Flottilla, la lunga notte degli attivisti Pro Pal e della Marina israeliana

  • Postato il 1 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Nella notte tra il 30 settembre e il 1° ottobre, il Mediterraneo orientale ha vissuto ore di tensione altissima. La cosiddetta Flottilla per Gaza, composta da quarantacinque imbarcazioni con a bordo circa cinquecento volontari e attivisti, ha varcato poco dopo le due di notte la zona considerata ad alto rischio. Subito sono scattati gli allarmi: i passeggeri hanno indossato i giubbotti salvagente, hanno predisposto i protocolli di sicurezza e si sono preparati al contatto con la Marina israeliana, ritenuto ormai inevitabile. Alle 3:00 la fregata Alpino della Marina Militare Italiana, che aveva seguito il convoglio come scorta discreta, ha diffuso il suo ultimo avviso, interrompendo la missione in ottemperanza alle disposizioni del governo italiano. Un minuto dopo una motovedetta israeliana ha stretto sull’Alma, la nave capofila, oscurandone i sistemi di navigazione satellitare e disturbando le comunicazioni. Era il segnale che Israele aveva deciso di passare alla fase attiva dell’intercettazione.

Gli eventi si sono succeduti in rapida sequenza. Alle 3:48 tutti gli equipaggi hanno completato i preparativi di emergenza; poco dopo, l’europarlamentare italiana Benedetta Scuderi, imbarcata sull’Alma, ha segnalato l’avvicinarsi delle forze israeliane e la predisposizione degli attivisti alla difesa passiva. Alle 4:40 la nave principale è stata circondata e costretta a una manovra di emergenza. La guida della Flottilla è passata allora alla Sirius, subito presa di mira da unità della Shayetet 13, i commandos della marina israeliana specializzati nelle operazioni di abbordaggio.

Per Israele, la posta in gioco va oltre il singolo episodio. Dal 2007, dopo la presa del potere di Hamas a Gaza, Gerusalemme ha imposto un blocco navale rigoroso, sostenendo che la misura sia indispensabile per impedire l’ingresso di armi, munizioni e materiali dual use destinati all’organizzazione islamista. In questo quadro, qualsiasi tentativo di forzare l’embargo via mare viene interpretato come una minaccia alla sicurezza nazionale. «Non permetteremo che il Mediterraneo diventi un corridoio per il terrorismo», ripetono da anni le autorità israeliane.

Il blocco navale è stato spesso oggetto di critiche da parte di ONG e organismi internazionali, che ne contestano l’impatto sulla popolazione civile della Striscia. Ma Israele rivendica che il controllo dei carichi è l’unico strumento per ridurre il rischio che tra gli aiuti si celino armi o componenti destinati alla produzione di razzi e droni. Nel 2010, l’episodio più noto: la flottiglia turca guidata dalla nave Mavi Marmara, che tentò di raggiungere Gaza e fu fermata con la forza dalle forze speciali israeliane. L’assalto si concluse con dieci attivisti uccisi e aprì una crisi diplomatica tra Ankara e Tel Aviv. Da allora, ogni nuovo tentativo via mare si è trasformato in un banco di prova tanto politico quanto militare. La notte appena trascorsa ha confermato questo schema. Israele ha alternato disturbi elettronici, manovre di pressione e inseguimenti per costringere la Flottilla a rallentare o fermarsi, senza arrivare a un abbordaggio immediato. All’alba, le navi civili si trovavano a circa 130 miglia da Gaza, circondate da unità israeliane che si muovevano a fari spenti e che hanno tentato più volte di tagliare la rotta, con il rischio concreto di collisioni. Le comunicazioni sono state intermittenti, segnalando la presenza di sistemi di guerra elettronica e è stato avvistato un sommergibile israeliano che a breve raggiungerà le navi in testa alla Flotilla.

Sul mare si è così giocata una partita a metà tra psicologia e diplomazia: da un lato gli attivisti determinati a rivendicare un passaggio umanitario, dall’altro Israele deciso a far rispettare un blocco che considera vitale per la propria sicurezza. Per Gerusalemme, permettere a una flottiglia internazionale di entrare liberamente a Gaza equivarrebbe a creare un precedente capace di minare l’intero dispositivo difensivo. Non si tratta solo di un confronto navale, ma di un messaggio politico: Israele non intende allentare la pressione su Hamas, né tollerare iniziative che possano trasformarsi, anche solo indirettamente, in un rafforzamento del gruppo islamista.

La mattinata odierna si è aperto con la stessa incognita della notte: la Flottilla ha dichiarato di voler continuare a navigare verso Gaza, nonostante le minacce e i rischi. Israele, dal canto suo, ha ribadito di essere pronta a intervenire in qualsiasi momento. Lo scontro sembra dunque inevitabile. E mentre le imbarcazioni civili cercano di guadagnare miglio dopo miglio, la Marina israeliana resta schierata, con un obiettivo che in Israele definiscono semplice e imprescindibile: impedire che il blocco venga infranto, mantenere Hamas isolata e dimostrare che l’aerea resta sotto stretto controllo israeliano.

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Panorama

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