Ferragosto 1989, racconti inediti da un anno che cambiò il mondo, la mia vita e il potere nei giornali in Italia
- Postato il 15 agosto 2025
- Media
- Di Blitz
- 1 Visualizzazioni

Cosa accadde in quel Ferragosto del 1989? Sarà difficile che qualcuno lo possa mai ricostruire nei dettagli ma qualche idea me la sono fatta.
Pochi mesi dopo sarebbe caduto il muro di Berlino. Molto più vicino a noi Berlusconi sarebbe diventato il padrone della Mondadori e quindi di Repubblica. E, ancora più vicino a me, fu l’estate che cambiò la mia vita in gran meglio. Nell’attesa degli eventi, feci un bellissimo viaggio in Alaska. A Anchorage, teatro dell’incontro fra Trump e Putin, mi colpirono il sole alto alle 11 di sera e gli esquimesi ubriachi in strada
Per me e per chi vuole leggere oltre le righe una grande lezione di vita: mai avere paura dell’incognito, da una apparente sciagura può nascere la gioia.
Gran parte del racconto che sto per fare è frutto di resoconti orali, quasi di leggende ma come tutte le leggende ritengo che ci sia sempre un fondo di verità.
Perciò, aiutando la memoria con un po’ di buon senso, cercherò di proporvi una ricostruzione dei fatti, non quelli del mondo, ma quelli di casa nostra, che mi sembra più verosimile di quanto finora ho mai letto.
Ormai possiamo permettercela un po’ di verità: sono passati più di 35 anni, quasi tutti i protagonisti sono morti parentesi Berlusconi, Caracciolo, Ciarrapico, Scalfari). È rimasto solo De Benedetti che sta scontando l’anticipo di aldilà contemplando la rovina dell’impero che aveva difeso, allargato, concupito e curato per tanti anni, avviata da un figlio ingrato e rancoroso.
Più sotto riporto la cronaca del momento chiave della vicenda, nella primavera del 1989, quando Scalfari Caracciolo e un gruppo di loro amici vendettero alla Mondadori di cui Benedetti era diventato l’azionista principale le loro azioni della Editoriale L’Espresso.
Quel Ferragosto dell’89

Fino a quel momento le 2 aziende Mondadori ed Espresso erano rimaste vicine, ma ben separate, di dimensioni diverse e con ambizioni anche diverse. Ciascuno era editore di un di uno dei due settimanali di punta del momento, Panorama e Espresso. Fra i due settimanali la competizione era molto spinta, ma per il resto i proprietari Mondadori Formenton, Caracciolo, Scalfari erano tanto amici da dare vita nel 1976 a Repubblica. Repubblica nacque nella casa di Mario Formentano vicino a Verona. Mondadori e Espresso avevano 50% ciascuno della società editrice di Repubblica, alla cui presidenza si alternarono nei primi trienni Caracciolo e Piero Ottone.
Le dimensioni delle due aziende erano però molto diverse. L’Espresso era una piccola cosa, un club di amici intorno a una rivista da 300.000 copie dopo anni a galleggiare a quota 100.000.
Solo il genio e l’abilità manovriera di Caracciolo ne fece un grande gruppo, iniziando una catena di giornali locali costruita anche grazie ad altre due creature fuori del comune: Gianfranco Alessandrini e Mario Lenzi.
Caracciolo inseguiva quel sogno da anni (fin dal lontano 1972 aveva iniziato a raccogliere il giornali locali: Piccolo di Trieste e Alto Adige di Bolzano, nella convinzione che il futuro era in provincia, dovendo poi cedere il tutto al cognato Agnelli per ordine di Fanfani).
Mondadori era il più grandi editori di libri, con una una corazzata di settimanali di attualità e femminili. E ha iniziato in quegli anni anche a entrare nel campo dei giornali locali, comprando la Gazzetta di Mantova cui aggiungeva via via le varie gazzette dell’Emilia.
Le cose erano cambiate con gli esperimenti di televisione degli anni ‘80 quando la Mondadori avviò una rete che esiste ancora, si chiama Rete 4, che quasi portò l’azienda al fallimento.
Cuccia salvò la Mondadori dal fallimento costruendo un’impalcatura che prevedeva il controllo della Mondadori editore da parte di una Mondadori finanziaria in cui erano confluiti i grandi del momento: Berlusconi e De Benedetti oltre alla famiglia Mondadori-Formenton.
La partita si è svolta poi attorno al controllo della Mondadori finanziarie e al controllo dell’Espresso.
Torniamo all’estate dell’89 pochi mesi prima prima avevano annunciato che Caracciolo, Scalfari, Bassetti, Vedova Bisaglia, Busi, avevano venduto alla Mondadori la loro quota che faceva il controllo dell’espresso. Era prevista nei mesi futuri un’Opa per portar via dal mercato le rimanenti azioni.
Va qui ricordato un altro grande azionista dell’Espresso, Claudio Cavazza (Sigma Tau) che non vendette fino alla fine, resistendo anche a Craxi che voleva imporgli la cessione a Berlusconi. A proposito di Berlusconi e della sua capacità di visione e insieme di cura del dettaglio, ricordo ancora quando a Boston un investitore americano nell’Espresso mi raccontò come, durante la fase nota come guerra di Segrate emissari di Berlusconi volevano fare incetta anche delle sue poche migliaia di azioni.
L’Espresso era andato in borsa nel 1984 e non fu un brillante esordio. Quando dissi all’avvocato Agnelli, nella primavera del 1984, che lasciavo la Stampa per l’Espresso, la sua reazione fu di tale spregio che presi paura. Mi disse: “Guardi dove si va a cacciare, sono andati in borsa a 6 mila lire per azione e ora sono a 5.600. Chissà dove finiranno”.
La crisi dei primi anni ‘90 ci portò anche più sotto e Rodolfo De Benedetti svalutò con coraggio e ci salvò, noi e suo padre. Fu compensato dalla ripresa del 2000 e io con lui e tanti altri dirigenti che ci comprammo casa,prima che l’invidia di un ministro comunista, attizzato dalle chiacchiere della moglie fiorentina di uno dei nostri, rompesse il giocattolo, grazie alle stock option colpo di genio di Carlo De Benedetti, cui mi legherà gratitudine perenne.
Ma in quei giorni dell’84 fu dura. Le parole di Agnelli mi spaventarono ma tornare indietro sarebbe stato un suicidio. Mi confortò una intervista di Lietta Tornabuoni a Milos Forman sulla Stampa:
“Quando sai di non poter tornare nel tuo Paese, ti adatti. I registi che prima delta seconda guerra mondiale emigrarono a Hollywood per fuggire dal nazismo, come Lubitsch e altri, non avevano via di ritorno: e si integrarono benissimo. I registi europei che andarono a Hollywood dopo la guerra combinarono poco. Se sai di poter tornare, se hai quel luogo caldo e noto che ti chiama, non hai la forza di superare il dolore dello sradicamento, dell’adattamento. Pensavo di non poter mai più tornare indietro: e ce l’ho fatta”.
Le parole di Agnelli mi costarono un miliardo: invece che comprare azioni Espresso con la liquidazione della Stampa, spaventato, investii quel denaro in modellini di barche che ancora mi guardano con ironia dalle loro mensole in salotto.
Nel frattempo le azioni avevano iniziato a salire, fino alla primavera dell’89: calcolai che quei pochi milioni di lire investiti in barchette sarebbero diventati un miliardo, sempre merito di De Benedetti che faceva salire il valore del titolo per allineare il valore del 14 per cento di Scalfari agli 80 miliardi chiesti inizialmente dal Fondatore di Repubblica.
Solo, che fissato il prezzo, Scalfari puntò i piedi: “Sono come il contadino in mezzo si grattacieli, o non venderò mai”, diceva.
Alla fine cedette ma il risultato fu che acquisire il controllo dell’Espresso costo non 80 ma 425 miliardi. In questa altalena di prezzi, secondo me, è l’origine del successivo cattivo sentimento fra i due titani.
E veniamo all’aprile del 1989, quando si seppe la notizia della vendita: nessuno di noi sapeva niente, lo rivelò il Sole 24 ore. Sotto riporto la cronaca semi ufficiale di Eraldo Gaffino su Repubblica di quell’evento.
Un giorno si presentarono due giovanotti in via Po, erano Corrado Passera e Arnaldo Borghesi, con l’aria dei conquistatori: guardavano intorno dicendo che c’era troppa gente. Bisognava licenziare un po’ di gente Naturalmente non fu licenziato nessuno. Poi arriva l’estate e veniamo al momento clou e ai mesi successivi come li ho ricostruiti.
Una partita a tre
Fu una partita a tre giocata da personaggi fuori del comune.
A un lato del tavolo c’era Carlo De Benedetti ormai sicuro di essere il padrone di tutto. Sicuro al punto da potersi rimangiare la promessa di matrimonio che si diceva avesse fatto a Cristina Formentano dopo la morte del marito Mario.
La scena si svolge a porto Rafael in Sardegna, dove Cristina Mondadori possedeva una villa. (A pochi passi da quella della futura seconda moglie di Scalfari).
Attendeva l’arrivo di Carlo per partire in vacanza ma lui le disse no in vacanza ci vado con la tua parente. Se avete letto l’Eneide e ricordate la furia di Didone, penso che sia successa la stessa cosa De Benedetti. De Benedetti partì ma i Formentano si schierarono e si allearono con Berlusconi, il quale nel frattempo aveva già acquisito la quota di Leonardo Mondadori rifiutato da De Benedetti per una differenza di pochi miliardi. La cifra serviva Leonardo per comprarsi un aereo ma le Benedetti non voleva accedere, 20 miliardi su 120. Da quel grande giocatore che era sapeva rischiare e quella volta perse.
All’altro tavolo l’altro lato del tavolo c’erano Caracciolo e Scalfari per nulla intenzionati a diventare dipendenti di De Benedetti. Uno era un principe e cognato di Agnelli, soprattutto capace di costruire da niente un gruppo editoriale da un miliardo di euro di fatturato, l’altro era il più grande giornalista del momento, creatore di Repubblica, erede spirituale del suocero Giulio De Benedetti, il più grande giornalista italiano di tutti i tempi. Scalfari parlando con gli amici, diceva: “Ci saranno tre blocchi di azionisti a controllare il grppo Mondadori-Repubblica: De Benedetti, Berlusconi e le famiglie”, intendendo per famiglie Formenton-Mondadori e lui con Caracciolo.
Caracciolo in quell’estate era molto attivo nei rapporti con le controparti è in particolare con Berlusconi.
Al terzo capo del tavolo c’era Berlusconi, il quale agiva a sua volta su più tavoli come ha sempre saputo fare da grande maestro e genio.
La situazione per precipitò quando Berlusconi ebbe la certezza di avere in mano tutte le carte. Ma questo nessuno lo sapeva ancora.
Tramando con Berlusconi per limitare il potere di De Benedetti, Caracciolo si presenta una sera in via Rovani a Milano, dove era prevista una cena con Berlusconi.
Lo racconta lo stesso Caracciolo a Nello Aiello nel libro “Un editore fortunato “, a me lo ha raccontato almeno tre volte. Si presenta alla porta e Berlusconi gli dice non serve più che che ceniamo perché ho già ho già combinato tutto ho vinto io ho preso tutto io”.
Caracciolo esclamò “mascalzone”, però poi con la sua abilità a piegarsi agli eventi e a piegarli disse: “A questo punto, almeno offrimi la cena”, costringendo il povero Berlusconi a far uscire da una cucina chiusa un pasto che non era previsto.
Da lì cominciò la guerra. I tempi si preparavano alla caduta del muro di Berlino, alla morte di Ceausesvu e ai grandi eventi che cambiarono l’Europa e il mondo.
Per me che era appena stato nominato amministratore delegato di Repubblica, ebbe inizio un momento di grandi patimenti. Ma, come dice il proverbio per aspira ad Astra.
Quello stesso Natale dell’89 si erano manifestati i sintomi di una colicistite e avrei dovuto farmi operare per non rischiare di morire, ma non non potevo affrontare l’operazione perché a quel tempo la tecnica medica prevedeva uno squarcio nella pancia che ti costringeva a una convalescenza di 40 giorni immobile a letto. Non me lo potevo permettere di abbandonare il campo.
Fu un grande rischio ma anche una doppia fortuna perché non successe niente di grave (anche se il presidente della Cerea di Torino e ex capo delle ferriere Fiat Dainotti mi consigliò di farlo al più presto per evitare quanto era successo a lui in America).
Passai quel periodo indenne e al termine di quel periodo si scoprì che un medico di Bari basso e aveva messo sviluppato una tecnica endoscopica che permetteva di estrarre la colecisti piena di calcoli con un buchino di un paio di centimetri. .
Ma prima che finisca questo tormentato periodo vengono i sei mesi più angoscianti della mia vita.
Io formalmente ero il responsabile dei quotidiani del gruppo Mondadori, comprendendo nella mia divisione sia Repubblica sia i giornali locali dei due gruppi di provenienza.
Berlusconi non mi poteva ignorare e per un po’ di mesi mi invito ai suoi show del lunedì a Segrate.
Mi dovevo alzare alle cinque del mattino per prendere l’aereo delle sette per essere alle nove, puntuale ad assistere allo show. Intorno al tavolo c’erano Confalonieri e poi tanti dirigenti del gruppo Mondadori. Dopo un paio di settimane, almeno tre dei dirigenti erano pronti con la cravatta a pallini in campo blu come quella del padrone.
Berlusconi non mancò di esibirsi nel suo numero di spazzolare col fazzoletto la giacca di un dipendente. Lo fece con uno che poi peraltro licenziò, uno dei pochi. Poi non mi invitarono più.
All’inizio Berlusconi pranzava con tutti noi nella mensa dei dirigenti della Mondadori, mi faceva salire con lui nell’ascensore e mi diceva: dico a Caracciolo di scaricare De Benedetti e di fare l’accordo solo con me. Quando poi dal telefono appeso al muro dell’aeroporto di Linate (all’epoca non c’erano ancora i telefonini portatili) lo dicevo a Caracciolo lui rideva ha detto la stessa cosa stamattina a Passera contro di me.
Poi entro in scena Ciarrapico, entro in scena la giustizia e alla fine ci fu la spartizione.
Ricorda ancora la riunione in cui definimmo gli accordi mi passò per le mani un assegno da 1000 miliardi di vecchie lire che non mi fece molta emozioni perché ero semplicemente un passacarte.
Furono mesi brutti per Carlo De Benedetti che a sua volta era inguaiato con la giustizia per una vicenda che adesso vi racconto.
Subito dopo la l’acquisto dell’Espresso, avendo quindi formalizzato e incoronato De Benedetti come grandi editore di tutto, il settimanale diretto da Giovanni Valentini, usci con un articolo sgradevole nei confronti del presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Costui andò su tutte le furie e ordinò a De Benedetti di licenziare Valentini.
De Benedetti non si permise ma trasmise l’ordine Caracciolo che si guardò bene dall’eseguirlo.
Cossiga si vendicò facendo riaprire il processo per bancarotta da cui De Benedetti era già stato assolto e da cui sarebbe stato poi assolto anche una seconda volta.
In quei mesi la vita futura per il povero CD B era talmente dura che un giorno Cuccia convocò Caracciolo nella sede di Mediobanca e gli disse di ricomprarsi l’Espresso.
Ho ancora tra le vecchie carte gli appunti di Mediobanca, fogli bianchi senza intestazione, nitidissimi, con lo schema logico e essenziale dei grandi finanzieri, che anche un cronista di nera riesce a capire e entusiasmarsi.
Caracciolo per lealtà verso le Benedetti, o per paura dell’imprevisto, non accettò è rimase fedele all’altro Carlo.
Forse lo gelo anche la risposta di Cuccia, “lei e i suoi amici” alla domanda: chi mi dà i soldi?
Erano momenti brutti, soprattutto per l’editoria, erano momenti brutti per Repubblica, erano momenti brutti per L’Espresso, giornale e azienda.
Repubblica aveva raggiunto una valutazione che superava i 1000 miliardi di lire e ne valeva solo la metà e era dura tenere un valore di borsa adeguato alle aspettative.
In quel momento Rodolfo De Benedetti dimostrò un potenziale di grande editore resistendo a tutte le pressioni e guardandomi le spalle. Poi ha scarrocciato.
Ma nel frattempo mi consentì di passare dalla guida di poco più di un club di vecchi amici a capo di uno dei più migliori gruppi editoriali d’Italia, definito dagli analisti finanziari uno dei migliori management team d’Europa.
L’ accordo per la cessione delle quote di controllo dell’ Espresso detenute dai due azionisti di maggioranza Carlo Caracciolo ed Eugenio Scalfari è stato raggiunto. La Mondadori acquisirà infatti il 51% della società editoriale romana per la costituzione di un gruppo di grosse dimensioni in termini di fatturato e di testate giornalistiche periodiche e quotidiane. La notizia è stata diffusa con un comunicato emesso dopo che nella mattinata di ieri il presidente della Consob Franco Piga aveva ricevuto l’ avvocato Vittorio Ripa di Meana (vicepresidente della Mondadori) e Marco Benedetto, amministratore delegato dell’ Espresso insieme a Milvia Fiorani, direttore generale della stessa casa editrice. I tre esponenti avevano fornito informazioni al professor Piga sulle intese in corso di definizione per l’ acquisizione da parte del gruppo Mondadori del controllo sul capitale dell’ Editoriale L’ Espresso. Data la complessità dell’ operazione che interessa più società quotate, continua il comunicato emesso da Piga, si è ritenuto di dover sospendere dalle negoziazioni sul mercato di Borsa, in attesa del perfezionamento degli accordi e della diffusione delle relative informazioni al mercato i seguenti titoli: Mondadori, ordinarie, privilegiate e risparmio, Ame Finanziaria, ordinarie, risparmio e prestito convertibile 87/91, Espresso ordinarie e Cartiera di Ascoli ordinarie.
Fin qui il comunicato della Consob a fronte della sospensione chiesta ed ottenuta dai rappresentanti delle due case editrici. La complessa operazione sarà ratificata innanzitutto mercoledì pomeriggio dal sindacato di controllo dell’ Espresso e giovedì mattina dal consiglio di amministrazione della Arnoldo Mondadori. Essa risulta così articolata nelle sue grandi linee. Contemporaneamente alla cessione delle quote Espresso di proprietà di Caracciolo e Scalfari, la Mondadori lancerà una offerta pubblica sulla totalità del capitale azionario dell’ Espresso: i due azionisti di controllo della casa editrice romana hanno infatti chiesto ed ottenuto che il premio di maggioranza che doveva essere assegnato alle loro quote venga invece ripartito fra tutti i soci consentendo così la partecipazione di tutti gli azionisti Espresso a questa valutazione del gruppo. In assenza della legge sull’ Opa, che è stata approvata per ora solo dal Senato, sarà questo passaggio di proprietà di una azienda il primo a far beneficiare anche i soci di minoranza del premio che fino ad oggi veniva trattato fra il compratore ed il venditore e che era di esclusiva pertinenza di quest’ ultimo. L’ Opa della Mondadori sull’ Espresso sarà lanciata ad un valore che sarà annunciato nei prossimi
I due azionisti Caracciolo e Scalfari hanno deciso di reinvestire una parte dei cespiti realizzati in azioni Mondadori ordinarie per essere presenti anche azionariamente nel gruppo editoriale unificato. Con la cessione dell’ Espresso alla Mondadori passerà alla casa editrice anche il 50% del capitale del quotidiano la Repubblica detenuto pariteticamente dai due gruppi. Nell’ ambito delle intese è previsto che Caracciolo e Scalfari facciano parte del consiglio di amministrazione Mondadori. Il consiglio della casa di Segrate sarà così composto da sei membri della Cir, da quattro della famiglia Formenton, dai due azionisti Espresso e dall’ attuale consigliere delegato Emilio Fossati.
L'articolo Ferragosto 1989, racconti inediti da un anno che cambiò il mondo, la mia vita e il potere nei giornali in Italia proviene da Blitz quotidiano.