È morto Papa Francesco. Viaggio nel suo pontificato tra umiltà, crisi globali e rivoluzioni simboliche.

  • Postato il 21 aprile 2025
  • Di Panorama
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Il cardinale Kevin Farrell ha annunciato con dolore la morte di Papa Francesco, con queste parole: «Carissimi fratelli e sorelle, con profondo dolore devo annunciare la morte di nostro Santo Padre Francesco. Alle ore 7:35 del 21 aprile, nel giorno del lunedì dell’Angelo, il Vescovo di Roma, Francesco, è tornato alla casa del Padre. La sua vita tutta intera è stata dedicata al servizio del Signore e della Sua chiesa. Ci ha insegnato a vivere i valori del Vangelo con fedeltà, coraggio ed amore universale, in modo particolare a favore dei più poveri e emarginati. Con immensa gratitudine per il suo esempio di vero discepolo del Signore Gesù, raccomandiamo l’anima di Papa Francesco all’infinito amore misericordioso di Dio Uno e Trino”. 

Una vita per gli altri e per i più deboli

«Sogno una Chiesa povera per i poveri». Il testamento di Papa Francesco è composto di sette parole, in linea con il nome che aveva scelto salendo al soglio pontificio il 13 marzo 2013. Fin dall’inizio il primo pontefice gesuita della storia marca una differenza con i predecessori e dice per simboli: sono come te, ultimo degli uomini, e mi sono imposto il nome del santo più umile. Nell’Europa del relativismo, che ormai non crede più in niente, spera che funzioni.  La postura pauperista in chiave anticapitalista è un lascito della tradizione sudamericana ed è la cifra più visibile del suo pontificato, che comincia con un’immagine simbolica: lui mentre sale la scaletta dell’aereo che lo porta in Brasile recando con sé una vecchia borsa con i documenti, come a dimostrare che valletti e segretari non servono perché la fede è essenza e il capo è un servitore. 

Pelle nera su veste bianca, anche alla fine del mondo la forma è sostanza. Sarà un tratto del suo comunicare: scarpe contadine al posto delle pantofole rosse (che pure simboleggiano il sangue dei martiri), Casa Santa Marta invece dell’appartamento pontificio, il crocifisso di metallo e legno invece che d’oro. È un modo di essere. È il sentirsi prete-indio del 266º Papa della Chiesa cattolica. Poiché le immagini scorrono e solo alcune si fissano nella memoria, il momento più alto del percorso di un Papa affascinante e controverso che ha guidato la Chiesa nella stagione dell’immagine e del grande gelo delle vocazioni, è un altro.

Solo davanti alla pandemia

Anche questo è accompagnato da una frase storica: «Dio non lasciarci in balìa della tempesta». Francesco nella piazza San Pietro deserta e spazzata dalla pioggia all’imbrunire: è la fotografia immortale di un papato. Il 27 marzo 2020, mentre chiede al Signore di salvare l’umanità dal flagello della pandemia, Jorge Bergoglio entra nel cuore della cristianità, allunga la mano per accompagnare un popolo smarrito e conclude il suo viaggio dalla periferia al centro: l’uomo «venuto dalla fine del mondo» raggiunge finalmente l’anima dei fedeli e la accarezza in sintonia con il Vangelo.

Il figlio del ferroviere 

Jorge Mario nasce a Buenos Aires (barrio Flores) il 17 dicembre 1936 da emigranti piemontesi, papà Mario impiegato delle ferrovie e mamma Regina casalinga, impegnata a sfamare i cinque figli. Comincia a lavorare a 14 anni: addetto alle pulizie, poi contabile in una fabbrica di calze. Al mattino fa i conti, al pomeriggio frequenta un istituto industriale. Si diploma perito chimico ed entra in un laboratorio che analizza prodotti alimentari. A 21 anni incontra la malattia e Cristo, insieme. Accade mentre è in ospedale tra la vita e la morte per una grave polmonite (gli viene asportata parte del polmone destro). «I parenti tentavano di consolarmi con frasi di circostanza. Un giorno viene a trovarmi suor Dolores, che mi aveva preparato alla Prima comunione. Mi dice: “Stai seguendo l’esempio di Gesù”. Allora capisco come bisogna affrontare cristianamente il dolore e trovo la pace». 

Jorge Bergoglio entra in seminario, nelle tante biografie uscite racconta di aver avuto una fidanzata. Poi il noviziato a Cordoba nella Compagnia di Gesù, la laurea in filosofia a 27 anni. Insegna da sacerdote e sale i gradini della gerarchia curiale. Nel 1992 Giovanni Paolo II lo nomina vescovo ausiliario di Buenos Aires, sei anni dopo diventa primate d’Argentina, poi cardinale sempre per merito di papa Wojtyla. Nella stagione più buia della storia patria aiuta gli oppositori del regime dei generali ma qualche schizzo di fango gli arriva sulla tonaca: la sinistra anticlericale lo accusa di avere avuto una parte nel rapimento di due sacerdoti, fino a quando uno di loro non lo scagiona. Veleni contenuti nel libro di un ex militante dei guerriglieri rossi Montoneros, in cerca di pubblicità. 

Il vescovo che si cucinava i pasti

Da vescovo si cucinava i pasti da solo, affascinato da frugalità e ritrosia. Da Papa ha fatto innamorare i romani quando si è presentato, senza scorta né preavviso, da un ottico a cambiare gli occhiali. Sarà il pontefice della vita quotidiana, dell’«andare incontro alla gente», vagamente più vicino a Giovanni XXIII che a Paolo VI. Distante anniluce dalle vette teologiche di Benedetto XVI. La sua storia è la sua cifra, e dice più del Messaggio dominato dalla cacofonia. La sobrietà nei luoghi e nei rituali diventa ridondanza nelle parole: un destino nella società della narrazione mediatica. Così il Santo Padre è costretto a convivere con le contraddizioni. È contro l’estremismo socialista ma accarezza le istanze progressiste e finisce per piacere ai non credenti. Si oppone ad aborto ed eutanasia ma viene strumentalizzato dai fanatici dei desideri universali scambiati per diritti. 

La metafora del crampo 

Fin dai primi passi in tonaca è avveduto, concreto, vicino agli ultimi e non nutre alcuna simpatia per la Teologia della liberazione che marchia la Chiesa sudamericana, anzi in più occasioni ne condanna le derive guevariste. La sua metafora preferita è quella del crampo. «A Buenos Aires fra padre allevatore e figlio ribelle c’erano pesanti divergenze ideologiche. Un vecchio sacerdote ascoltò le ragioni dei due, poi disse: ”Il problema è che avete scordato il crampo. Il crampo alla schiena di tuo padre e di tuo nonno quando si alzavano alle quattro di mattina a mungere le vacche”». La centralità della famiglia, la dignità del lavoro, la giustizia sociale sono i punti fermi di un alto prelato che nel 2013 diventa Papa nella situazione più straordinaria nella storia della Chiesa: la rinuncia di Joseph Ratzinger e la convivenza con un pontefice emerito a pochi metri da lui.

È stato custode della famiglia 

È custode granitico della famiglia tradizionale. Quando la presidente argentina Cristina Kirchner propone una legge che equipara matrimoni etero e unioni omo tuona: «È in gioco l’identità e la sopravvivenza della famiglia, padre, madre e figli. È in gioco la vita di tanti bambini che saranno discriminati in anticipo, privandoli della maturazione umana che Dio ha voluto che si desse con un padre e una madre». Poiché per un gesuita l’ecumenismo è tutto, pronuncia sui gay la frase «Chi sono io per giudicare» – in realtà indirizzata alla lobby vaticana -, diventata passepartout transgender per giustificare ogni fluidità. 

Al gregge dei fedeli parla poco della dottrina, molto della salvezza del pianeta. È contro i populismi ma lo fa da populista latinoamericano. Un giorno lascia trapelare la possibilità di dimissioni, quello successivo annuncia: «Mai avuto in mente, per il momento». Nel motu proprio “Come una madre amorevole” combatte la battaglia contro la pedofilia dei sacerdoti, scolpendo regole che la Curia qualche volta applica, molte altre disattende. Nell’enciclica “Laudato Si’” acqua, terra, natura sembrano trasformarsi in divinità. Qualche cardinale conservatore accusa Francesco di voler derubricare la Chiesa bimillenaria a una setta new age nell’Occidente postcristiano dominato dallo scientismo ecologista. Con lui le fibrillazioni percorrono il Vaticano. E quando davanti ai vescovi consiglia di chiudere le porte ai seminaristi gay («C’è già troppa frociaggine in Vaticano») la cupola di San Pietro metaforicamente trema. 

Il pontefice di Instagram 

Francesco è il Papa della comunicazione a tappeto. Sul pianeta social è il primo ad aprire un account Instagram che raggiunge un milione di follower in 12 ore. È il primo a firmare un articolo nella pagina delle opinioni del New York Times (sulla solidarietà globale). «Bisogna andare incontro alla gente». Così è anche il primo a rilasciare più interviste di una rockstar. Quando decide di farlo in Italia, affida i suoi pensieri – fra gli altri – a Eugenio Scalfari, fondatore del laicissimo quotidiano La Repubblica, e allo scaltro fratacchione catodico Fabio Fazio. Francesco è una manna per progressisti, agnostici e atei che lo blandiscono nel tentativo di cooptarlo. Arriva ad arruolare nell’esercito degli angeli anche Luca Casarini, pregiudicato ex leonka, titolare dell’”Osteria allo sbirro morto”, che diventa commodoro vaticano nello sbarcare migranti e si esibisce in imbarazzanti passerelle alle conferenze episcopali.    

Contrario a ogni guerra come da dettato evangelico, ferma quella di Barack Obama in Siria ma nulla può per evitare quella di Vladimir Putin in Ucraina. In politica estera Jorge Bergoglio segna una discontinuità forte: è il pontefice meno americano degli ultimi due secoli. Il rapporto con il clero statunitense è conflittuale, quello con la Casa Bianca solo cortese. Al contrario apre alla Cina e sigla un accordo con Xi Jinping che frustra i vescovi cinesi per anni vittime di feroci persecuzioni: la loro nomina deve avere l’assenso del regime. 

Nella grazia dell’Eternità

Lentamente la salute lo abbandona. Afflitto da dolori articolari alle gambe, ricorre sempre più spesso alla sedia a rotelle, viene operato al colon, è ricoverato più volte per crisi respiratorie. Quella parte di polmone mancante diventa un’assenza concreta. I bollettini medici si fanno sempre più frequenti, le apparizioni pubbliche sempre meno confortanti. Anche i messaggi sono meno potenti. Lottare contro «la società autodistruttiva» che ha come unica religione lo scongelamento del permafrost, diventa difficile. Francesco non ama parlare della sua salute. A chi gli chiede come sta, fino all’ultimo giorno risponde: «Sono ancora vivo. Non dimenticarti di pregare per me». Ora è nella grazia dell’Eternità. 

Autore
Panorama

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