazione dove le banconote, spesso rovinate, vengono lavate, riattaccate con nastro adesivo e reimmesse nel circuito economico locale.