Emanuela Orlandi, ecco il testo del comunicato inciso sul nastro delle torture: “Tentativi di copertura delle nostre reali intenzioni”

  • Postato il 16 settembre 2024
  • Crime
  • Di Il Fatto Quotidiano
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17 luglio 1983, sono le 22,35. Un uomo “dall’accento giovanile e con un italiano perfetto” telefona alla sede dell’Ansa, in via della Dataria 4. Dice al cronista di andare a recuperare, a pochi passi da lì, un nastro sulla scalinata che porta al Quirinale. La cassetta è ai piedi di quello stesso Palazzo che dal 1946 è la dimora del Presidente della Repubblica, e che un tempo era Reggia Papale di proprietà del Vaticano: lo stesso Stato protagonista del mistero della scomparsa della sua cittadina Emanuela Orlandi. Sul lato B di questa cassetta c’è la voce di una ragazza che sta subendo molestie e torture a intensità crescente. Secondo Ercole Orlandi, un messo alle dipendenze del Papa, quella è la voce di sua figlia scomparsa appena un mese prima, nel cuore di Roma.

Quelle frasi sembrano proprio dette da lei e lo pensano anche gli agenti dei Servizi Segreti. Poi smentiscono: “E’ un film porno”, dicono ai familiari senza però specificare quale sia questo film. Ma resta scritto e verbalizzato che quella voce possa essere la sua. Dai verbali emerge che sul quel nastro ci sono anche voci maschili ma dalla versione in formato digitale che abbiamo oggi disponibile – recuperata da Pietro Orlandi nel 2016 – sono state sottratte, tagliate. Del lato B si è sempre parlato, meno si è detto del lato A che pure è importante o almeno così sembrerebbe. Il testo fu pubblicato il 19 luglio del 1983, e al giornalista che prese il messaggio venne detto – da uno dei membri di questo gruppo di presunti rapitori – che avrebbe potuto salvare la vita di Emanuela.

Il testo inizia così: “Rendiamo noto alla pubblica opinione come gli inquirenti della Repubblica Italiana pur adducendo distorsioni economiche la nostra richiesta non riportino la minima conoscenza dei nostri presunti movimenti nel quadro della malavita organizzata italiana dimostrando un’anomalia nei confronti della tradizione informativa”. Il linguaggio è forbito ma a tratti sgrammaticato e non è chiaro se questi strafalcioni infilati tra un parolone e l’altro siano voluti per deviare l’attenzione, per depistare. Un turco o un mediorientale potrebbero accedere a parole così difficili, nel 1983, in assenza di accesso a una Rete Internet? Non cercano soldi questi presunti rapitori e accusano la stampa di generare caos sulla vicenda.

E ancora: “La richiesta di prova del 17 luglio è l’esempio principe dei tentativi di copertura delle nostre reali intenzioni. La diplomazia vaticana non concede il beneplacito di menzionare la conferma delle informazioni ricevute sui trascorsi della cittadina vaticana Emanuela Orlandi”. Informazioni che attestano che la ragazza è nelle loro mani e “richieste nel corso dell’appello del 9 luglio” del Papa Giovanni Paolo II durante l’Angelus, per Emanuela. Le informazioni a cui si riferiscono gli autori del messaggio, probabilmente sono quelle contenute nella copia della stessa cassetta lasciata in Piazza S. Pietro, quattro giorni prima. Quel nastro non viene mai più trovato, perché è stato prelevato prima dai funzionari vaticani. Allegata alla cassetta era stata fornita una documentazione con notizie dettagliate su Emanuela.

I rapitori poi accusano “la mancanza completa di ogni atto di volontà in riferimento alla consegna del detenuto Alì Agca”, il terrorista turco che il 13 maggio del 1981 ha sparato al Papa in Piazza San Pietro. Quindi sottolineano che la risposta a questo appello, con informazioni riservate su Emanuela “non costituiva unicamente nella fotocopia”. Il riferimento è forse alla fotocopia fatta pervenire al giornalista Sandro Mazzerioli nella cappella dell’aeroporto di Fiumicino, con il retro della tessera di iscrizione della ragazza all’istituto di musica Ludovico da Victoria. Sullo stesso foglio c’era anche un messaggio scritto a mano e attribuito ad Emanuela.

Gli autori del comunicato parlano inoltre di una telefonata in cui hanno dato diverse informazioni come prova, richieste dai familiari stessi per capire se davvero Emanuela sia nelle loro mani. “Con questo ultimo tentativo di disinformazioni – concludono i rapitori – interrompiamo ogni rapporto diretto che non rientri nella consegna del detenuto Alì Agca. In osservanza della scadenza del tempo programmato per il bilancio interamente nullo ci troviamo a mutare la considerazione nella giovane età della cittadina Emanuela Orlandi prescrivendo uno stato privo degli elementari diritti di sopravvivenza”.

Insomma, nonostante sia giovane loro scrivono che non avranno pietà per la vita di Emanuela e lanciano un ultimatum, l’ennesimo. Poi scrivono che soltanto dopo la liberazione di Agca avrebbero mandato una foto di Emanuela per dimostrare che sia viva. Ma perché non farlo prima? Aumentando così e non poco le possibilità di ottenere ciò che vogliono. Risulta davvero difficile, sulla base di questo messaggio contorto, poter credere alle loro affermazioni. I rapitori o presunti tali smentiscono persino le parole di Agca stesso: “Le dichiarazioni del detenuto Alì Agca sono irrilevanti per la nostra mancata qualificazione. Chiediamo la consegna di Agca indipendentemente dalla sua presa di posizione pubblica”. Insomma, nemmeno Agca sembra confermare le loro parole all’epoca dei fatti anche se poi cambia la sua versione numerose volte nel corso degli anni.

Il comunicato si conclude così: Nelle ipotesi di rigetto della sottoscrizione da parte del detenuto Agca (che intanto aveva chiesto la Grazia, ndr) chiediamo la scarcerazione e la sua consegna e indirizziamo nuovamente al Capo di Stato Giovanni Paolo II al fine che domandi alla espressione più alta dello Stato Italiano ogni intervento (…) che permetta la restituzione immediata della cittadina Orlandi Emanuela alla vita civile.

Alì Agca ha ottenuto poi la Grazia nel 2000, con il placet della Santa Sede. Fu estradato in Turchia dove ha scontato il carcere per un precedente crimine. Dal 2010 è un uomo libero, ha pubblicato un libro sul suo attentato al Papa e da allora non esita a rilasciare dichiarazioni in merito a quegli avvenimenti. Nel 2022 ha contattato la famiglia Orlandi con una lettera in cui ha scritto che Emanuela era segregata presso un’istituzione religiosa gestita da suore, non specificando dove. Le sue parole sono spesso state smentite dai familiari e dagli inquirenti, Agca non si è dimostrato sempre coerente, ma questo non esclude contengano brandelli di verità: di Emanuela segregata per anni in un convento religioso a Londra ha parlato anche l’uomo che ha contattato Pietro Orlandi di recente, dandogli come prova la foto di una fascetta Emanuela aveva intrecciato con le sue stesse mani e che è diventata tristemente nota.

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