Elly Schlein scopre la patrimoniale, mito della sinistra e garantirà a Giorgia Meloni vent’anni a Palazzo Chigi
- Postato il 9 novembre 2025
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Elly Schlein scopre la patrimoniale, mito della sinistra: così garantirà a Giorgia Meloni vent’anni a Palazzo Chigi.
Per superare la vecchia idea di patrimoniale nazionale, Schlein, eccitata sbagliando dal trionnfo di Mamdami a New York, ha perfino lanciato l’idea di una tassa europea. Molto difficile da portare a casa ma sufficiente a terrorizzare milioni di elettori.
Fu nel 1992, quando Giuliano Amato, per salvare la lira da un assalto speculativo che minacciava di travolgere l’Italia, impose un prelievo forzoso ed improvviso del 6 per mille su tutti depositi bancari. Tre mesi dopo si dimise. Due anni dopo Silvio Berlusconi andò al governo e ci rimase, tranne le parentesi di Prodi, fino al 2011.
Chi sono i partiti che alzano la voce contro il governo Meloni, chiede su Blitz Giorgio Oldoini, perché il debito pubblico è diventato insostenibile? I Pentastellati, il Pd, gli altri i partiti del “campo largo” e Italia Viva, ossia i principali responsabili della voragine dei nostri conti pubblici.
Mi pare doverosa una distinzione: un conto sono i patrimoni terrieri del passato, frutto delle usurpazioni medievali, un conto sono i denari acquisiti nel dopoguerra, con la rinascita della economia italiana e la sua trasformazione: frutto di lavoro e ingegno. La sinistra tende a unire i due fenomeni alimentando un processo di rivalsa e invidia.
Dí patrimoniale si è tornati a parlare più volte in questi anni. A rilanciare l’idea fu proprio lo stesso Amato nel 2011, quando il percorso di Berlusconi premier stava per interrompersi, travolto dal bunga bunga e dalla crisi economica.
Nacque un dubbio, tradotto in questo titolo di Blitz: “Patrimoniale, una trappola di Berlusconi per Bersani?”
L’idea sbagliata della patrimoniale

Scrissi allora che l’idea, per nulla sbagliata in astratto, di tassare con una imposta patrimoniale quel dieci per cento di italiani che detengono quasi metà del patrimonio del paese, per migliorare in modo strutturale il livello del debito nazionale, è stata lanciata da personaggi del calibro di Giuliano Amato, ex primo ministro dei tempi del partito socialista di Bettino Craxi, del quale era uno dei più stretti collaboratori; Pellegrino Capaldo, già presidente della Banca di Roma in coppia con Cesare Geronzi, Walter Veltroni, che è una fine mente politica nonostante le tre sconfitte elettorali cui a guidato il suo partito contro Berlusconi.
Poi l’idea è stata sostenuta sul Corriere della Sera da un giornalista dello straordinario calibro di Massimo Mucchetti e poi ancora difesa sul Riformista da Pietro Ichino.
Quel che più sconcerta è che le ultime uscite, quelle di Ichino, sono successive alla sparata contro la patrimoniale da parte di Berlusconi, che ha avuto facile gioco nel dire che mai lui l’avrebbe permesso. Invece dall’area della sinistra si leva una voce critica: è Luca Ricolfi, che su La Stampabolla l’ipotesi di tassare casa (Capaldo) o ricchezza (Veltroni e Amato) come la “peggiore delle mosse autolesioniste in cui il Pd si poteva infilare”.
La bocciatura da Visco
Ben più autorevole fu la bocciatura di un esponente della sinistra del calibro di Vincenzo Visco, che da Ministro delle Finanze si era meritato il soprannome di Dracula.
L’idea riemerse negli anni seguenti e fu ancora smontata esommersa di improperi: “La patrimoniale esiste già, i più ricchi pagano il doppio o il triplo rispetto al 2011”, titolava Repubblica un articolo fi Valentina Conte del 2012. E nel 2013 Enrico Marro sul Corriere della Sera scriveva desolato, “Cambiano le generazioni, ma la sinistra continua a credere nella patrimoniale. L’idea di un prelievo sulle ricchezze immobiliari e finanziarie seduce, non senza qualche imbarazzo”.
L’idea piacque alla CGIL, la cui Segretaria del tempo, Susanna Camusso, si fece forte del conforto di Carlo De Benedetti, che quando Enrico Letta divenne presidente del Consiglio, gli suggeri di «applicare una patrimoniale a partire da un certo livello di reddito in su» per reperire risorse da destinare alla riduzione delle tasse sul lavoro.
L’idea morì lì, mentre De Benedetti prendeva residenza in Svizzera
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