Fausto Carioti: c'erano una volta i liberali europei

  • Postato il 10 ottobre 2024
  • Di Libero Quotidiano
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Fausto Carioti: c'erano una volta i liberali europei

C'erano una volta i liberali. Ora ci sono i liberali, all'anglosassone, e in quella vocale mancante c'è tutta la differenza che passa tra destra e sinistra . Chi cerca i nuovi socialisti, è in mezzo ai liberali che li trova. Lo si vede in Europa ogni giorno. Togli l'idolatria per lo Stato nazionale tipica di comunisti e fascisti, sostituiscila con quella per il super-Stato europeo e hai i nuovi super-statalisti. I liberali sono quelli dello Stato minimo , i liberali europei sono quelli che vogliono « più Europa ». Come se allontanare dagli individui e dalle comunità locali il centro in cui sono prese le decisioni, trasferendolo a Bruxelles, renda giusti e lodevoli i piani pluriennali ei sacrifici che li accompagnano.

Si è visto anche ieri a Strasburgo, quale sia la loro idea di libertà. In aula è intervenuto il primo ministro ungherese Viktor Orbán , presidente di turno della Ue: un leader di destra eletto con le regole della democrazia. La sinistra comunista ha allestito il solito Circo Barnum. Ilaria Salis ha detto che non si può assegnare la presidenza all'Ungheria, Ignazio Marino ha paragonato Orbán a Mussolini ed Hitler e in tanti hanno cantato “Bella ciao”, diventata inno della sinistra europea grazie a Netflix, multinazionale statunitense quotata al Nasdaq . Ma quando sono i clown della politica a fare certe cose nemmeno è notizia: stanno lì per questo.

Il problema è quando chi si proclama liberale si comporta come loro. In Europa liberal significa innanzitutto Renew Europe, emanazione del presidente francese Emmanuel Macron. E in Italia vuol dire Azione di Carlo Calenda , Italia Viva di Matteo Renzi e +Europa di Emma Bonino , Riccardo Magi e Benedetto Della Vedova, che a Renew Europe fanno riferimento pur essendo fuori dal parlamento europeo. La francese Valérie Hayer, capogruppo di Renew Europe in quell'assemblea, ha detto che «è ora di sospendere il diritto di voto dell'Ungheria nel consiglio Ue». O la si pensa come loro, sull'immigrazione e il resto, o non si ha diritto di rappresentanza nell'Europa che vogliono costruire: vale per i governanti e per i popoli che li scelgono (così, la prossima volta, prima di votarli ci penso due volte).

È la stessa Hayer che aveva chiesto a Ursula von der Leyen di non assegnare l'incarico di commissario e vicepresidente a Raffaele Fitto, ritenendo «preoccupante» che un esponente di Fdi avesse un ruolo simile. E che quando von der Leyen ha tirato dritto ha promesso «massima vigilanza» democratica nei confronti del pericoloso italiano. Se lei e gli altri sembrano le caricature senza voti di tutte le Elly Schlein del mondo, è perché lo sono.

Lo dimostra pure il grande esperimento di pianificazione economica sul quale i liberali fanno blocco con la sinistra. «L'attuazione del Green Deal sarà una priorità per noi», avverte Hayer, custode del dogma della decarbonizzazione, appena qualcuno chiede di allentare i vincoli per non strozzare consumatori e imprese. Tra lo statalismo ritinto di verde e la difesa dell'economia privata, i liberali hanno scelto il primo. E anche in questo sono agli antipodi rispetto al liberalismo vero, il pensiero di Luigi Einaudi e Antonio Martino, per i quali meno lo Stato faceva (e meno metteva lacci, spendeva e tassava), meglio era per tutti noi.

La differenza tra i liberali ei liberal che sventolano il manifesto di Ventotene e vogliono creare gli Stati Uniti d'Europa la spiegò Margaret Thatcher nel 1988, nel discorso che tenne a Bruges, in Belgio. Già allora, infatti, era chiara la direzione che stavano prendendo le istituzioni di Bruxelles. La premier inglese disse ai suoi colleghi europei che «la Comunità non è un fine in sé. Né è un dispositivo istituzionale da modificare costantemente secondo i dettami di qualche concetto intellettuale astratto. Né deve essere ossificata da regolamenti infiniti». È invece «un mezzo pratico attraverso cui l'Europa può garantire la futura prosperità e sicurezza dei suoi popoli», e il modo per farlo è «la cooperazione volontaria e attiva tra Stati sovrani indipendenti».

Al contrario, «cercare di sopprimere la nazionalità e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e metterebbe a rischio gli obiettivi che dobbiamo raggiungere». Per questo, e perché «tutta la storia dell'America è molto diversa da quella europea», contestò il progetto degli Stati Uniti d'Europa. Lavorare insieme sulle materie in cui conviene farlo «non richiede che il potere sia centralizzato a Bruxelles o che le decisioni siano prese da una burocrazia di nominati». L'opposto di ciò che sostengono oggi i liberali. Non è solo una questione di metodo: è il loro modello d'Europa a essere illiberale.

Nasce da quel costruttivismo che denunciava Friedrich von Hayek (il “padre” di Thatcher, Martino e tanti altri): l'idea per cui «l'uomo, dato che ha creato egli stesso le istituzioni della società e della civiltà, deve anche poterle alterare a suo piacimento in modo che soddisfino i suoi desideri o le sue aspirazioni». Una «mentalità di tipo ingegneristico», una smania di pianificare l'economia e calare progetti per limitare la libertà degli individui che è la stessa dei socialisti. Con la differenza che questi, almeno, la chiamano col nome giusto, mentre i liberal la spaziano per la quintessenza dell'idea liberale.

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Libero Quotidiano

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