È legittimo licenziare un ultras condannato per scontri
- Postato il 2 settembre 2025
- Di Libero Quotidiano
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È legittimo licenziare un ultras condannato per scontri
Un ultras condannato per violenze può perdere il lavoro. Lo ha deciso la Cassazione che ha dato torto a un tifoso di Catania, ex operaio, che aveva fatto causa al datore di lavoro che lo aveva licenziato dopo essere stato condannato a otto mesi per «oltraggio alle forze di polizia di stato e istigazione a commettere delitti di resistenza e delitti contro la persona», oltre che «per avere offeso con più azioni anche in tempi diversi l’onore e il prestigio di un pubblico ufficiale». L’uomo aveva impugnato il provvedimento, ma sia il giudice di primo grado sia la Corte d’appello di Catania avevano dato ragione al datore di lavoro. Da qui il ricorso in Cassazione, anch’esso respinto. Il giudici di Palazzaccio, come rivelato dal Messaggero, scrivono nella sentenza che «il licenziamento è giustificato quando il lavoratore ha commesso reati che recano disvalore morale alla sua persona, anche se si tratta di reati commessi al di fuori del lavoro».
Un peso ulteriore sulla sentenza è derivato dal protrarsi nel tempo delle azioni dell’uomo, quasi due anni, e anche dal contesto in cui sono avvenute. La Cassazione ha infatti ritenuto «particolarmente aggressivo» il contesto delle tifoserie calcistiche. Gli ermellini nella sentenza ricordano a questo punto le frasi pronunciate dall’uomo: «sbirri a morte» e «meglio mille sbirri uccisi che un ultras diffidato». Espressioni che, scrivono i giudici, confermano «gravi fatti di negazione di valori etici e morali e lesivi di interessi meritevoli di tutela penale». Per questo il licenziamento è «pienamente giustificato, anche se si tratta di reati commessi al di fuori dell’attività lavorativa, poiché è innegabile la compromissione dell’elemento fiduciario».
Un altro dei motivi di ricorso riguardava la presunta «tardività della contestazione disciplinare». I fatti per cui l’ultras era stato accusato risalgono al 2010, mentre il licenziamento è arrivato solo nel 2016, quindi 6 anni dopo. Ma anche qui la Cassazione ha respinto le obiezioni: il datore di lavoro, secondo i giudici, aveva sospeso la sua valutazione nell’attesa che si concludesse il procedimento penale. Anzi, il lavoratore si era anche attardato nel comunicare al titolare dell’impresa l’esito del procedimento: «sebbene la sentenza della Corte di Appello penale sia intervenuta a dicembre 2012, il datore di lavoro non ne è venuto a conoscenza prima del mese di ottobre 2016».
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