Ecco la Serie A made in Usa: il pallone italiano si consegna agli algoritmi e all’intelligenza artificiale
- Postato il 16 gennaio 2025
- Calcio
- Di Il Fatto Quotidiano
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Anche nell’Hellas Verona sventola da poche ore la bandiera a stelle e strisce: il fondo texano Presidio ha infatti rilevato il club da Maurizio Setti, in un’operazione da 130 milioni di euro che dovrebbe mettere fine ai problemi degli ultimi mesi. Verona, la città dell’Arena e del balcone di Romeo&Giulietta: considerata la portata dell’investimento, un buon affare. Le proprietà statunitensi presenti in Serie A sono ora otto (Atalanta, Fiorentina, Inter, Milan, Parma, Roma, Venezia, Verona), più una canadese (Bologna). Nove società su venti: al mondiale 2026 di Usa-Canada-Messico – sempre ammesso che l’Italia partecipi – il nostro campionato sarà ben rappresentato. Solo la Premier, a quota 10, ha più “America” nelle sue vene, ma considerati i legami storici tra Gran Bretagna e Stati Uniti, è un dato scontato.
Domanda d’obbligo: perché questo interesse dei finanzieri made in Usa nei confronti del nostro calcio? Secondo la Gazzetta dello Sport, gli americani considerano il nostro sistema un settore dalle potenzialità inespresse, in grado di sviluppare un business importante. Stadi, marketing, appeal internazionale: c’è molto da lavorare, ma anche molto, eventualmente, da guadagnare. Non si sposa il nostro calcio per amore: è un matrimonio di interesse. Basterebbe però la parola stadio per raffreddare la passione: le tribolazioni della Roma, dal 2011 impantanata sulla vicenda, o i continui ribaltoni a Milano rendono bene l’idea. Solo Bergamo, realtà più piccola, benché sia figlia di una macroarea economica tra le tre più importanti d’Italia, è riuscita, in tempi recenti, nell’impresa, ma c’è un elemento da non sottovalutare: il Gewiss non si è portato dietro un imponente progetto immobiliare. Un altro aspetto del business riguarda la location: gli americani hanno fatto la spesa a Roma, Milano, Venezia, Firenze e Verona, città d’arte con un eccellente movimento turistico. È una componente da non sottovalutare.
Lo sbarco degli “americani” non ha però una rilevanza solo economica. Non distribuiscono sigarette e cioccolata: stanno rivoluzionando aspetti come quelli della gestione, delle logiche di calciomercato e della comunicazione. Sull’ultima questione, ha fatto chiarezza Claudio Ranieri, subito dopo il suo ritorno alla Roma: “Le proprietà statunitensi non parlano. È così dappertutto, a cominciare dall’Inghilterra”. Sottoscriviamo: funziona così. Gli americani preferiscono esprimersi con i fatti, anche perché, si sa, le parole in qualche modo ti impegnano. La famiglia Glazer festeggerà nel 2025 vent’anni di gestione del Manchester United: nessuno dei milioni dei tifosi Red Devils sparsi nel mondo ha mai sentito la loro voce. Stessa musica al Chelsea di Todd Boehly, tanto per restare nel circuito dei grandi club. Si parla, semmai, dietro le quinte, dove si consumano le vere battaglie. Lo stile americano bada al sodo: rischi di essere messo alla porta in un nanosecondo.
L’impatto maggiore è però culturale. Gli americani hanno imposto, o stanno imponendo, il modello degli algoritmi. In una dimensione più ampia, hanno dato un’accelerata all’introduzione dell’intelligenza artificiale. Come spiega il giornalista inglese Rory Smith, firma di The Athletic, autore di un libro dedicato all’Expected Goal (“Expected Goals, the story of how data conquered football and changed the game forever”, 2022), “gli imprenditori statunitensi che entrano nel mondo del calcio si portano dietro la cultura della finanza. È il loro modello di riferimento e cercano di replicarlo nel football. Il sistema degli algoritmi è la loro strada maestra”. Gli Usa sono la prima nazione al mondo ad aver abbracciato l’intelligenza artificiale, seguiti dalla Cina e dal Regno Unito, dove il premier laburista Keir Starmer vuole lanciare un programma in cui “l’intelligenza artificiale sarà immessa nelle vene della nazione”. Calciomercato, sistemi di allenamento, analisi, scouting, biglietteria: l’IA non fa prigionieri, nel calcio si sta prendendo tutto. Per gli americani, è la terra promessa. Poi, certo, ogni tanto ci sono incidenti di percorso, vedi i 54 giorni di Ivan Juric sulla panchina della Roma: viene da chiedersi quale sia stato l’algoritmo che ha guidato questa scelta.
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