Energia, clima e acqua: le sfide dell’Italia tra transizione green e sicurezza nazionale

  • Postato il 5 giugno 2025
  • Di Panorama
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Durante “Il Giorno della Verità”, appuntamento promosso e organizzato dal quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, per raccontare e fare il punto sulle grandi sfide della contemporaneità e sui temi che ogni giorno l’Italia si trova ad affrontare, si è svolto il panel dal titolo “Clima di potere”, condotto dal condirettore de La VeritàMassimo de Manzoni, dedicato ai temi del green, dell’energia e delle future prospettive di produzione dell’energia.

Il dibattito è stato articolato in due diversi momenti: durante il primo incontro De Manzoni ha intervistato il presidente di A2ARoberto Tasca. Il dibattito si è concentrato sull’energia come mix da ricostruire: tra rinnovabiligas e l’incognita nucleare. Dopo lo shock del 2022 dovuto alla crisi energetica seguita all’invasione russa dell’Ucraina, l’Italia si trova ancora nel pieno di una transizione energetica che, pur avviata, procede lentamente. L’interruzione quasi totale delle importazioni di gas dalla Russia, ridotte dell’82%, ha costretto il Paese -ha spiegato Tasca- a ripensare in fretta il proprio mix energetico, puntando su nuove fonti di approvvigionamento, come Algeria, Azerbaijan e gas naturale liquefatto (LNG). Tuttavia, il problema non è solo di prezzo, ma soprattutto di autonomia e sicurezza energetica. Nel quadro attuale, l’Italia produce internamente l’84% dell’energia che consuma, ma il gas ne rappresenta ancora il 42%. Le rinnovabili coprono il resto: il 17% arriva dall’idroelettrico, il 12% dal fotovoltaico, il 7% dall’eolico e il restante da altre fonti come biogas. Una situazione che necessita di una svolta decisa: bisogna aumentare in modo significativo la produzione da fonti rinnovabili per rispondere sia alla domanda crescente (stimata in circa 362 terawatt/ora nel 2030) sia agli obiettivi climatici del Green Deal europeo. L’intervista di De Manzoni al presidente Tasca è poi proseguita affrontando i temi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC), che prevede un raddoppio della capacità fotovoltaica e dell’eolico entro il 2030: Tasca ha illustrato le difficoltà di tale percorso, perché oggi, ad esempio, l’Italia dispone di circa 36 GW di fotovoltaico, ma per raggiungere gli obiettivi occorre arrivare a oltre 70 GW, il che implica un’accelerazione mai vista prima. Nel breve periodo, il gas resterà comunque centrale, anche per motivi tecnici e di bilanciamento della rete. In questo senso, è fondamentale investire nell’innovazione tecnologica degli impianti: i cicli combinati a gas più moderni, come quelli in fase di sviluppo a Monfalcone, offrono un rendimento superiore (fino al 64%) rispetto agli impianti più datati, con impatti positivi su efficienza e costi. Si è poi passati ad affrontare il tema del nucleare, sul quale l’approccio è più cauto. Secondo il punto di vista espresso dal presidente Tasca, è giusto considerare questa fonte come opzione nel medio-lungo periodo, ma entro il 2030 non potrà essere operativa nessuna centrale nucleare in Italia. Al momento, la priorità resta accelerare la transizione verso fonti più pulite, sviluppare infrastrutture adeguate – come i rigassificatori – e mantenere una visione realistica su ciò che si può fare nel breve. Un altro fronte su cui lavorare è quello dell’idrogeno, con particolare attenzione alla distinzione tra quello “blu”(prodotto da fonti fossili con cattura della CO₂) e quello “verde” (prodotto da fonti rinnovabili). L’idrogeno verde rappresenta il futuro, ma oggi ha costi molto elevati. Per questo si valuta la possibilità di importarlo da Paesi come l’Arabia Saudita, dove il costo di produzione previsto è fino al 65% più basso rispetto all’Italia. Da qui l’importanza di siglare accordi strategici internazionali. Infine, resta il tema chiave del prezzo dell’energia, che continua a gravare su famiglie e imprese. Il sistema attuale, che lega il prezzo dell’energia al costo dell’ultima fonte entrata in rete (spesso il gas), genera squilibri. Esempi come la Spagna – che ha introdotto un meccanismo per sganciare il prezzo dell’elettricità da quello del gas – mostrano che una riforma è possibile, seppure complessa. In sintesi, l’Italia è in cammino verso un mix energetico più sostenibile e autonomo, ma il traguardo richiede visione, investimenti e decisioni strategiche a tutti i livelli: tecnico, economico e politico.

Il secondo dibattito ha visto come protagonisti Nicolò Mardegan (responsabile delle relazioni esterne di Enel), Annalisa Muccioli (responsabile Ricerca e Sviluppo di Eni) ed Enrico Resmini (Chief non regulated Business Officer di ACEA), sempre intervistati dal condirettore Massimo De Manzoni.  

Tra i temi affrontati nel corso del confronto, iniziato con l’intervento di Nicolò Mardegan, è emersa con forza l’esigenza di uscire da un approccio emergenziale e costruire finalmente un piano energia strutturale, condiviso da istituzioni, imprese e territori. I contratti a lungo termine, proposti recentemente anche dalla Presidente del Consiglio, possono costituire uno strumento strategico per stabilizzare i costi: garantiscono prezzi fissi agli acquirenti e remunerazione certa agli investitori, offrendo una base solida su cui pianificare. Tuttavia – ha continuato Mardegan– serve anche più coraggio sul fronte delle rinnovabili. In Italia sono installati circa 150 GW di impianti, ma lo sviluppo è spesso bloccato da ostacoli burocratici e opposizioni locali. Alcune Regioni, pur dichiarandosi favorevoli alla transizione green, hanno di fatto imposto moratorie, frenando l’installazione di nuovi impianti. Serve invece trovare un equilibrio con i territori, magari ispirandosi al modello tedesco, dove le comunità che ospitano impianti rinnovabili ricevono benefici concreti, come sconti sull’energia. Un capitolo a parte lo merita l’idroelettrico, definito “il nostro oro blu”. È una risorsa storica e strategica per il Paese, ma richiede interventi urgenti di ammodernamento e investimenti. Le gare per il rinnovo delle concessioni restano un nodo aperto, che rischia di paralizzare il settore. L’appello alle istituzioni europee è quello di trattare l’Italia come tutti gli altri Paesi UE, che hanno rinnovato le concessioni ai player nazionali senza penalizzazioni.

Un altro concetto chiave è emerso dal dibattito con Annalisa Muccioli: quello della neutralità tecnologica, promosso con forza da Eni. La transizione energetica non può basarsi su una sola tecnologia o fonte: è necessario adottare un approccio flessibile e scientifico, valutando l’efficienza, la maturità e l’impatto ambientale di ogni soluzione. Questo significa lavorare sia sull’efficientamento dei sistemi attuali (come la produzione da gas), sia sull’innovazione nei settori emergenti, dai pannelli solari all’idrogeno verde, fino alla fusione nucleare, su cui Eni è già attiva in collaborazione con l’MIT. Si è accennato anche alla necessità di integrare la transizione idrica a quella energetica: un tema meno dibattuto ma altrettanto cruciale, considerata l’interconnessione tra risorse naturali e sostenibilità. In sintesi, il quadro che emerge è complesso ma chiaro: l’Italia deve accelerare sul piano della pianificazione, dell’innovazione e della cooperazione tra pubblico e privato. Solo così si potrà affrontare con successo la sfida dell’energia, trasformandola da criticità a leva strategica per il futuro del Paese.

Enrico Resmini ha introdotto il tema della transizione idrica: le reti idriche italiane sono molto vecchie, con il 30% delle infrastrutture che supera i 60 anni. Le perdite nella rete sono in media del 41%, il che significa che, per far arrivare l’acqua ai rubinetti, bisogna prelevarne molta di più, impoverendo le fonti idriche.Questo problema è aggravato dalla crescente domanda di acqua, anche per tecnologie emergenti come i datacenter legati all’intelligenza artificiale. Il sistema idrico è poi frammentato: ci sono oltre duemila operatori, e questo ostacola l’efficienza, gli investimenti e l’applicazione della tecnologia. Serve quindi una transizione strutturale del mercato idrico, che preveda: digitalizzazione delle reti, consolidamento degli operatori per attrarre investimenti, una governance unitaria a livello nazionale ed europeo, un quadro normativo chiaro che favorisca gli investimenti pubblici e privati. In sintesi, per affrontare la crisi idrica e modernizzare il settore servono: tecnologia, scala industriale, investimenti e regole coerenti. Il dibattito si è poi avviato alla conclusione, parlando con gli ospiti delle reti elettriche e della necessità di aggiornarle in un contesto in cui i consumi stanno crescendo (trasporti elettrici, digitalizzazione, AI). A differenza della Spagna – colpita da un blackout dovuto a una rete non adeguatamente bilanciata – l’Italia ha già fatto significativi investimenti nella sua rete, grazie anche al PNRR, con 4 miliardi stanziati per rafforzarla, soprattutto nel Sud. È stato messo in evidenza il fenomeno crescente dei “prosumer” (consumatori che producono energia, per esempio con il fotovoltaico): si prevede che in Italia saranno presto 2 milioni. Questo comporta nuove sfide per la gestione della rete, che deve diventare più flessibile e digitale, per integrare fonti rinnovabili non programmabili come il solare e l’eolico. Si è anche ribadito che non si può dipendere dall’estero, né per l’energia né per le tecnologie (come i pannelli fotovoltaici cinesi). Serve quindi una filiera industriale europea e nazionale forte, con investimenti nella produzione interna di tecnologie energetiche.

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Panorama

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