É quasi primavera, fioriscono i cespugli

É quasi primavera, fioriscono i cespugli



È primaveeera, svegliatevi bambine». La celebre canzone andrebbe appena riadattata.

La stagione più frizzantina dell'anno non è ancora ufficialmente iniziata. A ridestarsi, poi, sono gli aspiranti capipopolo. E dunque: s'avvicina l'equinozio, fioriscono i cespugli politici. Nessuno l'ha capito meglio di Vincenzo Spadafora, ex ministro per i Giovani e lo Sport nel governo Conte. Già pentastellato di vaglia, ha poi seguito Luigi Di Maio nel mai sbocciato Insieme per il futuro. Rimasto fuori dal Parlamento, dona al campo largo il suo germoglio progressista: l'associazione Primavera, appunto. Della disfatta grillina, ha fatto tesoro: «Per noi, uno non vale uno». Plurale maie-statico? Macché, un esercito di appassionati vivaisti è pronto a rassodare i terreni piddini. «Persone che stanno già dimostrando di sapere fare e hanno le idee chiare su dove collocarsi». Nella frasca spadaforiana.

«Siamo in tanti, sempre di più. Una catena che si è allargata, giorno dopo giorno. E partita dai territori, entrando nelle città, nei paesi, nei teatri, nelle case».

Insomma, si transennino le urne.

Le politiche sembrano lontane. Mancano due anni e mezzo. Eppure, la sentite anche voi quest'arietta fresca? Da Imola, dove rinascono i liberali, a Messina, patria degli autonomisti isolani, s'alza un fremito: presentazioni e annunci, rinascite e partenze, verdi arbusti e dolci colline. Nel centro-destra, per il momento, c'è poco da piantare: da Fratelli d'Italia a Noi Moderati, non resta nemmeno un anfratto. L'opposizione, invece, è in subbuglio.

Il prossimo 8 marzo, mentre alle donne saranno regalate mimose, quel bel fusto di Luigi Marattin donerà al Paese un nuovo cespuglio. Il parlamentare renziano ha lasciato Italia Viva, dopo che Matteo Renzi ha riabbracciato Elly Schlein, la bomber dem, durante una benefica disfida calcistica. Assieme a lui c'è Andrea Marcucci, ex capogruppo del Pd al Senato. La strategia sembra un po' avvizzita: «Il partito si collocherà in posizione orgogliosamente autonoma da destra e sinistra» annuncia Marattin.

L'intento, però, è rigoglioso: «Un audace programma liberal-democratico». La prima proposta, in realtà, ha venature turbo-grilline: abolire la Camera e il Senato, per far nascere un'unica assemblea con seicento parlamentari. Bisogna sfoltire i tempi. Far prosperare una lussureggiante democrazia. Dopo la primavera, annuncia l'economista, ci sarà il congresso fondativo: «Per individuare il leader o la leader, su base pienamente contendibile».

«Marattin ci cerca, ma lui vuole fare il capo» avverte invece Alberto Forchielli: youtuber, uomo d'affari, esperto di America e Asia. Il proponimento politico, in effetti, pare sovrapponibile: creare un partito liberale. In questo caso, dovrebbe rinascere dalle spoglie di Fare per fermare il declino, defunta formazione creata nel 2013 dal giornalista Oscar

Giannino. Era un promettente arbusto. Si rinsecchì dopo la scoperta dei suoi trascorsi accademici: fenomenali quanto farlocchi. Forchielli ci riprova assieme a uno dei vecchi fondatori: l'economista Michele Boldrin, che insegna in un'università statu-nitense. Folgorati dall'invitante onomatopea, hanno chiamato il movimento Drin Drin, per dare una sveglia all'imbambolata Italietta in occasione delle prossime politiche.

Lo scorso settembre, a Imola, è nata l'associa-zione. «Il Drin Drin vuole costruire un nuovo partito entro l'autunno del 2025» rivela il sito. Si legge, tra le altre cose, che «8.472 persone hanno già aderito al progetto». Non esattamente un esercito, ecco. E tutto nelle loro mani, comunque. «La collocazione concreta verrà democraticamente decisa dagli iscritti nei sei mesi congressuali che inizieranno a fine aprile 2025» scrive Boldrin. Forchielli, però, qualche ideuz-za già ce l'ha. Niente alleanze. Né con Marattin né tantomeno con Carlo Calenda, demiurgo di Azione.

Né centristi, né liberali. Né a destra, né a sinistra.

«Sopra», piuttosto. «Sull'economia abbiamo alcuni temi molto arditi: abolire le regioni o togliere ai vecchi per dare ai giovani». I leader verranno fuori alla grillina: «Noi facciamo l'incubatore, poi emergeranno dei quarantenni brillanti» svela Forchielli.

Che primavera, ragazzi. Gente che va, gente che viene. Nessuno, però, può eguagliare il moto perpetuo di Renzi. Anche lui, mentre le giornate cominciano ad allungarsi, coltiva pazientemente un nuovo cespuglio. Come l'agonizzante Italia Viva?

Macché. Sarà una cosa «di-rom-pen-te». S'è invaghito di Schlein solo per interesse, dicono i maligni. Ma lui la vede in affanno. Cerca di aiutarla. Cuore d'oro, Matteo. Gli altri, prima di tutto. Mai un personalismo.

Sempre un passo indietro. Serve un partito al centro, vaticina allora. Così, Renzi s'offre. Spande generosi-tà: «Ho l'ambizione di costruirlo, non di guidarlo».

Sarà decisivo, comunque: «Senza un centro cattolico, liberale e riformista le elezioni non si vincono». E Dio solo sa, quanto lui agogni l'improbabile disfatta della premier, Giorgia Meloni. Mica basta far rifiorire la solita Margherita, però. Ci vuole una roba nuova: garantista, riformista, solida sui valori e vicina a chi investe. Come i Labour dell'ex primo ministro inglese, Tony Blair. Che però diventò segretario del partito nel 1994. E lasciò Downing Street nel 2007.

Fa niente. Anche Matteo vive nel ricordo dei fasti passati. Il modello resta quello. Ci vuole una ventata che spazzi via le anticaglie? E chi meglio del giovanilissimo Pier Ferdinando Casini, 69 primavere ben portate, in Parlamento da oltre un quarantennio filato? Matteo lo corteggia disperatamente. Ma Pierferdy vola altissimo, ormai. Sogna la presidenza della Repubblica, dopo Sergio Mattarella. Figurarsi se si mette alla testa dell'ennesimo cespuglio centrista, nonostante la consolidata esperienza sul campo, dal Ced in poi.

Del resto, Cateno De Luca ama ricordare: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione». Lo disse Alcide De Gasperi. «Scateno» prova a far suo l'insegnamento. Il leader di Sud chiama Nord era un Masaniello senza freni. Si presentò in mutande nel parlamentino isolano per protestare. Appari con la Bibbia in una mano e un Pinocchio nell'altra. S'incatenò al molo di Messina per protestare contro il green pass. Da sindaco di Taormina, volle candidarsi a Monza nel 2003 alle elezioni suppletive.

Adesso, mentre l'ora del tramonto comincia a tardare, annuncia però definitiva metamorfosi: lascia la guida del partito, basta personalizzazioni, spazio a giovani. «Torno al mio ruolo di costruttore».

Vara così «La Sicilia che vorrei». Il centrosinistra, alle scorse europee, gli ha negato ospitalità? Lui appoggia il governatore siciliano, Renato Schifani, che aveva già sfidato per la presidenza. Lo definiva «un ectoplasma». Ora è un «padre nobile». Folgorato sulla via di Renato: «Mi ha sorpreso per la sua disponibilità» ammette. «E come San Francesco».

Promettono imperitura fedeltà anche due vecchi vicere siciliani: l'ex ministro Gianfranco Micciché e il fu governatore Raffaele Lombardo. Non c'è ancora il nome e neppure il simbolo, ma annunciano una «cosa bianca». Sarà un po' il partito dei gattopardi.

Al loro fianco, c'è una scalpitante vecchia gloria pentastellata: Giancarlo Cancelleri, già capo dei grillini nell'isola, poi viceministro alle Infrastrutture, ora gattopardino. «Mi sono reso conto che probabilmente in passato ho fatto delle valutazioni errate» ammette ad aprile 2023, quando annuncia l'addio al Movimento per aderire a Forza Italia. Adesso si prepara alla nuova avventura, animato da un meritorio intento: «Semplificare lo scenario politico». Con l'ennesimo partito, ovviamente. «Che parabola indegna» diceva di lui l'indomabile Alessandro Di Battista. «C'è chi la vergogna proprio non la conosce. Gente che ha perso la testa al primo "onorevole" ascoltato, che ha perso il contatto con la realtà alla prima tartina offerta». Lui, invece, no. È il solito vecchio Che Guevara di Roma Nord. Da qualche settimana, ha cominciato a girare l'Italia per lanciare la sua associazione: Schierarsi. Gli domandano speranzosi: si candiderà alle prossime elezioni? Dibba sorride sornione: «Staremo a vedere». Insomma, non vede l'ora. Anche l'ultimo subcomandante grillino avrà un suo partitino, sognando la guerriglia.

Del resto, è quasi primavera. Fioriscono i cespugli. Persino quelli più spinosi.

Continua a leggere...

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti