Eutanasia fuori controllo

  • Postato il 22 novembre 2025
  • Di Panorama
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Ho lottato per metà della mia vita per arrivare al mattino successivo, e ora sono giunta al punto in cui è diventato insopportabile. Sono esausta». Siska De Ruysscher, ventiseienne belga malata da anni di depressione, il 2 novembre è morta. Il Belgio le ha concesso l’eutanasia, dopo anni di tentativi di cure insufficienti e inefficaci. È stata la giovane stessa a spiegarlo: «Penso che molte cose debbano cambiare nel sistema sanitario. Io sono il prodotto di un sistema fallimentare». Parole lapidarie. Siska aveva subito violenza a 14 anni e da allora soffriva di depressione cronica e disturbo da stress traumatico. Aveva tentato più volte il suicidio, era stata avviata a programmi di recupero: «Procedure. Liste d’attesa. Rimborsi… Sono stata rinchiusa in celle di isolamento, mi hanno sedata, mi hanno legata su barelle, ho visto gli infermieri alzare gli occhi al cielo, come per dire “eccola di nuovo qui”. Posso contare sulle dita di una mano gli operatori sanitari competenti che ho incontrato». Poi, la richiesta ufficiale di morire. Accettata e protocollata, come un cambio di residenza o un passaggio di proprietà: Siska è stata uccisa in un ospedale di Anversa. Un quadro agghiacciante, che ricorda un altro caso simile avvenuto l’anno scorso in Olanda.

Il caso di Zoraya ter Beek
Zoraya ter Beek aveva 29 anni quando le autorità sanitarie dei Paesi Bassi hanno dato il via libera alla sua morte nel maggio 2024. La ragazza era affetta da depressione, autismo e disturbo borderline di personalità. La vicenda, dai contorni distopici, aveva assunto una deriva ancora più inquietante dopo le parole della donna, rilasciate pochi mesi prima di morire, in cui spiegava che il trapasso sarebbe avvenuto nel salotto di casa, insieme al fidanzato e ai loro gatti: «Niente musica, sarò sul divano in soggiorno. Il dottore mi chiederà se sono pronta due volte e inizierà la procedura». La storia di Zoraya aveva scatenato polemiche a livello globale. Eppure, il suo non è un caso isolato.

I numeri dell’eutanasia nei Paesi Bassi
Basta guardare i dati ufficiali dell’Olanda. Stando al report del 2024 delle Commissioni regionali per la valutazione e il controllo dell’eutanasia (Rtes), le richieste di morte per mano dello Stato sono in costante crescita. L’anno scorso, le occorrenze totali nei Paesi Bassi sono state 9.958, il 10 per cento in più rispetto al 2023, passando dal 5,4 al 5,8 per cento rispetto al numero di decessi complessivi. «Al momento, non c’è motivo di supporre che il graduale aumento registrato negli ultimi anni si arresterà presto», si legge nel documento. Dei 9.753 pazienti morti, la maggioranza aveva il cancro (5.346). Seguono i disturbi neurologici (681), malattie cardiovascolari (429), disturbi polmonari (346) e infine una combinazione di condizioni somatiche (1.791). Ben 427 casi di eutanasia hanno coinvolto persone affette da demenza. Sempre dal report: «Sei casi esaminati nel 2024 riguardavano pazienti in uno stadio avanzato di demenza che non erano più capaci di decidere in merito alla richiesta di eutanasia e non potevano comunicare. In questi casi, le loro direttive anticipate hanno sostituito una richiesta orale di eutanasia».

Il nodo dei disturbi psichiatrici
E veniamo ora al punto più controverso: «219 notifiche di eutanasia riguardavano pazienti la cui sofferenza era (in gran parte) causata da uno o più disturbi psichiatrici. Undici persone erano di età compresa tra 30 e 60 anni e 78 over 60. Ben 30 decessi hanno interessato persone tra i 18 e i 30 anni. Due casi hanno riguardato minori di età compresa tra 12 e 18 anni». In Olanda, infatti, così come in Belgio, anche i minorenni possono chiedere allo Stato di morire ed essere accontentati.

Geriatria e “altre condizioni”
Sono stati 397 invece i casi di eutanasia messi nella categoria “Sindromi geriatriche multiple”, ovvero: «Deficit visivo, deficit uditivo, osteoporosi e i suoi effetti, osteoartrite, problemi di equilibrio o declino cognitivo». Ma è l’ultima sezione, denominata asetticamente “Altre condizioni” a indicare, anche ai meno scettici sul tema del fine vita, la china che può prendere la cultura dell’autodeterminazione senza limiti: nel 2024, 232 casi di eutanasia hanno riguardato pazienti con «sindrome da dolore cronico, malattie genetiche rare, insufficienza renale, cecità, fratture gravi o long Covid».

Il Belgio: numeri in aumento
Passando al Belgio, il trend è il medesimo: nel 2024 le eutanasie praticate sono state 3.991, in aumento del 16,6 per cento rispetto al 2023. L’eutanasia ha rappresentato il 3,6 per cento dei decessi totali. L’1,4 per cento delle morti procurate ha riguardato under 40. Un caso, invece, ha coinvolto un paziente minorenne. Le morti per patologie psichiatriche e disturbi cognitivi sono stati il 2,8 per cento del totale: al di là delle fredde percentuali, oltre un centinaio di persone. Spulciando il report belga, compaiono anche due decessi richiesti (e ottenuti) per “Malattie della pelle” e “Sintomi e risultati clinici e di laboratorio anomali”.

Il precedente di Tine Nys
Oltre al caso di Zoraya, il Paese fu teatro di un altro episodio inquietante: nel 2009 Tine Nys, 37 anni, un passato di disturbi mentali, rimase traumatizzata dalla fine di una relazione e iniziò a cercare un dottore disposto a somministrarle il farmaco letale. Nel febbraio 2010 le fu diagnosticato l’autismo e due mesi dopo fu soppressa. I suoi familiari portarono i dottori che seguirono il suo caso in tribunale, senza esito.

Il caso spagnolo
Spostandoci a Sud, per mesi ha tenuto banco in Spagna il caso di una ventitreenne catalana che, dopo un tentato suicidio, è rimasta paraplegica e ha deciso di ricorrere all’eutanasia, legalizzata da Madrid nel 2021. Il suo caso è stato ritenuto idoneo e, malgrado il ricorso del padre, che per aver cercato di evitare la soppressione della figlia è stato bollato da alcuni media come un “ultra cattolico”, la ragazza è stata uccisa, con l’avallo del Tar di Barcellona.

Svizzera e turismo del suicidio
In costante aumento anche i decessi procurati in Svizzera, terra del “turismo del suicidio” per antonomasia. La Repubblica elvetica, come noto, offre il “servizio” anche agli stranieri. Per ottenere l’eutanasia bastano certificazioni mediche, una lettera motivazionale e una cifra intorno ai 10 mila euro, anche per i pazienti affetti da depressione, (non tutte le associazioni private, tuttavia, accettano pazienti affetti da disturbi psichiatrici). Nel settembre 2024, in un bosco nel Canton Sciaffusa, è stata inaugurata la capsula Sarco, chiamata anche “Tesla dell’eutanasia”. Un’americana di 64 anni si è tolta la vita dentro alla bara che rilascia azoto, ideata da Florian Willet, fondatore di The Last Resort. Willet fu arrestato e scontò 10 settimane di carcere, non essendo Sarco conforme alle leggi svizzere. Il 5 maggio scorso, si è tolto anch’egli la vita.

Il dibattito in Francia e Italia
Nel frattempo, Italia e Francia sono alle prese con il tentativo di legiferare sul fine vita. Oltralpe, il Senato sta discutendo due proposte di legge, la prima sulle cure palliative e la seconda sulla morte di Stato. Per ricevere il farmaco letale, il paziente deve essere maggiorenne, in grado di prendere decisioni libere e consapevoli e avere una patologia grave, incurabile e a uno stadio avanzato o terminale. Un emendamento del governo aveva però ampliato il concetto di “fase avanzata”, aprendo le porte a chiunque viva una sofferenza fisica o psicologica costante e insopportabile. Durante i lavori in Aula, gli onorevoli hanno aggiunto che «una sofferenza psicologica da sola non può in nessun caso permettere di beneficiare dell’aiuto a morire».

Il caso italiano e l’intervento di Diego Dalla Palma
In Italia la posizione dell’Associazione Luca Coscioni, che da anni si batte per una legge sul fine vita, non include la possibilità di accesso al suicidio per i pazienti psichiatrici. I casi frequenti del Nord Europa e il rafforzarsi di una “cultura dello scarto” che porta gli stessi malati a considerarsi un peso per la società aprono però scenari preoccupanti. Nei giorni scorsi, sono state rilanciate le dichiarazioni di Diego Dalla Palma, visagista di fama internazionale, che ha raccontato al Corriere della Sera di avere in agenda una morte programmata che ha già organizzato con avvocato e notaio. Il racconto, intimo, umano, ma dai tratti così lucidi da apparire sconcertante, arriva alla vigilia dei suoi 75 anni. «Comincio a sentire che alzarmi dalla sedia, al cinema o a teatro, diventa una piccola umiliazione: traballo. Devo cambiare le mutande due volte al giorno. La mente non è più quella di prima. È vita?», si chiede il truccatore, che non vuole arrivare a spegnere 80 candeline. «Sarò da solo, in un luogo del cuore, all’estero. L’ultimo mese è tutto deciso».

Autore
Panorama

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