Due leggi per due stati: buona madre, donna che scrive. Cusk sul confine
- Postato il 11 ottobre 2024
- Di Il Foglio
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Due leggi per due stati: buona madre, donna che scrive. Cusk sul confine
La gravidanza? “E’ una sorta di pena detentiva”, “un qualcosa di spiacevole che accade insieme ad altre cose che lo sono meno”. L’allattamento? “Sopravvalutato” e prendersi cura del bambino “è noioso”. Lo scrive Rachel Cusk in un suo bestseller, pubblicato in Italia nel 2021- Il lavoro di una vita. Sul diventare madre (Einaudi) – e lo conferma anche a voce durante il nostro incontro, aggiungendo che “se oggi la maggior parte delle persone sapesse cosa vuol dire avere dei figli, deciderebbe di non averne”.
Nelle sue parole, verità e feroce ironia vanno di pari passo, ma pur essendo sempre molto diretta, non scrive o dice mai che non ne sia valsa la pena o che non abbia amato o non ami sua figlia, “perché non ce n’è bisogno”, “perché sono cose che si sanno già”.
All’epoca, Cusk era impreparata alle trasformazioni del suo corpo, della sua mente e della sua vita, ma riuscì a descrivere perfettamente in quel libro (scritto mentre suo marito si occupava della neonata) il passaggio dai convegni e dai cocktail-party in abito da sera alle notti insonni nel tentativo di placare i pianti della bambina. “Un vero e proprio incubo a occhi aperti che viene vissuto da noi donne come un martellante atto d’accusa”. “Spesso - aggiunge la scrittrice britannica, di origini canadesi - le madri sono dei veri e propri manuali ambulanti incapaci di dire la verità, perché la stessa è stata già detta per loro”.
Lei ha fatto esattamente il contrario, riuscendoci e coinvolgendo anche quella fetta di pubblico composta dai lettori maschi. Siamo sull’isola di Capri ed è lei la vincitrice del 27esimo Premio Malaparte, una delle manifestazioni più attese del panorama letterario italiano, istituito da Graziella Lonardi Buontempo nel 1983 per iniziativa di Alberto Moravia e tornato a nuova vita dal 2012 grazie alla curatrice e produttrice Gabriella Buontempo e a Michele Pontecorvo Ricciardi, vice presidente di Ferrarelle. “All’inizio della mia carriera non avevo alcuna intenzione di scrivere di maternità o dell’essere donna, ma la letteratura è un continuo rispecchiarsi, un’esperienza condivisa che serve a un individuo per rivolgersi a un altro individuo così da far sentire l’uno e l’altro meno soli”. “Nel mio nuovo libro (si intitolerà Parade, in uscita a gennaio del prossimo anno sempre per Einaudi, ndr), torno su questi temi e non a caso tra i personaggi c’è Louise Bourgeois - l’artista della scultura a forma di ragno in tutte le sue forme, simbolo per lei della figura materna, portatore di significati duplici e contrastanti - che non era certo una persona simpatica, ma di sicuro un’artista la cui creatività non finì mai con l’adeguarsi ai valori maschili”. “Virginia Woolf sosteneva che la letteratura femminile dovrebbe essere scritta solo da donne e nel mio piccolo, con il mio lavoro, sto cercando di farlo”. Nel frattempo è uscito Coventry, una raccolta di scritti letterari e culturali con saggi su Natalia Ginzburg, D.H. Lawrence, Kazuo Ishiguro in cui ricorda che sua madre e suo padre, di tanto in tanto, “per offese reali o presunte”, smettevano di parlarle, subendo quello che in inglese viene definito “essere mandati a coventry”, da cui il titolo. Una sorta di vaffa, ma con l’aplomb e il sense of humour tutti anglosassoni.
“Oggi, conclude, non so se sono una brava madre. Per esserlo, devo lasciare il telefono senza risposta, il lavoro incompiuto, gli impegni non soddisfatti. Per essere me stessa devo lasciare piangere la bambina, devo prevenire la sua fame o lasciarla fuori per le serate, devo dimenticarla per pensare ad altre cose. Riuscire ad essere uno significa fallire nell’essere l’altro... Non ho mai la sensazione di essere andata oltre questa divisione, imparo semplicemente a legiferare per due Stati e ad assicurare un confine tra essi”.
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