E in principio fu Pitagora, padre nobile di tutti noi
- Postato il 11 luglio 2025
- Di Panorama
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In principio fu Pitagora. Fu lui il primo a definirsi filosofo. Fu lui il primo a sostenere l’immortalità dell’anima e la sua trasmigrazione. Fu lui il primo a scoprire le leggi segrete della matematica e dell’armonia musicale. Fu il primo sapiente a occuparsi di politica e di costituzioni, e di medicina e di astri. Fu il primo degli italici, il fondatore della Magna Grecia, una colonia più grande della madre Grecia. E fu il primo a fondare una scuola italica. Dopo di lui venne la scuola eleatica di Parmenide nel basso Tirreno, Empedocle in Sicilia, e poi gli altri. Pitagora fondò la sapienza al crocevia tra la teologia e il pensiero, il mito e la scienza, il culto e la musica, la politica e l’educazione, la medicina e l’astronomia; e considerò il fulcro della sapienza proprio nella connessione organica tra saperi, pratiche, riti e misteri.
Dici Pitagora e la gente pensa al teorema che da lui prende il nome o al più alla tavola pitagorica. O se accenni alla sapienza esoterica di Pitagora qualcuno pensa alla massoneria e alla sua segreta architettura che da Pitagora trasse ispirazione. Ma Pitagora, devoto di Apollo, allievo di Orfeo, maestro di Platone e di tanti filosofi e matematici, fu qualcosa di più, fu considerato quasi un dio, un ponte tra l’umano e il divino; alcune testimonianze narrano che Pitagora avesse una coscia d’oro, a riprova della sua origine sovrumana. Lui stesso disse di sé che era nato da semi più potenti di quelli mortali. Ma per lui solo la verità rende simili agli dei.
Proviamo a farne in breve la storia, avvalendoci di varie fonti, ma se volete una sintesi più ampia c’è ora la preziosa ricostruzione di Angelo Tonelli, Pitagora, il maestro segreto, da poco edita da Feltrinelli. Pitagora nacque intorno al 572 avanti Cristo a Samos, in Grecia, ma la sua famiglia era di origine etrusca e tirrenica; suo padre Mnesarco era incisore di pietre preziose, un’arte sacra. Pitagora fu iniziato ai Misteri dagli egizi, i caldei, gli ebrei, i magi. Ma la sua vita fiorisce nel Sud d’Italia, in particolare tra Crotone e Metaponto. Porfirio racconta che in una sola lezione tenuta «subito dopo che era sbarcato in Italia», Pitagora raccolse intorno a sé più di 2 mila uditori che dopo averlo ascoltato decisero di non tornare più nelle loro abitazioni ma edificarono un’enorme casa degli uditori, così fondando «quella che tutti chiamarono Magna Grecia d’Italia». Non a caso per Ernst Bloch «l’Italia è il Paese dove tutto prende inizio». Pitagora è il più luminoso esempio di quell’antichissima sapienza degli italici di cui scrisse Vico. In quella scuola Pitagora insegnò la dottrina ma istituì anche le leggi per gli italioti, creò una comunità; rese libere le città, le permeò della sua saggezza, dalla Sicilia a Taranto. Nella sua scuola vigeva una dieta vegetariana, la disciplina del silenzio, soprattutto per i neofiti, lo spregio della fama e della ricchezza; i beni erano in comune, ma chi si dimostrava indegno di appartenervi veniva espulso come straniero di un’altra razza e riceveva il doppio dei beni che aveva messo in comune. Premio di consolazione e buonuscita per aver mancato la via dell’eternità. All’inizio e alla fine della giornata bisognava fare i bilanci e chiederti cosa hai fatto, dove hai sbagliato, quale dovere non hai compiuto. Pitagora aprì la scuola ai fanciulli e alle donne – famosa fu la sua allieva Teano – raccomandava di non maltrattare le mogli. Alla sua scuola si curavano le malattie del corpo, l’ignoranza dell’anima, la smoderatezza del ventre, la sedizione pubblica, la discordia domestica, la mancanza di misura. Si praticava il rispetto della natura, dalle piante agli animali; lunghe camminate, bagni e banchetti in onore degli dei. Insegnava l’amicizia tra gli uomini e con il cosmo, anche la postura e lo stile. Gli adepti erano divisi tra pitagorei e pitagorici, ossia matematici o acusmatici, esoterici o essoterici. Poi la scuola suscitò invidia e dispetti, sicché i seguaci di Cilone (una specie ante litteram di cosca della ’ndrangheta?) decretarono la morte della scuola e il massacro dei suoi adepti. Pitagora si rifugiò a Metaponto dove poi morì. La sua casa fu trasformata in un tempio dedicato a Demetra (una basilica neopitagorica fu scoperta nel 1917 a Roma, a Porta Maggiore).
Pitagora non lasciò scritti – a parte una raccolta postuma nota come Versi aurei, curati da Julius Evola – ma lasciò un’impronta su più terreni, visibili e invisibili. Sacra è la sua tetraktis, il triangolo numerico che ha la base di quattro elementi, il secondo livello è di tre, il terzo di due e il vertice uno: la somma dei quattro primi numeri è dieci.
Pitagora vestiva di bianco, vesti candide e pure, rifuggendo pelli di animali, e usava lenzuoli di lino. Offriva agli dei non solo incenso e mirra ma anche focacce, miglio, fave (per lui sacre e pericolose). Tra i suoi prodigi leggendari, Pitagora godeva di bilocazione, discendeva agli inferi, conosceva le sue vite precedenti e quelle post mortem; ammansì il feroce orso dauno, dialogò col bue di Taranto, accarezzò l’aquila bianca in volo.
Usava la musica, i canti e la danza come terapia, “incantamento” e catarsi, tra il dionisiaco flauto e la lira apollinea. Per Pitagora l’Inizio è la metà del tutto: sembra il proverbio «chi ben comincia è alla metà dell’opera», ma lui intendeva che ogni inizio esige una preparazione preliminare, implicita e invisibile. Per Empedocle fu «un umano di sapienza sovrumana che acquisì immensa ricchezza di precordi, eccellente in opere sagge di ogni genere». Pitagora, nostro Padre e Maestro.