Femminicidio come aggravante punibile con l’ergastolo, il disegno di legge del governo Meloni
- Postato il 7 marzo 2025
- Giustizia & Impunità
- Di Il Fatto Quotidiano
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Il femminicidio come aggravante punibile con l’ergastolo. Appare questa la novità più significativa della bozza di legge, discussa in consiglio dei ministri, che introduce l’articolo 577-bis e che definisce il femminicidio come un omicidio di una donna commesso per motivi di discriminazione o odio verso di essa in quanto donna. Un riconoscimento della violenza di genere come un reato specifico, differente dall’omicidio generico. Che ovviamente era già punito con l’ergastolo in presenza delle aggravanti già previste dalla legge come la premeditazione, la crudeltà, i futili motivi, se c’è un vincolo affettivo et cetera. Sono stati per esempio condannati all’ergastolo sia Filippo Turetta per il femminicidio di Giulia Cecchettin che Alessandro Impagnatiello che ha ammazzato la fidanzata incinta al settimo mese di gravidanza.
Con questo ddl se una donna viene uccisa deve essere il primo reato a venire ipotizzato. Se fosse già in vigore sarebbe stato applicato agli oltre 100 casi avvenuti in Italia nel 2024: le vittime nella stragrande maggioranza dei casi sono state ammazzate in ambito familiare e affettivo. La tipizzazione del femminicidio, dunque, è pensata per riconoscere la specificità di questo delitto indipendentemente dall’esistenza di vincoli familiari, dai rapporti affettivi, distinguendo così gli omicidi che maturano nell’ambito delle relazioni tra uomini e donne.
Maltrattamenti – Nella bozza del ddl si prevede anche che pena è aumentata da un terzo alla metà se”, nel caso di maltrattamenti di familiari o conviventi, “il fatto è commesso come atto di discriminazione o di odio verso la persona offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio dei suoi diritti o delle sue libertà o, comunque, l’espressione della sua personalità”. Negli stessi casi, la pena è aumentata da un terzo a due terzi per quanto riguarda le minacce e il revenge porn. Attualmente i reati di maltrattamenti in famiglia sono puniti con la reclusione da tre a sette anni, pena che aumenta nel caso siano coinvolti minori, donne in stato di gravidanza o disabili.
Vittime più informate – Il testo prevede, su richiesta motivata della vittima, l’audizione obbligatoria da parte del pm che dirige le indagini, senza possibilità di delega alla polizia giudiziaria. Obbliga, inoltre, ad acquisire il parere della donna, non vincolante, in caso di richiesta di patteggiamento per i reati elencati nel Codice rosso, dallo stupro ai maltrattamenti, dallo stalking al revenge porn. Viene poi rafforzato il ricorso alla misura cautelare degli arresti domiciliari per gli autori di violenza e si stabilisce l’estensione oltre i 500 metri fissati dalla legge Roccella (168/2023) della distanza minima da tenere, rispetto ai luoghi frequentati dalla persona offesa, in caso di divieto di avvicinamento disposto dal giudice.
Nel disegno di legge è previsto anche che quando al condannato o all’internato sono applicate misure alternative alla detenzione o altri benefici analoghi che comportano l’uscita dall’istituto, “il giudice che ha adottato il provvedimento ne dà immediata comunicazione alla persona offesa indicata nella sentenza di condanna, qualora la stessa ne abbia fatto richiesta indicando il recapito, anche telematico, presso il quale intende ricevere la comunicazione. Se ne hanno fatto richiesta con le medesime modalità, la comunicazione è data ai prossimi congiunti della persona offesa deceduta in conseguenza del reato per il quale il condannato o l’internato è detenuto”.
Corsi per chi indaga e chi giudica – La norma prevede, all’articolo 4, anche rafforzamento degli obblighi formativi in materia di contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica. Nell’ambito delle iniziative formative specifiche in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, inserite nella definizione delle linee programmatiche sulla formazione proposte annualmente dal ministro della giustizia alla Scuola superiore della magistratura si prevede che “tale formazione può svolgersi anche in sede decentrata. Essa ha ad oggetto anche la promozione di modalità di interazione con le persone offese idonee a prevenire la vittimizzazione secondaria, tenendo conto della entità del trauma e nel rispetto delle condizioni soggettive e dell’età delle vittime, e di una efficace collaborazione con i soggetti che operano nel settore della prevenzione e del contrasto alla violenza contro le donne o domestica”. “La partecipazione ad almeno uno dei corsi formativi specifici di cui al comma 2 è obbligatoria per i magistrati giudicanti o requirenti assegnati, anche in via non esclusiva, alla trattazione di procedimenti in materia di famiglia o di violenza contro le donne o domestica”.
L’importanza della velocità – Anche nei casi di tentato femminicidio il procuratore della Repubblica può revocare l’assegnazione per la trattazione del procedimento se il pubblico ministero non assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di diciotto anni o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa. L’articolo 5 del testo prevede che anche nel caso di tentato femminicidio il procuratore della Repubblica può “con provvedimento motivato, revocare l’assegnazione per la trattazione del procedimento se il magistrato non osserva le disposizioni dell’articolo 362, comma 1-ter, del codice di procedura penale” secondo cui il pubblico ministero “assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
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