“Ferivano civili, poi sparavano sui soccorsi. Per uccidere un bambino si pagava di più”: il racconto dell’orrore sui ‘turisti cecchini’ di Sarajevo

  • Postato il 16 novembre 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“Il cecchino con il primo colpo li feriva gravemente, il corpo della vittima rimaneva così agonizzante sulla strada e cominciava l’attesa dei soccorsi. La crudeltà consisteva nell’attendere che qualcuno arrivasse per aiutare la vittima e aggiungere qualche altra uccisione alla prima”. Una pratica terrificante, che seguiva un copione dell’orrore: i bersagli, prevalentemente musulmani, bambini, donne – quelle più attraenti – non venivano uccisi al primo colpo. Prima si puntava, poi si sparava e cominciava l’attesa: i feriti morenti a terra e all’arrivo dei soccorsi ricominciava la carneficina. E per sparare a un bambino c’è anche chi era disposto a pagare di più. Una pratica che è tutta descritta qui, in questo documento giunto in mano al Fatto che denuncia quello che accadde durante il terribile assedio di Sarajevo, dal 1992 al 1996 e su cui ora indaga la procura di Milano. Oltre undicimila morti, duemila erano bambini. Ma in tutto il Paese la guerra civile contò oltre 100 mila vittime. Sono 17 pagine e compongono l’esposto che lo scrittore milanese Ezio Gavazzeni ha presentato il 28 gennaio scorso alla procura di Milano. “Durante l’assedio di Sarajevo – scrive Gavazzeni – furono attivi centinaia di cecchini serbi che, dalle colline intorno a Sarajevo, sparavano sui malcapitati civili. I bersagli preferiti erano i bambini. Lo scopo: infliggere più dolore possibile agli abitanti della città. Ricchi stranieri – continua lo scrittore – hanno pagato per visitare i cecchini dell’esercito serbo bosniaco e sparare alle persone inermi nella capitale Sarajevo durante la guerra del 1992-96, quando la città era sotto assedio. In una testimonianza è riportato che tra questi ci fossero degli italiani: un uomo di Torino, uno Milano e l’ultimo di Trieste”.

“Per sparare pagavano ingenti somme”

Un’organizzazione che portava i “turisti”, gran parte dal Triveneto, sulle colline di Sarajevo, per poter sparare alla popolazione civile. Una città, quella di Sarajevo, cinta da montagne alte oltre duemila metri, che poi digradano in dolci colline che hanno fatto da teatro a questo orrore. I turisti, chiamati i “cecchini del weekend”, arrivavano qui il venerdì, rimanevano due-tre giorni, poi ripartivano la domenica per tornare alla loro vita normale il lunedì. Per sparare pagavano ingenti somme. Gente dedita alla caccia, appassionati di armi, appartenenti all’estrema destra, ma soprattutto gente facoltosa che pagava per ammazzare le persone. Le partenze avvenivano da Trieste, il venerdì pomeriggio, con la compagnia aerea serba Aviogenex. Lo scalo successivo era a Belgrado. Poi da qui, via sulle colline di Sarajevo.

In un articolo della Stampa del 30 marzo 1995 si parla di persone che “da alcuni aeroporti europei (tedeschi e inglesi) prenotano ‘fine settimana di guerra’ per la ex Jugoslavia. Il programma prevede la possibilità di caccia grossa. ‘Ti portano lì, in alto, sulle colline, protetto da sacchi di sabbia, o blindature di cemento, inquadri una sagoma nel mirino e spari”. In un altro articolo del Corriere della Sera sempre del 30 marzo 1995 dal titolo “Vacanze in Bosnia per fare la guerra”, si parla di “turisti italiani che vanno nella ex Jugoslavia per assistere ai combattimenti. E c’è chi si diverte uccidendo”. Ma a far luce su queste atrocità è stato il documentario Sarajevo Safari del regista sloveno Miran Zupanič. “Il film parla di ricchi stranieri che hanno pagato soldi per sparare ai civili dalle posizioni dell’esercito della Repubblica Srpska (RS) nella Sarajevo assediata durante gli anni ’90”, si legge sempre nell’esposto di Gavazzeni.

“Coinvolti anche uomini dei servizi serbi”

Uno dei testimoni chiave del documentario racconta che “quando è iniziata la guerra, ha ricevuto una proposta da un’agenzia americana per attraversare il paese come finto giornalista. Andando in giro come “giornalista”, ha acquisito molte informazioni ed è venuto a conoscenza di veri “cacciatori di esseri umani” che venivano a Sarajevo”. Si trattava di stranieri, alcune fonti parlano di americani, canadesi e russi, ma anche di italiani, che erano disposti a pagare per giocare alla guerra. Nel documentario c’è un altro testimone, ex ufficiale dell’intelligence militare bosniaca, che ha parlato della testimonianza di un soldato serbo catturato. Costui gli avrebbe riferito di aver assistito in prima persona al trasporto di uno dei “cacciatori”. “All’epoca – racconta l’ex ufficiale – lavoravo nel servizio di intelligence militare dell’esercito bosniaco (ARBiH). Condividemmo le informazioni con gli ufficiali del Sismi (ora Aisi) a Sarajevo perché c’erano indicazioni che gruppi turistici di cecchini – cacciatori stavano partendo da Trieste”.

I clienti, apprendiamo da fonti del Fatto, erano sicuramente persone molto ricche “che possono permettersi economicamente una sfida così adrenalinica”. Pare ci sia anche un titolare di una clinica estetica di Milano. Un vero e proprio “safari umano”, illegale e molto costoso. “È certo – continua l’ex ufficiale – che gruppi di cacciatori si riunivano a Trieste e da lì arrivavano in Serbia, e poi dalla Serbia a Sarajevo. Quello che sappiamo dell’operazione è che è durata abbastanza a lungo (forse dal 1993 al 1995), che ha richiesto una logistica significativa (trasporto in aereo da Trieste, elicottero e veicoli dalla Serbia attraverso la zona di guerra fino a Sarajevo), che è stata raggiunta un’elevata segretezza e che l’organizzazione è stata molto buona”. Per organizzare i safari, “sono state utilizzate le infrastrutture dell’ex compagnia aerea serba di charter e turismo Aviogenex, che aveva una filiale a Trieste”. Oggi quell’ufficio è chiuso. Tuttavia gli 007 bosniaci ritenevano che dietro a tutto ci fosse il servizio di sicurezza statale serbo (l’attuale BIA) e che fosse coinvolto anche il servizio di intelligence militare serbo (KOS) con l’assistenza di comandanti locali nella parte occupata.

“I turisti cecchini erano molto ricchi”

Ma qual è il profilo del “turista cecchino”? In una corrispondenza tra Gavazzeni e l’ex ufficiale bosniaco, quest’ultimo risponde così alle domande dello scrittore: “Un cacciatore appassionato che ha già provato tutti i tipi di safari classici (legali) e ha tutti i trofei, e poi per il bisogno di adrenalina cerca anche una testa umana come trofeo; una persona che ama le armi ed è allo stesso tempo un tipo psicopatico; un ex soldato che non riesce a fermarsi dopo essere stato su alcuni campi di battaglia; il tipo sadico che sperimenta modi per infliggere danni ad altre persone. In ogni caso – continua – sono tutti appartenenti alla cerchia di persone ricche e probabilmente influenti nelle loro comunità. Hanno le risorse legali (avvocati) per proteggersi da un’eventuale indagine, ma anche l’influenza politica per ostacolare un’eventuale indagine”. Secondo l’ex ufficiale, nonostante il safari fosse stato scoperto, “nessuno degli attori è stato ancora identificato o perseguito. Inoltre, ancora oggi, i testimoni sono sottoposti a pressioni da parte dei servizi serbi per mantenere segreta l’intera operazione. Per esempio, durante la preparazione del film, era prevista un’intervista con un pilota di elicottero che trasportava i “cacciatori” da Belgrado alla BiH – Bosnia-Erzegovina ndr – ma prima delle riprese ha rinunciato, perché gli agenti della BIA hanno minacciato di uccidere tutta la sua famiglia”.

Dopo l’uscita del film del regista sloveno, Benjamina Karić, sindaco di Sarajevo dal 2021 al 2024, il 20 settembre 2022, ha presentato un esposto alla procura della Bosnia – Herzegovina. “I ricchi stranieri – scrive – che avrebbero pagato un certo compenso, furono abilitati e autorizzati a sparare ai civili nella parte libera della città dalle postazioni dell’esercito della Repubblica Srpska. Le vittime erano civili, innocenti passanti che, andando a prendere acqua e pane, si ritrovarono sotto il tiro dei cecchini di questi crudeli stranieri”. Secondo un anonimo ufficiale dei servizi segreti sloveni, che ha assistito all’evento, “per sparare a un bambino con un cecchino è stato dato addirittura un compenso monetario più alto”.

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Il Fatto Quotidiano

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