È morto Raffaele Fiore, l’ultimo brigatista: era nel commando di Via Fani. Non si è mai pentito
- Postato il 29 luglio 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Non si è mai pentito, né dissociato dalla lotta armata. A 71 anni è morto Raffaele Fiore, leader della colonna torinese delle Br. Ha ucciso il vicedirettore della Stampa Carlo Casalegno, era nel commando che a Via Fani prelevò Aldo Moro massacrando gli uomini della scorta. Condannato all’ergastolo, era dal 1997 in libertà condizionale. “L’ultimo brigatista” è definito nel libro intervista che lo racconta, scritto da Aldo Grandi.
La sua è una storia come tante. L’infanzia povera a Bari Vecchia, l’emigrazione al Nord per lavorare in fabbrica, alla Breda di Sesto San Giovanni. Lì conosce il sindacato e viene a contatto con giovani operai che sognano la rivoluzione e l’abbattimento dello Stato borghese. A colpi di arma da fuoco. Aderisce alla lotta armata ed entra in clandestinità con il gruppo della stella a cinque punte. Scala le posizioni nella gerarchia brigatista e viene messo a capo della colonna torinese, una delle più attive. Lì mette a segno uno dei delitti-chiave degli anni di piombo. Il 16 novembre 1977 un comando composto da Fiore, Patrizio Peci (poi celebre pentito), Pietro Panciarelli e Vincenzo Acella tende un agguato al vicedirettore dell Stampa mentre rientra a casa: è proprio Fiore a sparare quattro colpi alla testa a Carlo Casalegno con una pistola Nagant 7.62 silenziata. Quindi la rivendicazione alla sede torinese dell’Ansa: “Qui Brigate Rosse, abbiamo giustiziato noi il servo dello Stato Carlo Casalegno”.
Passano pochi mesi e troviamo Raffaele Fiore a Roma. E’ il 16 marzo 1978. In via Fani un commando composto da una decina di Br uccide gli uomini della scorta e sequestra il presidente della Dc. Nel gruppo di fuoco, vestito con divise da aviatori civili, fanno parte Valerio Morucci, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari e lo stesso Fiore. Secondo le ricostruzioni il suo mitra si inceppò, impedendogli di colpire l’auto su cui viaggiava Moro. L’uomo viene arrestato l’anno dopo, il 17 marzo 1979, in un bar di Torino.
Si fa 18 anni di prigione, fino al 1997, quando approda – tra le polemiche – alla libertà condizionata. Da allora lavora a Sarmato, in provincia di Piacenza, per la Cooperativa Sociale Futura.
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