Fody Fabrics: dove inclusione e artigianato vivono in perfetto equilibrio
- Postato il 26 ottobre 2025
- Di Panorama
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Fody è il nome di un bellissimo uccellino del Madagascar dal piumaggio rosso vermiglio e con una mascherina nera intorno agli occhi. Pur essendo piccolo, realizza nidi comunitari molto grandi servendosi degli scarti della natura, per ospitare anche altre tipologie di uccelli. E proprio per le sue qualità, questa speciale creaturina alata, chiamata anche tessitore fiammante, è diventata il simbolo e il nome di una realtà nata tre anni fa a Pistoia, una start-up innovativa di tipo benefit che porta avanti con successo i valori di sostenibilità e inclusività lavorativa di persone con disabilità. Vilma, Daniele, Francesca, Giada, Eugenio e Serena sono solo alcuni degli artigiani che dopo un percorso di formazione, hanno imparato a dare nuova vita agli scarti tessili: cotone, lana, seta e altre fibre italiane di altissima qualità. Lorenzo Traversari, giovane educatore di Fody (@fodyfabrics e www.fodyfabrics.com) racconta a Panorama.it la meraviglia di questo progetto.
“Abbiamo scelto questo vivace uccellino malgascio perché ci rappresenta completamente: anche noi regaliamo nuova vita agli scarti, nel nostro caso tessili, attraverso percorsi di inclusione lavorativa e di formazione, rivolti a persone con disabilità, che si impegnano nell’imparare un mestiere, quello dell’artigiano. Sono loro a creare i prodotti (shopper, zainetti, sacche e borse mare) che vengono poi venduti. Questo ci permette di portare avanti i principi cardine di Fody.”
Inclusione lavorativa ed ecosostenibilità
“Fody ha l’obiettivo di far capire alle persone che ciò che oggi è ritenuto – e ci tengo a enfatizzare le virgolette – “inutile”, come persone con disabilità ritenute non occupabili, in realtà possono imparare un mestiere e diventare una preziosa risorsa attiva. Ugualmente, gli scarti tessili non per forza devono essere eliminati, ma si può ridar loro nuovo valore riciclando, anche perché le stoffe che impieghiamo, sono tutte di alta qualità, spesso scartate semplicemente perché non hanno finito il processo produttivo.”
Com’è nata Fody?
“Luca Freschi, imprenditore e business designer decide di provare a creare un’impresa che possa avere un impatto positivo sulla società e fonda Fody, iniziando a mettere in atto i primi piccoli passi. All’inizio la realtà si fa conoscere tra le varie imprese locali, ma non è ancora sui social, perché la disabilità è un argomento molto delicato da portare su questi canali. Servono il giusto tatto e le corrette competenze. Per questo, nel febbraio 2024, mi contatta su Instagram (faccio divulgazione sui ragazzi con disabilità) e mi chiede di unire le forze per concretizzare qualcosa di più potente. Siamo della stessa città e dopo una profonda chiacchierata scopriamo di avere gli stessi ideali e di condividere gli stessi obiettivi. Dietro Fody ci sono altre persone che si impegnano a portare avanti il progetto, ognuno con la propria parte di competenza. Una cosa importante da sapere è che i percorsi di formazione sono gratis per i ragazzi, è tutto a carico nostro, e mettiamo a disposizione sia l’educatore che il professionista che insegna il mestiere ai ragazzi. Adesso gli artigiani sono una quindicina, ma l’idea è di portare Fody anche in altre città. Crediamo molto nel fare rete, nel collaborare con le persone e riuscire a creare qualcosa di bello insieme. La progressiva espansione del progetto ha generato molto interesse da parte di diversi soggetti: le aziende del settore tessile hanno iniziato a contattarci sempre più spesso, ed è aumentata la volontà di creare posti di lavoro per persone con problematiche. Questo ci ha permesso di rendere la nostra visione economicamente sostenibile.”
Si lavora tutti i giorni della settimana?
“I laboratori ci sono dal lunedì al venerdì e sono quasi sempre a fasce orarie. C’è chi inizia una sola volta alla settimana, per poi arrivare piano piano a tre e raggiungere già un buon traguardo. Chi inizia subito con quattro giorni, però necessita di un maggior tempo di apprendimento della mansione. Ogni percorso è individuale e basato sulle capacità e potenzialità di ciascun ragazzo. Servono molte risorse e molto tempo prima di arrivare a un apprendimento in completa autonomia della creazione del prodotto. Ci sono vari step, e molti hanno attivato un tirocinio inclusivo che gli permette di valorizzare il lavoro attraverso un compenso economico mensile. Appena raggiunta l’autonomia, ci può essere l’assunzione.”
C’è una storia particolare di qualche ragazzo che ti va di condividere?
“C’è un piccolo aneddoto, però molto significativo di ciò che stiamo creando. Un ragazzo con la sindrome di Down, Francesco, è venuto da noi con poca dimestichezza nell’artigianato, per poi, dopo un po’ di tempo, imparare quasi egregiamente a usare la macchina da cucire. Quando i suoi genitori l’hanno visto all’opera, ci hanno ringraziato con le lacrime agli occhi. La riconoscenza è stata principalmente per essere stati capaci di ridargli la fiducia. Quando arrivi a dimostrare che il figlio, con qualsiasi disabilità, può avere un miglioramento, al genitore si riaccende la fiamma della speranza.”
Un altro vostro bellissimo progetto consiste nel realizzare coperte che regalate ai senzatetto e ai canili
“Esatto, è uno degli altri grandi obiettivi di Fody, anzi, è il motivo per cui inizialmente è nata. Attraverso gli scarti tessili fabbrichiamo coperte per donarle in maniera gratuita ai senzatetto, ai rifugiati, a canili e gattili. Collaboriamo con tante associazioni del territorio, come per esempio la Croce Verde per la loro distribuzione a livello nazionale e internazionale. Insieme alle aziende virtuose che hanno deciso di sostenere il nostro progetto, abbiamo già donato oltre 30.000 coperte.”
Qual è il messaggio più potente che vuole diffondere Fody?
“Da quando abbiamo iniziato a mostrare i miglioramenti che una persona con disabilità può avere, tante persone ci hanno scritto dicendo di averle ispirate, di avergli aperto gli occhi. Si inizia ad avere una consapevolezza nuova, diversa, e quindi c’è bisogno di mostrare quanto bello può entrare in gioco quando si parla degli ultimi. È giusto dimostrare tutte le mancanze nella società per quanto riguarda la disabilità, ma è altrettanto importante dare voce alle potenzialità dei ragazzi. Il più bel messaggio che si vuole dare è che i ragazzi non hanno bisogno della nostra pietà, non vogliamo trasmettere contenuti pietistici. Non vogliono dire: “abbiamo bisogno del vostro aiuto perché siamo svantaggiati!”. Vogliono semplicemente un’opportunità per mostrare, nonostante i propri svantaggi, il valore e le grandi potenzialità che hanno, e che spesso, purtroppo, ci si abitua a non vedere.”