Elezioni regionali: vertice notturno del centrodestra alla ricerca di candidati

  • Postato il 22 luglio 2025
  • Di Panorama
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Nessuna fumata bianca, ma neppure la retorica del tutti contro tutti. Il vertice notturno tra i leader del centrodestra – consumato tra porte chiuse e telefoni silenziati a casa Meloni – ha lasciato sul tavolo il rebus delle elezioni regionali, ma ha ribadito una certezza politica: la guida è chiara, la coalizione è salda, e a tenere la barra è Giorgia Meloni.

Niente election day, niente rinvii: si voterà tra settembre e novembre, Regione per Regione, come già indicato dal presidente della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga. I tempi tecnici per un accorpamento non ci sono, quelli politici per uno slittamento nemmeno. Ma il punto vero non è il calendario: è la tenuta di una coalizione in cui la leader di Fratelli d’Italia si muove con consapevolezza chirurgica tra numeri, nomi e nervi scoperti.

Il nodo Zaia e il limite dell’autoreferenzialità

Il dossier più rovente è quello del Veneto, dove Luca Zaia – alla guida della Regione dal 2010 – ha terminato il suo ultimo mandato utile. Eppure, paradossalmente, è proprio la sua figura a dominare la scena. Non solo perché resta il governatore più popolare d’Italia secondo tutti i sondaggi, ma perché la Lega di Salvini sembra non voler rinunciare al suo brand, anche senza poterne candidare il volto.

Sul tavolo, il nome di Alberto Stefani – segretario regionale del Carroccio – rappresenta la pretesa di continuità politica, ma ha un peso elettorale tutto da verificare. In alternativa, la Lega medita di lanciare una lista “Zaia presidente”. Formalmente a sostegno della coalizione, ma nei fatti un’operazione muscolare per ribadire un controllo sul territorio che, con il passare del tempo, appare più simbolico che reale.

Ed è qui che entra in gioco Giorgia Meloni. Con fermezza, ma senza esasperazioni, la premier ha posto un principio non negoziabile: nessuna campagna personalistica, nessuna scorciatoia elettorale, nessuna rendita da capitalizzare automaticamente. FdI è il primo partito della coalizione, e il Veneto non fa eccezione.

Per questo sono emersi anche i nomi di Raffaele Speranzon e Luca De Carlo, entrambi espressione di Fratelli d’Italia, entrambi interlocutori solidi con il territorio e con un radicamento politico che va oltre la visibilità mediatica. Non si tratta di nomi messi lì per alzare la posta. Si tratta di rappresentare con coerenza e forza la volontà di costruire una candidatura credibile, capace di unire e non dividere.

Il braccio di ferro non è con Zaia in quanto persona, ma con l’idea che si possa governare a colpi di immagine e nostalgia. Meloni lo sa bene: l’unità del centrodestra si gioca proprio su queste sfumature. Ed è qui che si misura la vera leadership.

Campania e l’illusione dell’asse Conte-Schlein-De Luca

In Campania, intanto, la sinistra spera in un miracolo: quello di tenere insieme il Movimento 5 Stelle, il PD e la dinastia politica di Vincenzo De Luca. I tre si sono parlati, si parlano ancora. Ma di contenuti, zero. E se il nome di Roberto Ficoagita i talk, il centrodestra è già al lavoro con l’opzione forte di Edmondo Cirielli, figura istituzionale, radicata e di peso. Forza Italia prova a inserirsi con Giosy Romano, ma l’architettura è tutta nelle mani della premier.

Meloni osserva, ascolta, valuta. Sa che in Campania non si vince improvvisando, ma costruendo. E la costruzione richiede metodo, non protagonismi estemporanei.

Toscana e Puglia: prove di maturità

Anche in Toscana e Puglia, Meloni applica lo stesso schema: prima il metodo, poi il nome. Nessuna corsa all’annuncio, nessuna corsa alla visibilità. In Toscana, Alessandro Tomasi, sindaco di Pistoia, rappresenta un’opzione solida, radicata e non ideologica. In Puglia, il nome di Mauro D’Attis (FI) circola con insistenza, ma il dossier resta aperto.

Il principio guida, anche qui, è uno solo: il centrodestra vince se va compatto, e va compatto se guida chi ha il consenso. Meloni lo ha, e lo esercita con sobrietà. Mentre altri lo inseguono sui giornali, lei lavora nel silenzio dei vertici.

FdI al 30% e il principio della realtà

La forza elettorale non è un dettaglio. FdI vale oggi il 30% nei sondaggi nazionali, e questo dato – piaccia o no agli alleati – ha un peso politico che non può essere ignorato. Giorgia Meloni non lo usa come clava, ma come argomento di responsabilità. Sa che una leadership si esercita soprattutto nei momenti di equilibrio instabile. E le elezioni regionali lo sono.

Per questo il vertice notturno non è stato un fallimento, ma una tappa di costruzione politica. Non ci sono urla, né rotture. Solo trattative e pesi da bilanciare. Con una regia chiara.

Non è solo una partita locale

Le elezioni regionali sono, come sempre in Italia, più di una questione locale. Sono una cartina di tornasole per gli equilibri nazionali, e per Meloni anche un banco di prova per il suo stile di leadership: sobrio, paziente, decisionista solo quando serve.

Nella coalizione, si sa, convivono storie e ambizioni diverse. Ma è Giorgia Meloni a dare la linea, e lo fa con la consapevolezza di chi non ha bisogno di imporsi, ma solo di ricordare i numeri. E di guidare. A fari bassi, ma dritta sulla strada.

La sintesi (per ora) è il metodo

Nessun nome è ancora chiuso. Ma la vera notizia è che la coalizione non si è spaccata, e non si spaccherà. La strategia di Meloni non è quella dei blitz né delle fughe in avanti. È una costruzione lenta, misurata, calibrata su ogni territorio. Perché non basta vincere, bisogna governare.

Autore
Panorama

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