Fegato di maiale, speranza per l’uomo? Il trapianto epatico che fa storia

  • Postato il 1 novembre 2025
  • Di Panorama
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Un uomo di 71 anni, affetto da un tumore epatico inoperabile e da una grave compromissione del fegato, è diventato il protagonista di un evento destinato a entrare nei libri di medicina. In Cina, un’équipe del First Affiliated Hospital of Anhui Medical University ha impiantato nel suo corpo un fegato di maiale geneticamente modificato, realizzando uno dei primissimi xenotrapianti epatici mai tentati su un paziente vivente. L’intervento, eseguito il 17 maggio 2024, ha utilizzato un organo di suino nel quale erano stati eliminati tre geni legati al rigetto e aggiunti sette geni umani per favorire la compatibilità immunologica e la corretta coagulazione del sangue. Nelle ore successive all’operazione il paziente ha ripreso a camminare, l’organo ha iniziato a produrre bile e i medici non hanno osservato segni di rigetto iperacuto, una delle complicanze più temute in questo tipo di procedure. Dopo circa 38 giorni però si sono sviluppati coaguli nei piccoli vasi del fegato trapiantato, costringendo i chirurghi a rimuovere l’organo ausiliario. Nonostante ciò, l’uomo ha vissuto 171 giorni dopo l’intervento, e il caso è stato considerato da tutti una pietra miliare: per la prima volta, un fegato di maiale modificato ha funzionato nell’uomo per un periodo prolungato, confermando la fattibilità clinica della xenotrapianto.

Questo risultato, pur con i suoi limiti, segna un passo decisivo in una ricerca che mira a superare una delle più gravi emergenze della medicina moderna: la carenza di organi per trapianto. Solo in Cina si stimano oltre 300.000 nuovi casi di insufficienza epatica ogni anno, ma le donazioni umane non riescono a soddisfare la domanda. Per questo la possibilità di utilizzare organi animali geneticamente modificati viene studiata come soluzione ponte: un modo per sostenere temporaneamente la funzione epatica in pazienti che non possono attendere un organo umano o per cui la chirurgia tradizionale non è più praticabile. Il caso del paziente cinese ha mostrato che un fegato porcine può riprodurre le funzioni metaboliche essenziali, dalla produzione di bile alla regolazione della coagulazione, fino alla sintesi proteica. È un segnale incoraggiante: dimostra che, almeno per un periodo limitato, un organo animale può integrarsi in un corpo umano mantenendo attività fisiologiche complesse.

Resta però una lunga lista di sfide scientifiche e cliniche. La durata del funzionamento resta ancora limitata, i problemi di coagulazione e di rigetto cronico sono frequenti, e il rischio di trasmissione virale dagli animali all’uomo rimane sotto stretta osservazione. Inoltre, il confine etico di questi esperimenti è oggetto di intenso dibattito: chi decide quando un intervento sperimentale può essere autorizzato, e in quali condizioni? In Cina i protocolli vengono approvati da comitati ospedalieri, ma in Europa e negli Stati Uniti la regolamentazione è molto più stringente. Gli scienziati concordano però su un punto: lo xenotrapianto epatico non è ancora una terapia, ma una frontiera di ricerca che può, nel tempo, trasformarsi in opzione clinica. Se la tecnologia riuscirà a garantire sicurezza e durata, un giorno potrebbe diventare un’alternativa reale ai trapianti umani, riducendo le liste d’attesa e salvando migliaia di vite ogni anno.

Perché proprio il maiale? Perché la sua anatomia e fisiologia sono sorprendentemente simili a quelle dell’uomo, e la sua genetica è modificabile con grande precisione. Le nuove tecniche di editing genico, come CRISPR-Cas9, permettono di disattivare i geni che scatenano il rigetto e di inserire geni umani che favoriscono la tolleranza immunitaria. Nel caso del paziente cinese, le modifiche hanno reso il fegato capace di resistere alla risposta immunitaria per più di un mese, un traguardo impensabile fino a pochi anni fa. «Si tratta di un risultato pionieristico — hanno commentato i ricercatori — ma la strada è lunga: serve ancora molta ricerca prima che questi trapianti diventino praticabili su larga scala». Per la comunità scientifica internazionale, l’obiettivo ora è duplice: da un lato trasferire la sperimentazione in protocolli clinici controllati; dall’altro garantire standard etici e di sicurezza globali. Negli Stati Uniti, il National Institutes of Health e la FDA stanno valutando linee guida comuni per gli xenotrapianti, mentre in Europa il dibattito coinvolge le società di trapiantologia e bioetica. Tutti concordano sul fatto che non si può parlare di sostituzione degli organi umani, ma di supporto temporaneo, una “terapia ponte” in grado di tenere in vita il paziente fino a un trapianto definitivo.

Il caso del paziente di Anhui non è dunque solo una curiosità scientifica: è il primo passo concreto verso un nuovo paradigma nella medicina dei trapianti, in cui tecnologia genetica, chirurgia e bioetica si incontrano. Se il secolo scorso ha reso possibile sostituire un cuore o un rene, il prossimo potrebbe consentire di creare organi compatibili su misura, non più donati ma costruiti e adattati.

Autore
Panorama

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