Fa sesso col marito durante la visita in carcere davanti al figlio minorenne. Denunciata. E le stanze dell’amore?
- Postato il 31 ottobre 2025
 - Cronaca
 - Di Blitz
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                                                                            Che fine hanno fatto le cosiddette “stanze dell’amore”, quegli spazi al riparo da sgauardi indiscreti che nelle carceri dovrebbero consentire l’esercizio dell’affettività che la Costituzione garantisce anche ai detenuti?
La questione si impone d’urgenza e non solo per ragioni di principio: una detenuta di 37 anni è stata denunciata – atti osceni in luogo pubblico – per aver fatto l’amore con il marito di fronte al figlio minorenne durante la visita.
Nella sala colloqui della sezione femminile a Rebibbia
Luogo del delitto: la sala colloqui nella sezione femminile del carcere di Rebibbia a Roma. Moglie e marito sono stati interrotti durante l’atto sessuale dalle guardie penitenziarie che hanno visto tuttotramite le telecamere del sistema di videosorveglianza.

L’uomo si sarebbe abbassato i pantaloni, la donna avrebbe alzato le vesti prima di sedersi sul partner. Una scena così, una specie di video hard casalingo che sembra umiliare un po’ tutte le parti in causa.
Moglie marito e figlio minorenne, s’intende, ma anche la polizia penitenziaria oltre alla burocrazia ministeriale che non assolve ai suoi obblighi. Dicevamo del diritto all’affettività e conseguente ricorso alle stanze dell’amore.
Una recente sentenza della Corte Costituzionale ha dichiarato illegittima quella norma dell’ordinamento penitenziario che nega gli incontri tra i detenuti e i partner senza controllo visivo. Ristabilendo in questo modo il diritto all’affettività in carcere. Solo che il Governo non è d’accordo e l’attuazione di quel diritto resta lettera morta.
Guardie o guardoni?
A questo proposito, va ricordata la posizione ostile del sindacato della polizia penitenziaria (Sappe). “Non possiamo tollerare che la dignità professionale dei poliziotti penitenziari venga svilita fino al punto da renderli, di fatto, custodi dell’intimità altrui”, si lamenta il sindacato.
Ma a Rebibbia le circostanze descritte non hanno finito davvero per sminuire gli agenti in servizio alla condizione invisa di “custodi dell’intimità altrui”, da guardie a “guardoni”?
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