E’ la casa il termometro delle nuove povertà: da chi non può più permettersi mutuo o affitto, alle liste di attesa per gli alloggi sociali. E si riduce la mobilità per studio o lavoro | Il focus
- Postato il 25 dicembre 2025
- Società
- Di Il Fatto Quotidiano
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L’emergenza abitativa non è una novità. Lo è il fatto che non riguarda più soltanto le famiglie in povertà, ma milioni di lavoratori in Italia e in tutta Europa e di studenti. Insomma, il ceto medio impoverito che da una parte spende sempre meno per la salute, dall’altro arranca ogni anno di più per potersi permettere l’acquisto di una casa o anche solo per mantenerla, tra affitti e bollette. Il 2025 si chiude confermando i problemi di sempre e il testimone da consegnare al nuovo anno è pieno di scommesse: contenere la speculazione, rilanciare l’edilizia sociale e sostenere la mobilità, soprattutto quella dei giovani. A preoccuparsene sono infatti le imprese che non trovano personale, a partire dai grandi centri dove si concentra la forza produttiva ma anche quello che Eurostat definisce “sovraccarico dei costi abitativi”, in un contesto europeo dove la mancanza di alloggi a prezzi accessibili è diventata la prima preoccupazione dei cittadini Ue. Tra le ragioni per cui, soprattutto in grandi città come Milano, non si trovano lavoratori, è l’indisponibilità a trasferirsi perché lo stipendio non basterebbe. Pesa la perdita di potere di acquisto, ma anche il fatto che gli immobili sono, oggi più che mai, un asset di investimento che ha trasformato gli italiani in un popolo di locatari: invece di intervenire, il governo ha ridotto i requisiti edilizi rendendo abitabili 20 metri quadrati e dichiarato guerra, perdendola nei giorni scorsi alla Consulta, alla legge regionale toscana che tenta la prima stretta su b&b e affitti brevi. Quanto alla legge di Bilancio si è visto ben poco del “grande piano casa” promesso da Giorgia Meloni nei mesi scorsi: appena 300 milioni per il prossimo biennio, ulteriormente ridotti di un terzo negli ultimi aggiustamenti alla manovra. Il fabbisogno reale? Tra i 12 e i 15 miliardi secondo i costruttori dell’Ance. Uno stallo nel quale si inserisce ora il Piano casa europeo presentato il 16 dicembre dalla Commissione Ue, che parla di 650 mila nuovi alloggi all’anno per il prossimo decennio, di cui la maggior parte destinati a giovani, studenti e famiglie vulnerabili. Tra il dire e il fare c’è poi che l’Ue non ha competenza diretta e si parla più facilmente di soldi che di regole per garantire l’accesso alla casa. La vera messa a terra del Piano tocca agli Stati: in Italia abbiamo utilizzato appena un quarto delle risorse stanziate dal Pnrr per l’edilizia sociale e finanziato solo un terzo dei 60 mila posti letto per gli universitari. Emergenza abitativa, quindi, non significa solo “piani casa”, ma anche impoverimento della classe media dovuto a salari fermi e costo della vita, e soprattutto mobilità di chi studia e lavora. Ecco, in quattro punti, lo scenario.
Sempre più povertà abitativa – A livello europeo il tasso di sovraccarico dei costi abitativi (chi spende più del 40% del reddito per la casa: affitto o mutuo, utenze, tasse e manutenzione) è dell’8,2%, ma il dato sale al 31,1% per le persone a rischio povertà. Circa 42 milioni di europei, il 9,2% della totale, non possono permettersi di riscaldare adeguatamente la propria casa e il 16% vive tra infiltrazioni, muffa o infissi degradati. Per chi fa fatica, la casa smette di essere un rifugio. Al contrario, diventa la principale causa di erosione del risparmio e della salute, con le persone che rinunciano a un’alimentazione sufficiente e alle cure. Per Oxfam è il frutto di una tendenza che ha “sbilanciato le politiche sulla casa a favore della rendita finanziaria e immobiliare”, determinando un “progressivo indebolimento delle politiche di welfare a tutela del diritto all’abitare”. In Italia viviamo in un paradosso ormai strutturale: 9,6 milioni di case non abitate e quasi 4 milioni di persone in povertà abitativa. E sono sempre più frequenti le soluzioni inadeguate: il 25,1% delle famiglie vive in condizioni di sovraffollamento (rispetto al 16,8% Ue), ma tra le famiglie italiane a rischio povertà si arriva al 33,4%. Mentre Fratelli d’Italia ha pronta una nuova legge per accelerare lo sfratto di chi non ce la fa a pagare (ogni giorno se ne eseguono 134), l’offerta di edilizia pubblica resta marginale, insufficiente a calmierare i prezzi. Siamo appena al 2,6% dello stock totale (contro una media Ue del 6-7%), alimentando le difficoltà della cosiddetta “classe grigia” che non accede ai sussidi né riesce a sostenere i prezzi del libero mercato. Ma le difficoltà non riguardano più i soli affittuari: il 76% dei proprietari lamenta costi di gestione elevati, dalle utenze alle spese condominiali, con una media di circa 250 euro mensili. Fardelli che dialogano direttamente con la media dei salari lordi degli italiani (33.148 euro, dato OECD per il 2024), superati del 33% da quelli francesi e del 51% da quelli tedeschi.
Sempre meno mobilità lavorativa – Costi alti e salari bassi limitano la possibilità di trasferirsi verso le aree più dinamiche del Paese, con effetti diretti su produttività e crescita. Secondo Cassa Depositi e Prestiti, proprio nelle principali province per domanda di lavoro — tra cui Milano, Roma, Bologna, Firenze, Bergamo, Brescia e Bolzano — l’affitto assorbe spesso più del 40% del reddito disponibile (con punte del 65%), e le imprese segnalano crescenti difficoltà a reperire manodopera anche in presenza di posti vacanti. Ormai la questione abitativa è considerata un fattore strutturale per la competitività. Confindustria stima un fabbisogno di almeno 600 mila nuovi alloggi a canone sostenibile, destinati in particolare a lavoratori e studenti e avverte che in assenza di un aumento dell’offerta abitativa accessibile, la capacità delle imprese di attrarre e trattenere forza lavoro nei territori produttivi sarà compromessa. In città come Milano, l’accesso alla casa è già incompatibile con il reddito da lavoro per molti lavoratori essenziali come insegnanti, forze dell’ordine e personale sanitario, che spesso non ce la fanno a sostenere i costi dell’abitare nei luoghi in cui prestano servizio. Un bel problema per il settore pubblico: soprattutto al Nord, i concorsi pubblici registrano una partecipazione sempre più scarsa o peggio, la rinuncia di chi ha vinto perché il costo della vita è incompatibile con con le retribuzioni iniziali offerte. Ma anche i residenti se ne vanno. A Roma, l’aumento dei prezzi e la diffusione degli affitti brevi hanno contribuito allo spostamento verso le periferie, con una riduzione del 5% della popolazione nel centro storico tra il 2016 e il 2021 e un allungamento dei tempi di spostamento per i pendolari. “No City for Workers“, le potremmo chiamare mutuando la definizione utilizzata dagli studi su alcune grandi città del Nord Europa. Dove è impossibile vivere e diventa difficile anche lavorare. In base agli argomenti raccolti dalla Commissione Ue per il suo Piano, i lavoratori che affrontano lo “stress abitativo” (lunghi spostamenti, sovraffollamento o insicurezza) sono meno produttivi, presentano tassi di assenteismo più elevati e sono più soggetti al burnout. In altre parole, perdita di produttività.
Sempre meno mobilità universitaria – Insieme a quello sul mercato del lavoro, c’è l’impatto sulla formazione per il reinserimento occupazionale. A testimoniarlo è la Garanzia di occupabilità dei lavoratori, GOL, il programma finanziato dal Pnrr. Sganciate dalla questione abitativa, al contrario di quanto avviene in altri progetti europei, le politiche attive e così le opportunità offerte, per lo più a breve o brevissimo termine, faticano a ricollocare chi non può permettersi il trasferimento in aree dove c’è più lavoro ma il costo della vita è più alto, affitti in testa. Più noto il problema degli universitari, anche nel resto d’Europa. Secondo la Banca Europea per gli Investimenti (Bei), il deficit di alloggi studenteschi accessibili è stimato in 3,3 milioni di unità, con effetti sul diritto allo studio e l’accesso ai principali poli e in particolare ai corsi STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica), dove la frequenza in presenza è spesso indispensabile. I lavori della Commissione Ue segnalano casi in cui si è costretti ad abbandonare gli studi e, al pari di tanti giovani lavoratori, rinviare l’uscita dalla casa dei genitori. “I dati provenienti dall’Italia evidenziano che le carenze delle residenze universitarie sovvenzionate possono spingere la domanda degli studenti verso affitti privati a costi più elevati, rafforzando le pressioni locali sull’accessibilità economica”, si legge nei documenti di lavoro della Commissione Europea, con riferimento particolare ai grandi centri dove la “studentification” deve vedersela con l’overtourism e in generale con la “financialisaton” del mercato immobiliare. Con quasi 1,9 milioni di universitari, di cui almeno mezzo milione fuori sede, i posti nelle residenze universitarie italiane sono circa 85 mila, per una copertura che non arriva al 10%. Con lo stanziamento del Pnrr abbiamo previsto di creare altri 60 mila alloggi, ma ne abbiamo finanziati solo un terzo. Intanto a Milano il 50% della case è destinata ai servizi Airbnb, con benefici per tanti proprietari, che in Italia sono il 74% (la media Ue è del 69%), e un +5,7% sui prezzi degli affitti ogni 1% di aumento degli annunci sulla piattaforma.
Piani casa e investimenti futuri – L’ennesima promessa di un Piano casa degno di nota si è raffreddata nella realtà contabile della manovra di bilancio. A fronte dei 15 miliardi di euro invocati dai costruttori, il governo ha trovato appena 200 milioni di euro per il prossimo biennio. Al palo restano 300 mila famiglie in lista d’attesa per un alloggio sociale, mentre i contributi per l’affitto sono ridotti a soli 10 milioni l’anno (nel 2022 erano 320). Intanto 70 mila abitazioni popolari sono chiuse per manutenzione e gli sfratti restano allarmanti. Tutto da ripensare anche sugli altri fronti: dal rent to buy per le giovani coppie ai canoni agevolati per gli anziani. Più probabilmente, aspetteremo i fondi europei. Le politiche abitative restano competenza degli Stati anche col Piano casa Ue. Che ambisce piuttosto a supportare lo sforzo di recuperare risorse per 650 mila nuovi alloggi ogni anno e un costo stimato in 153 miliardi annui. Come? In buona parte aumentando la flessibilità delle regole negli aiuti di Stato e creando una piattaforma d’investimento con la Bei per mobilitare 375 miliardi entro il 2029. Entro il 2026, invece, promette regole sugli affitti brevi. Sempre che i governi siano d’accordo, come insegna il dibattito italiano sulle aliquote degli Airbnb. Le critiche al Piano Ue riguardano sopratutto l’assenza di regole. “Canone calmierato? Senza un forte intervento pubblico diretto è una formula che non funziona, lo sappiamo”, dice la segretaria nazionale dell’Unione Inquilini, Silvia Paoluzzi. “Anzi, la scelta di puntare sulla semplificazione delle norme e sulla revisione degli aiuti di Stato, rischia di tradursi in un ulteriore trasferimento di fondi pubblici verso operatori immobiliari e finanziari”. Così anche a Bruxelles. “La montagna rischia di partorire il topolino. Non solo non vengono messi a disposizione degli Stati trasferimenti diretti immediati, ma si continua a puntare su un modello che affida ai privati e alla finanza immobiliare la regia delle politiche abitative”, dichiarano gli europarlamentari del M5s Valentina Palmisano e Gaetano Pedullà. Anche i Verdi denunciano l’approccio troppo sbilanciato verso la finanza immobiliare, lamentando l’assenza di misure vincolanti contro la speculazione. Più fiduciosi destre e conservatori, che spingono per un’ulteriore deregolamentazione, leggendo la crisi soprattutto come un problema di burocrazia da disinnescare e costi amministrativi da tagliare per favorire l’iniziativa privata.
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