E a Hong Kong chiude anche l’ultimo vero partito: la Cina ha cancellato l’accordo del ’97

  • Postato il 18 luglio 2025
  • Di Panorama
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L’ordine cinese regna a Hong Kong. Dal primo luglio anche l’ultimo vero partito attivo nell’isola, la League of social democrat, è stato costretto a sciogliersi. Fondata nel 2006, la Lsd nelle elezioni del 2008 era riuscita a ottenere il 10 per cento dei voti. Malgrado la stretta di regime decisa da Pechino il 30 giugno 2020, quando Xi Jinping aveva imposto a Hong Kong la «Legge sulla sicurezza nazionale» che vieta ogni libera manifestazione del pensiero trasformandola in «sedizione», «terrorismo» e «collusione con potenze straniere», per cinque anni esatti la Lsd ha continuato a organizzare piccole, coraggiose proteste di strada. Lo scorso 30 giugno, proprio mentre il governo festeggiava il quinto anniversario della legge liberticida, la presidente-fondatrice della Lsd, Chan Po-Ying, ha gettato la spugna per «le continue, e purtroppo efficaci intimidazioni» delle autorità locali. Per cinque anni Chan e i suoi attivisti sono stati fermati più volte, arrestati, multati. Ora per loro si apre una stagione di processi senza regole. In Italia nessuno sembra essersene accorto, ma questo è l’ultimo ammaina-bandiera della libertà nell’isola. E l’instaurazione del regime avviene in piena violazione dell’accordo firmato il 19 dicembre 1984 da Margaret Thatcher e Zhao Ziyang, dove si stabiliva che «le libertà democratiche, il sistema capitalista» e perfino «lo stile di vita» di Hong Kong avrebbero dovuto «restare invariati per 50 anni dopo il passaggio di sovranità alla Cina». La ri-consegna dell’ex colonia britannica era avvenuta il primo luglio 1997, quindi nulla avrebbe dovuto cambiare fino al primo luglio 2047. Invece, per volontà di Xi – e per ironia del destino – tutto è finito con 22 anni esatti d’anticipo. Dal marzo 2024, quando il governatore filocinese John Lee Ka-Chiu ha varato una nuova Ordinanza sulla salvaguardia della sicurezza nazionale, il dissenso viene perseguito come «insurrezione» o «tradimento», due crimini da ergastolo. E il Codice penale ora prevede anche un reato a dir poco orwelliano, «l’incitamento alla disaffezione nei confronti del governo», punibile con dieci anni di carcere. Che arrivano a 14 se esiste solo il sospetto di «un’interferenza esterna» di altri Paesi. L’Ordinanza ha introdotto la presunzione di colpevolezza per gli indagati, cancellando così in nove casi su dieci l’antico diritto alla libertà su cauzione. E la Polizia ha poteri illimitati: può sorvegliare in segreto un sospettato e in segreto può tenerlo in custodia a tempo indeterminato.

I processi aperti contro centinaia di dissidenti, intanto, funzionano come deterrente per tutti gli altri, ma in definitiva per 7,5 milioni di abitanti. Nel novembre 2024, dopo quasi quattro anni di carcere preventivo, è terminato il primo grado contro i 47 capi dei movimenti pro-democrazia, 31 dei quali sono stati indotti a dichiararsi colpevoli come accadeva nei processi staliniani: tutti sono stati condannati. Ora tocca a Jimmy Lai, 77 anni, fondatore del quotidiano Apple Daily (chiuso nel 2020, com’è accaduto a ogni organo di opposizione) e critico di spicco del Partito comunista cinese. In carcere dall’agosto 2020, Lai rischia l’ergastolo per pubblicazione sediziosa. La condanna è già prevista in ottobre.

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Panorama

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