Economia della fame: gli effetti dei tagli agli aiuti umanitari. Il caso del campo profughi in Kenya
- Postato il 1 agosto 2025
- Mondo
- Di Il Fatto Quotidiano
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di Vittorio Bruni e Olivier Sterck*
Recentemente, una riduzione del 20% dell’assistenza umanitaria in uno dei campi profughi più grandi al mondo ha innescato una reazione a catena: sono aumentate fame e povertà, è diminuita la resilienza, si sono registrate ripercussioni su credito e mercati locali. Nel 2025, gli Stati Uniti di Donald Trump hanno ridotto drasticamente i propri contributi alla risposta umanitaria mondiale. In passato, questi aiuti rappresentavano quasi la metà degli aiuti complessivi e oltre il 20% del bilancio operativo delle Nazioni Unite. Ma cosa succede quando questa linea di assistenza si interrompe?
Il nostro gruppo di ricerca dell’Università di Oxford ha cercato di rispondere a questa domanda studiando le conseguenze di un importante taglio agli aiuti umanitari avvenuto nel terzo campo profughi più grande al mondo: Kakuma, in Kenya. Qui, l’assistenza umanitaria rappresenta il 90% del reddito familiare, e gli aiuti umanitari sono cruciali per la sopravvivenza. A ottobre 2022, quando è iniziata la ricerca, la maggior parte dei rifugiati a Kakuma riceveva aiuti umanitari in forma di cibo e/o denaro pari a circa 17 dollari a persona al mese. Una cifra modesta, ma sufficiente a coprire i bisogni essenziali come cibo, legna da ardere e cure mediche di base. Inoltre, gli aiuti umanitari svolgevano un’altra importante funzione: permettevano ai rifugiati di indebitarsi quando le risorse finivano. A Kakuma, infatti, gli aiuti umanitari in denaro vengono erogati su carte di credito che i rifugiati utilizzano come forma di garanzia per indebitarsi in periodi di crisi. Poi, nel luglio 2023, l’assistenza ai rifugiati è stata tagliata del 20% e con la squadra di Oxford abbiamo analizzato gli effetti di questo taglio. Ecco cosa abbiamo scoperto:
1. La fame è aumentata.
Un rifugiato somalo ci ha raccontato: “Dopo la riduzione degli aiuti la vita dei rifugiati è diventata difficile. Quelli erano i soldi che ci sostenevano. […] Le cose non bastano, e la fame è visibile.”
L’apporto calorico medio giornaliero è calato di 145 kcal, una riduzione del 7% rispetto a una media già insufficiente di circa 1860 kcal a persona. La percentuale di famiglie che sopravvive con un pasto al giorno è passata dal 29% al 37%. Inoltre, le diete si sono fatte meno varie.
2. Il credito informale si è ridotto.
Un negoziante etiope ci ha detto: “Quando diamo cibo a credito abbiamo un limite; se gli aiuti si riducono, anche il credito si riduce”. Poiché gli aiuti servivano da garanzia, il taglio ha minato la capacità dei rifugiati di ottenere prestiti. I debiti sono calati del 9%, e molti negozianti si sono rifiutati di estendere nuovo credito e hanno forzato il rimborso dei debiti precedenti.
3. Le famiglie hanno venduto i pochi beni a disposizione.
Con l’accesso al credito compromesso, e la riduzione degli aiuti, molti hanno iniziato a vendere oggetti e ad attingere alle riserve alimentari per arrivare a fine mese. Il valore medio dei beni familiari è diminuito di oltre il 6%.
4. Malessere psicologico aumentato.
I tagli agli aiuti non hanno avuto solo effetti fisici, ma anche emotivi. I rifugiati hanno riportato un peggioramento della qualità del sonno e un calo della felicità, segno che l’instabilità economica ha avuto ripercussioni anche sulla salute mentale.
5. Le perdite di benessere sono state enormi.
Il risparmio ottenuto dai donatori – circa 26 milioni di dollari all’anno – è stato accompagnato da costi sociali elevatissimi. Il divario tra i risparmi per i donatori e le sofferenze per i destinatari è ingiustificabile.
Questo taglio del 20%, molto minore rispetto ai tagli attuali, non ha solo limitato l’accesso al cibo e aumentato la fame. Ha compromesso un intero ecosistema: il credito si è interrotto, le persone hanno venduto i propri beni e hanno avuto ripercussioni psicologiche negative. Per i beneficiari ogni dollaro tagliato si traduce in una notte senza cena, un debito negato, o un pezzo di dignità perduta.
*Ricercatore in Migration Studies dell’Università di Oxford / professore associato dell’Università di Anversa e Oxford
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