F1, McLaren: acqua nelle gomme per gestire scambio termico e pressioni
- Postato il 7 novembre 2024
- Sport
- Di Virgilio.it
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In F1 la parola guerra è spesso presente, specie quando due scuderie gareggiano sino al termine della stagione per i titoli iridati. È giusto il caso di Red Bull e McLaren che, oltre in pista, si sfidano a colpi di soffiate per trarre vantaggio. Un battibecco che prosegue oramai da mesi annoverando diverse questioni. Ricorderemo il “Mini DRS” della MCL38, caso scoppiato in Azerbaijan a margine della vittoria di Oscar Piastri che ha battuto sul filo di lana la Ferrari di Charles Leclerc. Sistema tramite il quale la vettura inglese poteva abbattere la resistenza all’avanzamento. Idem per quanto concerne la spinosa faccenda legata al “T-Tray” della RB20, archibugio potenzialmente in grado di modificare le altezze da terra con il parco chiuso.
L’ultima scaramuccia nasce ancora una volta da questo fantastico duo. In questo caso è la scuderia di Milton Keynes che accusa quella di Woking. Lo fa perché in tempi non sospetti avrebbe già adottato un trucchetto del genere. In F1 i tecnici cambiano spesso casacca, e portare soluzioni all’interno di un altro team è più facile di quanto possa sembrare. Un salto nel recente passato sarà utile per centrare maggiormente la questione. All’inizio dell’estate, Red Bull aveva inviato una lettera di chiarimento alla Federazione Internazionale relativa a diverse questioni. Aveva chiesto informazioni su Mercedes e Ferrari, mentre sulla McLaren, la mail inviata a Tombazis chiedeva chiarimenti relativi all’impianto frenante della MCL38.
Sistema non del tutto idoneo, in quanto presentava canali di sfogo per creare un passaggio d’aria. Una mossa che poteva incidere sulle temperature delle gomme. Si tratta di uno spunto di riflessione che ci fa capire quanto le scuderie siano concentrate pure sugli avversari, perché togliere un punto a favore a chi lotta per il tuo medesimo obiettivo, a volte è più semplice che produrre un aggiornamento che ti consenta di realizzare un salto prestazionale. Si spendono meno soldi, che in epoca budget cap sono contingentati al centesimo, e soprattutto si fa innervosire e non poco i competitor, costretti a fare a meno di un beneficio che avevano studiato sulla carta e pensavano di poter sfruttare.
F1, acqua nelle gomme McLaren: lo scambio termico
L’ultima novità presunta è ancora più estrema. Parliamo di uno scenario ipotetico, è bene ricordarlo, in quanto sino a questo momento nessuna prova pare sia emersa. Generalmente, nelle gomme di F1 viene immessa aria secca, per mantenere quanto più stabile possibile il lavoro dello pneumatico durante la marcia del veicolo. Questa la teoria. Nel caso di McLaren, supportando la tesi Red Bull, i tecnici di Woking avrebbero adottato una tecnica per trarre un vantaggio nell’amministrazione dei compound. Lo avrebbero fatto introducendo una piccola quantità d’acqua all’interno delle coperture. Manovra che produce la modifica di almeno due parametri importanti.
La domanda interessante riguarda le modalità di introduzione di questo fluido nella carcassa delle coperture. Il regolamento della FIA controlla e limita fortemente la pressione iniziale delle gomme, ossia quando la monoposto è ferma in garage. La tesi pertanto potrebbe essere questa: inserire un piccolissimo quantitativo d’acqua, prossimo al valore di 0,05 litri per “calzatura”. Parliamo di un’operazione di per sé molto difficile, in quanto la pressione è già regolata dalla Pirelli e modificare questo parametro senza essere beccati, oltre a non essere semplice, implica ultimare un protocollo non standard. Qui nasce il primo dubbio su come rendere effettiva questa mossa.
Farlo senza mettere a repentaglio struttura e operatività della gomma fa parte di un piano assai problematico. Ragionandoci su, un’eventualità potrebbe riguardare l’utilizzo di una sorta di miscela tra aria e acqua nebulizzata. All’interno del garage, gli pneumatici montati sulle monoposto raggiungono una temperatura di 80 gradi grazie alle termocoperte. Un valore che non fa evaporare l’acqua sino a quando il veicolo non è in movimento. Un particolare che ci aiuta a capire la tattica adottata. In altre parole: l’acqua presente all’interno dello pneumatico non produrrebbe nessun tipo di effetto nei box. Successivamente, considerando che la pressione all’interno della gomma è di circa 25 psi, quando la temperatura arriva attorno ai 120°C, la forza centrifuga distribuirebbe il liquido lungo l’area interna della carcassa, trasformandolo in vapore.
Il primo vantaggio che un provvedimento del genere potrebbe offrire riguarda la capacità di gestire lo scambio termico tra gomma e cerchione, e di riflesso tra l’area interna dello pneumatico e il suo battistrada. Se il liquido fosse quindi in grado di uniformare la distribuzione del calore, la conseguenza diretta sarebbe una stabilità maggiore delle temperature di esercizio. Un risultato capace di alzare la performance della vettura. La ragione in tal senso è molto semplice: un battistrada all’interno della working range ideale, come sappiamo, offre un’impronta a terra della mescola maggiore e concorre all’aumento del grip generato dallo pneumatico.
Più aderenza significa andare più forte, in trazione e in curva. Per di più si andrebbe a limitare di parecchio i rischi di overheating o raffreddamento parziale di uno dei due assi, evitando la dannosa asincronia termica. Fenomeni che possono incidere in maniera molto pesante sulla vita utile del compound, in quanto aumentano il consumo della mescola. In Brasile abbiamo ancora una volta capito quanto sia difficile gestire le temperature delle gomme, specie quando un contesto competitivo presenta condizioni di pista cangianti. Ferrari ha dato prova delle difficoltà sofferte, tra qualifica e gara, dove non è mai riuscita a raggiungere la temperatura target per poi stabilizzarla.
F1, acqua nelle gomme McLaren: innalzamento delle pressioni
Un’altra questione interessante riguarda l’azione di una forza su una superficie circoscritta. Quando l’acqua si trasforma in stato gassoso andrebbe a scatenare un aumento di pressione interna alla carcassa della gomma. Anche in questo caso parliamo di un fenomeno che avrebbe un impatto importante nella gestione delle coperture, che di per sé è un equilibrio assai complicato da valutare. McLaren, grazie all’evaporazione dell’acqua, potrebbe raggiungere la pressione target nella carcassa della gomma anche in condizioni difficili, dove le temperature esterne della pista non lo consentirebbero con facilità, potendo quindi raggiungere il valore ideale di esercizio prima degli avversari.
Per concludere questa analisi va detto che una tattica del genere è tutto tranne che facile da portare a termine, poiché le variabili in gioco per far funzionare questa strategia sono molteplici. Sosteniamo questo in quanto, la più piccola valutazione errata in merito alle condizioni del piano di riferimento (asfalto) o a un dosaggio erroneo del fluido inserito, di riflesso, andrebbero a produrre effetti collaterali indesiderati. Risultato? Invece di migliorare le prestazioni della vettura tramite la gestione gomme, si potrebbe facilmente ottenere l’effetto contrario e limitare il rendimento delle mescole. Ecco perché la precisione estrema dovrebbe fare presenza, una ragione in più per valutare questo ipotetico “trick” complesso e potenzialmente nocivo.
In ultima istanza la posizione di Pirelli al riguardo. La Federazione Internazionale possiede gli strumenti per tenere sotto controllo tale scenario. Ovviamente, quello che è stato fatto in passato non è più verificabile e per questo, se McLaren avesse utilizzato un sistema del genere, il vantaggio acquisito resterebbe del tutto impunito. Durante la burrasca del sabato brasiliano, in attesa di una qualifica che non è mai arrivata, Mario Isola si è espresso sul tema. L’italiano, a capo del fornitore unico di pneumatici in F1, ha reso noto che le misurazioni per individuare la presenza di vapore o acqua nelle gomme sono possibili. Inoltre, sarebbero in grado di stabilire un’eventuale manipolazione termica dei compound…