Ecuador, scioperi e repressione militare: Meloni cancella 10 mln del debito di Quito per la “sicurezza nazionale”
- Postato il 7 ottobre 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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In Ecuador avanza la repressione militare del presidente Noboa, mentre dall’Italia arrivano risorse che alimentano questa politica: nel luglio 2025 il governo Meloni ha firmato un accordo con il Paese sudamericano per la cancellazione di 10 milioni di dollari di debito. Un fondo per finanziare formalmente progetti ambientali, ricondotto dallo stesso esecutivo alle spese per la “sicurezza nazionale”.
Le proteste in Ecuador sono esplose a metà settembre, dopo la decisione del governo di Quito di eliminare i sussidi per il carburante diesel, facendo salire il prezzo da 1,80 a 2,80 dollari al gallone. Il 15 settembre gli autotrasportatori hanno iniziato i primi blocchi stradali e nei giorni successivi è stato indetto lo sciopero nazionale, estendendo la mobilitazione alle comunità indigene e popolari. La mobilitazione è stata lanciata dalla Conaie – la Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador – la principale organizzazione dei popoli indigeni del Paese, protagonista di tutte le grandi sollevazioni popolari degli ultimi trent’anni. Il 28 settembre, durante le mobilitazioni dello sciopero nazionale un manifestante, è stato ucciso dalle forze armate un manifestante. Si tratta di Efraín Fuerez, comunero kichwa di 46 anni, colpito da tre proiettili durante la repressione militare a Cotacachi, nella provincia di Imbabura.
Secondo la Fundación Inredh, “Fuerez è stato assassinato con tre spari in mezzo alla repressione militare contro i manifestanti sulla Panamericana Norte” (Fundación Inredh). La Fiscalía ha aperto un’indagine attraverso l’Unità di uso illegittimo della forza, mentre un video girato da testimoni mostra soldati che scendono dai camion vicino al corpo ferito senza prestare soccorso. Una seconda morte è stata segnalata da reti comunitarie: un giovane sarebbe deceduto in un incidente motociclistico dopo aver cercato di evitare un posto di blocco militare. Questa versione, tuttavia, non ha ancora ricevuto conferme ufficiali da fonti indipendenti.
Non è la prima volta che i popoli indigeni si sollevano contro il caro carburante: nel 2019 la Conaie aveva guidato un sollevamento che durò 11 giorni e costrinse il presidente Lenín Moreno a ritirare il decreto che aumentava i prezzi dei combustibili. Mentre nel 2022 contro Guillermo Lasso, dopo 18 giorni di proteste e sei morti, ottenne una parziale riduzione dei prezzi di benzina e diesel.
Anche questa volta il governo di Daniel Noboa ha scelto la militarizzazione, dando seguito agli stati di emergenza con cui ha governato da quando è stato eletto. La repressione e la stretta degli spazi di dissenso sono elementi consuetudinari con Noboa che guarda al presidente di El Salvador, Nayib Bukele, e al suo governo della sicurezza.
Noboa ha dichiarato lo stato di conflitto armato interno autorizzando i militari a operare come forza di ordine pubblico, contro 22 gruppi definiti “terroristi”, con il Decreto 111 del gennaio 2024. Da allora, in Eciador la repressione è diventata il volto della politica securitaria. Human Rights Watch ha denunciato che “le violazioni includono almeno una apparente esecuzione extragiudiziale e molteplici casi di detenzioni arbitrarie e maltrattamenti”, a causa della decisione di Noboa di elevare la lotta al crimine organizzato alla categoria di conflitto armato interno. Amnesty International ha dichiarato che “le misure eccezionali che limitano i diritti umani sono passate dall’essere temporanee a diventare la norma in Ecuador (…) la popolazione merita vivere in condizioni di sicurezza senza dover rinunciare ai propri diritti”.
Non è la prima volta che con Noboa i militari uccidono. Il caso Las Malvinas è emblematico: 4 adolescenti di Guayaquil sequestrati da militari della Forza Aerea, l’8 dicembre 2024, ritrovati giorni dopo carbonizzati con segni di tortura. Quella tragedia è diventata simbolo dell’impunità generata dalla militarizzazione. Noboa aveva vinto le elezioni promettendo sicurezza, ma la violenza non è diminuita. Al contrario, i dati ufficiali registrano numeri record con oltre 3.000 omicidi intenzionali nei primi tre mesi del 2025. Le mobilitazioni in corso mostrano la frattura tra un governo che reprime e un popolo che resiste.
La Conaie ha dichiarato che “seguiranno avanti” con lo sciopero nonostante repressione e chiamate al dialogo insufficienti: non accettano soluzioni simboliche, richiedono il ritiro del decreto sul diesel e misure strutturali. La forza del paro nazionale ha messo in seria difficoltà il presidente, che da un lato ordina l’invio di nuovi militari nelle strade e dall’altro è costretto a cercare una via d’uscita politica: negli ultimi giorni il governo ha aperto un tavolo di contatto con la Conaie e con i trasportatori, nella speranza di guadagnare tempo e ridurre la pressione sociale. Ma il clima rimane incandescente, con la possibilità che lo scontro degeneri ulteriormente se non arriveranno concessioni concrete.
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