Femminicidio a Cutro: ergastolo definitivo per Diletto, uccise l’ex moglie
- Postato il 5 marzo 2025
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Femminicidio a Cutro: ergastolo definitivo per Diletto, uccise l’ex moglie
Femminicidio, la Cassazione conferma l’ergastolo per Alfonso Diletto l’uomo che uccise l’ex moglie a San Leonardo di Cutro la sera dell’8 marzo 2022.
CUTRO – Diventa definitiva la condanna all’ergastolo per Alfonso Diletto, l’uomo che uccise l’ex moglie Vincenza Ribecco la sera dell’8 marzo di tre anni fa, nella frazione San Leonardo di Cutro, piccolo borgo di meno di mille anime, in una casetta in pieno centro. L’imputato è stato ritenuto colpevole anche di atteggiamenti persecutori. La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso difensivo, ha confermato il verdetto della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro che escluse l’aggravante della premeditazione. Confermata anche l’indegnità a succedere, in accoglimento della richiesta avanzata dai familiari della vittima costituitisi parti civile, rappresentati dagli avvocati Luigi Falcone e Tiziano Saporito. Confermata anche la parte della sentenza relativa al risarcimento dei danni da liquidare in separata sede. La Procura generale aveva chiesto la non ammissibilità del ricorso. La parte civile si era associata al pg.
ERGASTOLO A DILETTO, LA VICENDA DEL FEMMINICIDIO DI CUTRO
Che l’uomo ossessionasse la vittima con la sua gelosia morbosa era risaputo in paese. La donna temeva di ritrovarsi nei pressi di casa il suo ex e che questi potesse ucciderla. E così è stato. Diletto, il pomeriggio dell’8 marzo, si presentò a casa dell’ex moglie con in tasca una pistola calibro 7.65 illegalmente detenuta e sparò appena fuori dalla porta-finestra un colpo che trapassò il vetro raggiungendo al cuore la vittima.
Durante l’interrogatorio condotto dai carabinieri, l’uomo crollò, dopo aver prima negato di sapere che l’ex moglie fosse morta, e ammise di essersi armato perché temeva di trovare a casa il presunto – più che mai presunto – amante di lei. Diletto confessò di aver sparato soltanto una volta messo alle strette, dopo che i carabinieri gli fecero sapere di essere al corrente del fatto che a suo fratello, che vive nel Mantovano, subito dopo il delitto aveva detto di aver «perso la testa» commettendo qualcosa di “brutto”, riferito all’ex moglie. Quindi fece ritrovare l’arma, di cui s’era liberato durante il rientro nella sua abitazione, da San Leonardo a Cutro, gettandola in un dirupo.
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LE TESTIMONIANZE
Le risultanze istruttorie smentiscono la versione di Diletto che nei precedenti gradi di giudizio aveva reso dichiarazioni spontanee sostenendo che pensava che in casa ci fosse un’altra persona e che il colpo era partito accidentalmente. I giudici valorizzano, invece, altri elementi, a partire dalla testimonianza della dottoressa Giovanna Vitaliano, medico curante della donna, che constatò uno «stato d’ansia e di crescente turbamento emotivo». L’uomo infatti, stando a quanto riferito dalla vittima alla dottoressa, «le telefonava e la minacciava al punto che fino al febbraio 2022, in occasione della sua ultima visita, aveva manifestato il serio timore che il marito potesse ucciderla». Elementi che hanno trovato conferma nelle dichiarazioni dei nipoti e dei figli, dalle quali emerge un quadro di «vessazioni non solo psicologiche», era detto nella sentenza impugnata.
Da una parte, «un uomo morbosamente geloso e dal temperamento burbero e aggressivo»; dall’altra, «la condizione subalterna della vittima incline a subire». Almeno fino a quando la donna, nell’estate 2021, decise di lasciarlo ponendo fine alla convivenza. Da quel momento si sarebbe manifestata la «maggiore pericolosità» di Diletto in seguito alla decisione della donna che, con determinazione, non voleva tornare indietro sui suoi passi. Da qui la «condotta persecutoria» dell’imputato, «solito ad appostarsi nei pressi dell’abitazione della moglie con frequenza quotidiana e negli orari più disparati» tanto che nei familiari si era ingenerato «uno stato d’allerta».
CAMBIO DI COGNOME
Dalle testimonianze è emerso che quell’uomo le vietava perfino di accavallare le gambe in pubblico, la accusava di stendere i panni per farsi notare dagli uomini che frequentavano un bar, la accusava di essere andata a lavorare in un villaggio turistico per poter avere relazioni con altri uomini. Un incubo. Intanto, i figli della vittima, residenti in Nord Italia, hanno cambiato cognome. Domenico ha ottenuto il via libera dalla Prefettura di Mantova, Rosaria ha avuto l’ok da quella di Genova.
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