Fallimenti e penalizzazione già a settembre, Serie C risiamo: la verità è che il pallone italiano non vuole cambiare | commento
- Postato il 19 settembre 2025
- Sport
- Di Il Fatto Quotidiano
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Ogni anno, la stessa storia: proprietà fantasma, valanghe di punti di penalizzazioni, campionati condizionati o proprio falsati. Lo scriviamo oggi, a settembre 2025, ma potrebbe essere benissimo un articolo della stagione scorsa (quando raccontavamo la scomparsa di Taranto e Turris), del 2023 o di altri anni passati. Ci concentriamo sulle singole vicende, di questa o quell’altra squadra in crisi, per motivi che sono sfumature diverse dello stesso problema: la proprietà che stufa di perdere soldi ha chiuso i rubinetti, i guai giudiziari che all’improvviso colpiscono il presidente, cessioni societarie opache con i club che finiscono in mano a degli avventurieri. Ma significa guardare il dito e non la luna: perché se gli scandali si ripetono continuamente, sostanzialmente uguali a se stessi, significa che il sistema è sbagliato. Ma nessuno ha la forza, il coraggio e forse nemmeno la volontà di metterci mano.
Evidentemente le norme attuali non sono sufficienti a garantire la regolarità dei tornei: c’è un problema se questi club risultano in regola per l’iscrizione pur essendo a un passo dal fallimento. Anche lo sfasamento che esiste tra le scadenze degli stipendi di una stagione e le verifiche iscrittive a quella successiva (è possibile rispettare le seconde, a giugno, ma poi mancare l’ultima rata dei pagamenti, controllata a luglio) è causa ulteriore di cortocircuiti. Bisognerebbe interrogarsi su tutte queste penalizzazioni: giusto controllare e sanzionare i comportamenti scorretti, non è più pensabile (come accadeva magari in passato) di vincere sul campo barando fuori. Però non ha molto senso nemmeno sommergere di penalità squadre che così partono già retrocesse e sono solo incentivate al fallimento e a falsare il torneo (tanto varrebbe tagliare prima la testa al toro).
Manca poi da sempre un controllo sulle proprietà: è vero che la Covisoc (l’organo Figc) e le Leghe non hanno né gli strumenti né i poteri per guardare davvero dentro le società, ma nemmeno possono cascare ogni volta dal pero. Vedremo se cambierà qualcosa con la nuova Agenzia governativa che entrerà in funzione a gennaio e dovrebbe avere anche questo fra i suoi compiti (i dubbi sono tanti). In primavera, proprio dopo il disastro della scorsa stagione, almeno sono stati inaspriti i requisiti per l’iscrizione, in particolare è stata raddoppiata la fideiussione bancaria da depositare, da 350 a 700mila euro: un primo passo, ma sono comunque pochi, per portare a termine un campionato di Serie C servono fra almeno fra i 2 e i 3 milioni, il rischio che una squadra salti a metà stagione rimane possibile. L’obiezione è che con parametri troppo severi, tanti club non riuscirebbero più ad iscriversi. E allora? Forse è proprio questa la soluzione.
Il problema infatti è strutturale. Il calcio italiano non ha mai fatto i conti con lo sfaldamento del tessuto economico del Paese, la piccola e media imprenditoria locale, su cui si reggeva il movimento: se nella punta della piramide, cioè la Serie A, le proprietà italiane sono state sostituite da quelle straniere, tra magnati e fondi interessati a investire nelle grandi piazze, in provincia, nelle categorie minori e soprattutto in Serie C, è venuta meno proprio l’impalcatura su cui si reggevano i club. Oggi non possiamo più permetterci 100 squadre professionistiche: semplicemente non ce ne sono così tante, infatti ogni anno alcune scompaiono. La riforma dei campionati è necessaria: ce lo diciamo da tempo, non è mai stata fatta, per i veti incrociati delle varie leghe e l’immobilismo della FederCalcio (il presidente Gravina l’aveva inserita nel suo programma elettorale nel 2018: 7 anni dopo ripete ancora la stessa solfa). Ci vorrebbe un intervento di sistema, che parta dalla Serie A (dove pure il format a 20 ormai è anacronistico) e a catena interessi i tornei inferiori. Intanto per tamponare l’emergenza e ridurre i club in Serie C, dove c’è la situazione critica, sarebbe bastato bloccare i ripescaggi: con tutti i fallimenti e le mancate iscrizioni che ci sono state negli ultimi 5 anni, avremmo già attuato metà riforma senza accorgercene. Non è stato fatto manco questo. Il pallone italiano non vuole cambiare, inutile allora stupirsi.
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