Fagioli ammette: “Iniziai a scommettere a 16 anni. Sapevo di avere una malattia, ma non volevo ammetterlo a me stesso”
- Postato il 26 novembre 2024
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Lui faceva finta di non sapere”. Comincia con queste parole il documentario ‘Fragile – la storia di Nicolò Fagioli‘ disponibile su Amazon Prime in cui il centrocampista della Juventus parla della brutta esperienza con la ludopatia.
A iniziare il racconto è sua madre Laura: “Mi ha chiamato dicendomi ci fosse la Polizia sotto a casa, ma che non sapeva il motivo”. Nel documentario si ripercorre tutto il periodo in questione con le parole della famiglia, di alcuni compagni, Cristiano Giuntoli e Paolo Jarre, psicoterapeuta con cui Fagioli ha intrapreso il suo percorso riabilitativo. “Sapevo di avere una malattia, ma non volevo ammetterlo a me stesso” svela il calciatore. “Ho iniziato a giocare qualche scommessa con gli amici quando avevo 16 anni. Era un modo stupido per passare il tempo. Negli anni è peggiorata perché ha iniziato a essere sempre più frequente perché poi mi alzavo con la voglia di andare a scommettere. In U23 ho iniziato a giocare più soldi del normale. All’inizio non giocavo per vincere soldi ma per l’adrenalina che mi dava. Quando ero alla Cremonese avevo preso il Covid e mi era durato 25 giorni e stavo molto tempo in casa. In quel periodo era diventato tutto automatico farlo, ho iniziato a capire che potevo avere qualche problema. Sono andato al SERT per parlare con qualcuno che si occupasse di gioco d’azzardo per due o tre volte, ma non mi sembrava molto utile a me stesso”.
“Pensavo di non aver bisogno di persone specializzate per uscire da questa cosa. Ho iniziato a capire che poteva esserci qualcosa di pesante nei miei confronti a settembre del 2022, nella stagione in cui sono tornato alla Juve dalla Cremonese. Continuavo a sfuggire dai problemi e anche le somme che scommettevo erano sempre più grandi così come i problemi. Non volevo ammetterlo a me stesso e sono andato avanti 6-7 mesi. Ogni tanto vincevo ma ripagavo quel che perdevo. Nel momento più brutto facevo anche 12-13 ore attaccato al telefono, non me ne accorgevo proprio. Sembrava una bolla con me stesso, mi parlavano e dopo un’ora mi ero scordato cosa mi avevano chiesto o detto”.
Infine la domanda cruciale: “Cosa spinge un ragazzo come me, che ha tutto, a giocare d’azzardo? Bella domanda, anche io me la chiedo. Diciamo che noi calciatori dopo l’allenamento abbiamo tanto tempo libero e io l’ho occupato nel modo sbagliato. Penso sia questo il motivo per cui sono caduto in questa malattia”.
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