Elezioni in Veneto, la sfida di Alberto Stefani: il candidato della Lega tra eredità Zaia e rivoluzione gentile

  • Postato il 2 novembre 2025
  • Di Panorama
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Le truppe anti vannacciane la smettano di darsi pena. In Veneto, da Peschiera del Garda a Bibione, c’è il loro più degno alfiere. Alberto Stefani entra in uno sterminato padiglione della Fiera di Padova, azzimato e raggiante. Mani da pianista, denti bianchissimi, completo scuro. Si vota a fine novembre. Comincia un altro giorno di campagna elettorale. Il generale Roberto Vannacci ama la guerrilla. Il deputato leghista promette una rivoluzione gentile. È un giovane prodigio, abituato a distinguersi. A 15 anni entra nella Lega. A 19 anni è consigliere comunale a Borgoricco. A 26 diventa sindaco. «Era il mio sogno da piccolo» ricorda. «L’avevo scritto anche in un tema alle elementari».

Gli esordi di un giovane prodigio

Dei suoi prodigiosi albori, l’aspirante governatore veneto parla volentieri. Perenne primo della classe. Olimpiadi di matematica, borse di studio, massimo dei voti. Fino alla brillante laurea in diritto canonico, con tesi dedicata alla bisnonna Vittoria: «Sono cresciuto con lei. È stata la persona più importante della mia vita. Porto sempre dietro, come portafortuna, la metà di una sua collanina». Gli ha insegnato, dice, quel garbo e quel rispetto che adesso vorrebbe propagandare. C’è, però, un altro avo di rilievo. Nonno Aldo, fervente comunista: «Coordinava gli scioperi alla Breda, battendosi per i diritti dei lavoratori. Ha rappresentato quella sinistra che oggi non c’è più».

Il principe del Veneto

Stefani ha soltanto 33 anni. Dopo il quindicennio di Luca Zaia, è il candidato al trono. Occhi chiari, ciuffo fluente, barbetta castana. Procede tra gli stand della fiera padovana. Ama il prossimo e pare ricambiato. Si definisce «fortemente credente». Racconta: «Sono stato anche educatore nell’Azione cattolica. Se posso, vado a messa la domenica». Nemmeno le mollezze capitoline sembrano traviarlo. «Quando mi hanno eletto deputato, avevo 25 anni e tre mesi». Il più giovane di sempre? «Il secondo, credo. A Roma, comunque, ho trovato subito alloggio in un posto gestito da suore francescane. Dopo otto anni, continuo a stare lì». È un tiratardi? «Sono un bravo ragazzo». Fidanzato? «Con una psicologa forense vicentina». Passioni ultraterrene? «Dipingere quadri astratti. Ne ho fatti una cinquantina. Alcuni li ho regalati. Altri li tengo a casa, qui a Padova. E poi scrivo poesie, o forse sono soltanto riflessioni». Anche sulla politica? «Il programma elettorale nasce dagli appunti presi nei gazebo».

Il legame con Salvini e Fontana

Se Zaia è il Doge, Stefani è il Principe. Già otto mesi fa sembrava il prescelto. Le trattative con gli alleati, però, non sono state semplici. Alla fine, l’ha spuntata il Carroccio. L’erede designato guida la Liga Veneta da giugno 2020. Un anno fa è diventato vicesegretario del partito. Matteo Salvini, il leader, stravede per lui. La persona più importante per la sua fulminea ascesa resta comunque il veronese Lorenzo Fontana, presidente della Camera: «L’ho conosciuto da ragazzino, quando ero il coordinatore provinciale dei giovani. Mi ha tirato su. Lo considero il mio padrino politico». «Ognuno di noi ha una dimensione spirituale da coltivare» riferisce mentre stringe delicatamente la mano a un elettore. «Questa sarà una rivoluzione di stile, oltre che generazionale. Lo stile è importante. Non solo nella vita, ma pure nella politica».

L’identità moderata della Liga Veneta

Nella Lega infuriano le polemiche sulla supposta egemonia del generale Roberto Vannacci, pure lui vicesegretario leghista, sebbene di recente conio. Il riflessivo aspirante, però, sembra l’opposto dell’ardito europarlamentare: «La Liga Veneta ha un’identità pratica e moderata, che dobbiamo continuare a coltivare. La sera in cui è stata presentata la mia candidatura c’erano tremila persone. Nessuno inneggiava a chissà cosa. Era gente normale, che lavora di giorno e fa volontariato di sera». Sotto la bandiera del Veneto, fa notare, c’è scritto pax, in latino. «E quindi il suo governatore dev’essere un uomo di pace». Cosa ne pensa del modello bavarese, lanciato pure da Zaia? «È giusto rafforzare le identità regionali, ma sempre all’interno di un unico partito. La Liga, tra l’altro, ha già un suo statuto». E Salvini? «Condivide».

La competizione nel centrodestra

Tanti colonnelli non apprezzano il partito nazionale. «Matteo è stato eletto segretario federale all’unanimità. Nessuno si è candidato contro di lui. Se qualcuno aveva qualcosa da dire, poteva farlo allora». La Lega però è al nove per cento, lontana dai vecchi fasti. «Una volta, con quei numeri, si stappavano bottiglie». Il suo avversario del centrosinistra, Giovanni Manildo, dice che lei è espressione della Lega vannacciana: «Non parlerò mai male dei miei avversari. Nessuna polemica. Niente attacchi». Il generale, comunque, ha detto che la sosterrà. «Ciò che conta è il sostegno dei veneti».

Tra la gente e le strade del Veneto

Stefani risale sulla piccola macchina tedesca con cui gira per la regione, assieme a due fidati collaboratori. Padova è sconquassata da estenuanti lavori per un discutibile tram. Bisogna raggiungere la sede del partito, in periferia. La Lega ambisce a prendere un voto in più di Fratelli d’Italia, che alle ultime Europee ha sbancato. «È normale competizione tra alleati. Ognuno vuole arrivare primo. Mi sembra scontato». Hanno vietato a Zaia di presentare la sua lista. «Io ero d’accordissimo, invece. Avrebbe ben rappresentato il suo elettorato trasversale». «Sarà l’occasione per aprire le nostre porte e crescere ulteriormente. Siamo felici di averlo in squadra. Dopo Zaia, scrivo Zaia pure io».

Il sociale al centro del programma

Come sono i rapporti tra il Principe e il Doge?, chiediamo. «Ottimi. Ci vediamo anche a cena. Spesso si parla d’altro». Ci sarà continuità? «Deve esserci. Ma l’orgoglio per i risultati raggiunti può coniugarsi con il domani. Chi fa politica oggi ha l’obbligo di guardare ai prossimi trent’anni». Primo punto del programma? «Il sociale». In Veneto erano abituati a imprese e infrastrutture. «So che può disorientare. Ma la vita media si allunga. Servono cure, strutture adeguate, quartieri dedicati. È il tema del futuro. L’ho capito quando facevo il sindaco. La cosa più importante era dare conforto agli anziani. La solitudine è un dramma. Venivano per l’erba tagliata male, si finiva a parlare dei loro problemi».

Un approccio diverso: sociale e ambiente

Ora di pranzo. Stefani è atteso in un centro per il recupero di tossicodipendenti. «Il sociale è stata una mia scelta, anche contro il parere di qualcuno» ammette. «Disagio, dipendenze, solitudine. Ho proposto lo psicologo di base in scuole e comuni». «Vi lascio il mio numero. Mi piace costruire i rapporti dopo la campagna elettorale, non prima». Inevitabile applauso scrosciante. «Puntiamo pure su argomenti che normalmente non sono considerati di centrodestra». Ad esempio? «L’ambiente. Invece che una visione ideologica, dobbiamo privilegiare l’ecologismo pragmatico. È forse la cosa più identitaria di una comunità. Perché lasciarla alla sinistra?».

Temi sensibili e valori personali

Vuole sparigliare anche sull’immigrazione? «Ho una posizione molto chiara: sbarchi incontrollati provocano insicurezza. Va regolata». Eutanasia? «Serve una legge nazionale. Come la chiesa, la politica deve delimitare i confini tra vita e accanimento terapeutico». Famiglie arcobaleno? «Un bambino ha bisogno di una madre e di un padre».

Il candidato gentiluomo

Il principe Alberto, nel pomeriggio, arriva alla Canottieri Padova. Lo accolgono illustri dirigenti delle società sportive. «Un candidato deve avere anche una dimensione umana» spiega prima del confronto. «È così che entusiasmi. Se la politica diventa un mondo per scaltri e furbi, la gente si allontana. Possiamo pensarla in maniera diversa, ma deve sempre trionfare la correttezza. Come nello sport, appunto». L’evento postprandiale si conclude con vigorose pacche. Stefani guadagna l’uscita tra attempati tennisti e infaticabili vogatori. Squilla il telefono. Il leghista si apparta per qualche minuto. Chi era? «Salvini». Dunque? «Voleva sapere come sono andati gli incontri giornalieri». Stefani risale in macchina. Tra mezz’ora ha un treno per la Capitale. L’auto è imbottigliata nel traffico. Qualche settimana fa, mentre era incolonnato, s’è guadagnato imperitura gloria. «Abbiamo visto questa ragazza che veniva picchiata in un’altra macchina, davanti a noi. L’abbiamo inseguita finché non siamo usciti a fermarla, mentre ci raggiungevano i carabinieri». Anche sceriffo. Ma pur sempre gentiluomo. Intanto, arriva alla stazione. Il treno è in orario. A Roma lo aspetta suor Rosetta.

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