Europa, unita sì… ma solo per lo sconto doganale

  • Postato il 31 luglio 2025
  • Editoriale
  • Di Paese Italia Press
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Rio de Janeiro – Raggiunto l’accordo tra UE e USA per calmierare i dazi al 15%: l’unica politica estera europea che funziona è quella al supermercato. Chi ci guadagna? Tutti, ma a patto di non chiedere troppi dettagli.
 
Ma quale politica estera europea! Ci prendiamo in giro?
L’Unione Europea come attore internazionale? Solo se si parla di tariffe. Il recentissimo accordo con gli Stati Uniti sui dazi, fissati al 15% per una serie di prodotti chiave, sembra essere l’unico caso in cui Bruxelles riesce a parlare con una voce sola. Miracolo? No, interesse economico. Perché, come sempre, quando c’è di mezzo il portafogli, l’unità si ritrova. Altro che Palestina, Africa o Ucraina.
Nel frattempo, sullo scacchiere internazionale ogni Stato membro continua a giocare per conto proprio, con mosse da solista che metterebbero in crisi anche un maestro di scacchi cieco. L’uscita di Macron sul riconoscimento della Palestina, le iniziative di Spagna, Irlanda e perfino della Norvegia (ospite fissa senza diritto di voto), ci ricordano che il coordinamento europeo è più una fantasia erotica che una strategia geopolitica.
Il termine “politica estera europea” ormai suona come uno di quei vecchi slogan pubblicitari tipo “consegna in 24 ore” o “offerta limitata”: tutti sanno che non è vero, ma fa ancora scena.
Coordinamento europeo? Al massimo c’è coordinamento per la stampa dei volantini.
In compenso, a Bruxelles continuano a parlare con entusiasmo della “voce unica dell’Europa nel mondo”, ma si tratta evidentemente di un problema di udito. Più che una voce, si sente un coro stonato in cui ogni Paese canta la sua parte, spesso anche fuori tempo. L’Italia, come sempre, partecipa con entusiasmo, ma dimentica il testo.
Un accordo doganale e mezzo miracolo: ecco la vera Unione
Eppure, attenzione: l’accordo commerciale raggiunto con Washington è stato salutato da molti politici ed economisti come una prova di maturità dell’Europa. O almeno del suo istinto di conservazione. Perché se da un lato dimostra che si può ancora negoziare in blocco, dall’altro ci ricorda che l’unico tema su cui si può contare su Bruxelles è il commercio. Meglio se si parla di acciaio, formaggi o chip e non di diritti umani, difesa o sanzioni.
Von der Leyen l’ha definito “il più grande accordo commerciale mai raggiunto”. Forse anche perché è l’unico vero che si possa presentare con orgoglio in una conferenza stampa senza che qualcuno faccia una domanda imbarazzante.
Ma chi ci guadagna davvero? Apparentemente tutti. Gli europei tirano un sospiro di sollievo sull’agroalimentare e l’industria automobilistica. Gli americani mantengono la barra del protezionismo moderato e portano a casa un bel messaggio elettorale. I cinesi osservano e prendono appunti. E i britannici? Probabilmente si sono persi l’email.
Interesse nazionale, 1 – Europa unita, 0
In questa Europa che riesce a unirsi solo davanti a una minaccia doganale, resta comunque evidente il punto: non esiste un’identità strategica condivisa. Ognuno continua a ballare da solo, tranne quando arriva la musica dei dollari. A quel punto, improvvisamente, ci si ritrova tutti a fare la stessa coreografia – magari goffa, ma almeno coordinata.
Macron, sempre più acrobata tra l’europeismo e la grandeur francese, lo sa bene: si può essere paladini dell’Unione la mattina e portabandiera dell’interesse nazionale il pomeriggio. È il nuovo stile continentale: elastico, adattabile, altamente performativo. Un po’ come certi tessuti tecnici.
Considerazioni finali (senza dazi):
Alla fine, la politica estera europea esiste. Ma è una specie particolare: compare solo in presenza di minacce economiche, di preferenza in forma di Excel. Per il resto, resta sospesa tra i sogni di Altiero Spinelli e le risatine ciniche di chi osserva come ogni Stato vada per conto suo con la disinvoltura di chi sa che nessuno lo fermerà.
Che ci sia bisogno di cambiare testa, norme, ambizioni e forse anche abitudini alimentari è fuori discussione. Ma nel frattempo, consoliamoci: l’accordo sui dazi dimostra che, se stimolati nel modo giusto (cioè sul punto giusto), gli europei riescono ancora a fare qualcosa di buono e insieme.
Peccato che la geopolitica non si possa pagare con la carta fedeltà.
 
Giuseppe Arnò
 
, unita sì… ma solo per lo sconto doganale
 
Raggiunto l’accordo tra UE e USA per calmierare i dazi al 15%: l’unica politica estera europea che funziona è quella al supermercato. Chi ci guadagna? Tutti, ma a patto di non chiedere troppi dettagli.

Ma quale politica estera europea! Ci prendiamo in giro?
L’Unione Europea come attore internazionale? Solo se si parla di tariffe. Il recentissimo accordo con gli Stati Uniti sui dazi, fissati al 15% per una serie di prodotti chiave, sembra essere l’unico caso in cui Bruxelles riesce a parlare con una voce sola. Miracolo? No, interesse economico. Perché, come sempre, quando c’è di mezzo il portafogli, l’unità si ritrova. Altro che Palestina, Africa o Ucraina.
Nel frattempo, sullo scacchiere internazionale ogni Stato membro continua a giocare per conto proprio, con mosse da solista che metterebbero in crisi anche un maestro di scacchi cieco. L’uscita di Macron sul riconoscimento della Palestina, le iniziative di Spagna, Irlanda e perfino della Norvegia (ospite fissa senza diritto di voto), ci ricordano che il coordinamento europeo è più una fantasia erotica che una strategia geopolitica.
Il termine “politica estera europea” ormai suona come uno di quei vecchi slogan pubblicitari tipo “consegna in 24 ore” o “offerta limitata”: tutti sanno che non è vero, ma fa ancora scena.
Coordinamento europeo? Al massimo c’è coordinamento per la stampa dei volantini.
In compenso, a Bruxelles continuano a parlare con entusiasmo della “voce unica dell’Europa nel mondo”, ma si tratta evidentemente di un problema di udito. Più che una voce, si sente un coro stonato in cui ogni Paese canta la sua parte, spesso anche fuori tempo. L’Italia, come sempre, partecipa con entusiasmo, ma dimentica il testo.
Un accordo doganale e mezzo miracolo: ecco la vera Unione
Eppure, attenzione: l’accordo commerciale raggiunto con Washington è stato salutato da molti politici ed economisti come una prova di maturità dell’Europa. O almeno del suo istinto di conservazione. Perché se da un lato dimostra che si può ancora negoziare in blocco, dall’altro ci ricorda che l’unico tema su cui si può contare su Bruxelles è il commercio. Meglio se si parla di acciaio, formaggi o chip e non di diritti umani, difesa o sanzioni.
Von der Leyen l’ha definito “il più grande accordo commerciale mai raggiunto”. Forse anche perché è l’unico vero che si possa presentare con orgoglio in una conferenza stampa senza che qualcuno faccia una domanda imbarazzante.
Ma chi ci guadagna davvero? Apparentemente tutti. Gli europei tirano un sospiro di sollievo sull’agroalimentare e l’industria automobilistica. Gli americani mantengono la barra del protezionismo moderato e portano a casa un bel messaggio elettorale. I cinesi osservano e prendono appunti. E i britannici? Probabilmente si sono persi l’email.
Interesse nazionale, 1 – Europa unita, 0
In questa Europa che riesce a unirsi solo davanti a una minaccia doganale, resta comunque evidente il punto: non esiste un’identità strategica condivisa. Ognuno continua a ballare da solo, tranne quando arriva la musica dei dollari. A quel punto, improvvisamente, ci si ritrova tutti a fare la stessa coreografia – magari goffa, ma almeno coordinata.
Macron, sempre più acrobata tra l’europeismo e la grandeur francese, lo sa bene: si può essere paladini dell’Unione la mattina e portabandiera dell’interesse nazionale il pomeriggio. È il nuovo stile continentale: elastico, adattabile, altamente performativo. Un po’ come certi tessuti tecnici.
Considerazioni finali (senza dazi):
Alla fine, la politica estera europea esiste. Ma è una specie particolare: compare solo in presenza di minacce economiche, di preferenza in forma di Excel. Per il resto, resta sospesa tra i sogni di Altiero Spinelli e le risatine ciniche di chi osserva come ogni Stato vada per conto suo con la disinvoltura di chi sa che nessuno lo fermerà.
Che ci sia bisogno di cambiare testa, norme, ambizioni e forse anche abitudini alimentari è fuori discussione. Ma nel frattempo, consoliamoci: l’accordo sui dazi dimostra che, se stimolati nel modo giusto (cioè sul punto giusto), gli europei riescono ancora a fare qualcosa di buono e insieme.
Peccato che la geopolitica non si possa pagare con la carta fedeltà.

Giuseppe Arnò – Direttore de La Gazzetta Italo brasiliana


 

 

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