Due anni senza Sinisa Mihajlovic nella notte di Lazio-Inter, la sua partita. Il ricordo di sua moglie Arianna Rapaccioni

  • Postato il 16 dicembre 2024
  • Di Virgilio.it
  • 1 Visualizzazioni

Quel generatore che ha decretato il calendario, con relativi anticipi e posticipi, ha deciso che Lazio-Inter si disputasse oggi, 16 dicembre, a due anni dalla perdita di Sinisa Mihajlovic il campione unico che ha interpretato i colori di entrambe. Ma che due anni fa appena, e pare un tempo incalcolabile per chi lo ha amato e gli è stato accanto sempre, è scomparso a Roma in un dicembre assolato, intenso e faticoso. Non ha mai ceduto di un millimetro, ha colto e affrontato istante dopo istante il tempo come da calciatore e allenatore, ritagliandosi uno spazio tutto per sé.

Se c’è un tratto che rimane, oltre il dolore che appartiene a chi rimane e che viene difende da sua moglie Arianna Rapaccioni al pari dei suoi figli, è l’attaccamento alla vita con una grinta irripetibile che lo ha reso un personaggio oltre il calcio, un uomo che è stato e rimane nei fatti, nelle dichiarazioni e nel suo carisma.

Due anni senza Sinisa Mihajlovic nella notte di Lazio-Inter

D’altronde non era poi lui, a poche settimane dalla fine, capace di dedicarsi all’attività fisica, a presentare il libro dell’amico e allenatore Zdenek Zeman? In questa notte di calcio, di Lazio-Inter c’è un inizio da giocatore in una società importante, quella capitolina, che gli offrì la notorietà e poi l’Inter che visse al fianco di Roberto Mancini, suo amico e compagno di calcio e di questa seconda vita, una tra le tante vissute.

“Ho vissuto tante vite” è quel che aveva ammesso, quando aveva deciso di mostrare un lato di sé inedito e meno celebrato, intimo, che lo scopriva dolce, amabile, affettuoso pur con la grinta che sapeva calare anche in simili ammissioni.

Il ricordo emozionante di sua moglie Arianna Rapaccioni

Sua moglie Arianna, che ne rammenta celebrandola la sua complessa e straordinaria umanità, anche in questa giornata in cui cade il secondo anniversario della sua morte ha deciso di palesare quei sentimenti con i quali convive, per non mancare mai di alimentare e sensibilizzare su quel patrimonio calcistico, umano costruito da suo marito ovunque abbia giocato e allenato. E che ha goduto, di riflesso, dell’impegno di sua moglie e del suo supporto nelle scelte più critiche. Non cercava di piacere comunque, ma di essere fedele alla sua idea di calcio.

Il post che ha pubblicato stamani, 16 dicembre, è accompagnato da uno scatto che li ritrae assieme, abbracciati e legati in un’unione che è parsa incrollabile. E che lo è ancora oggi:

[iol_placeholder type="social_instagram" id="DDof26ZMxK9" max_width="540px"/]

Con Arianna è stato l’amore che attraversa ogni sfumatura dell’esistenza, dello stare insieme negli avvenimenti che ciascuno impara a conoscere, ad attraversare nella propria vita ma che ognuno vive per sé, a modo suo. Il loro incontro a Roma, decenni fa, era stato definitivo anche se il calcio costrinse Sinisa a lasciare presto la Capitale.

L’incontro con il calcio: Stella Rossa e la serie A

La sua storia affondava le radici nell’ex Jugoslavia. Sinisa Mihajlovic ha incontrato il calcio da uomo di confine e con la consapevolezza che le scelte a volte sono dovute, necessarie, per non morire. Nella sua esistenza, di bambino e di ragazzino nato in un Paese dilaniato, il calcio è stato salvezza. E come negarlo, alla luce di quel che è stato poi? Nel giorno dell’esordio da professionista, nel 1986, a 17 anni proprio con la maglia del Borovo leggenda vuole – la cronaca ha assunto anche questa sfaccettatura – che riuscì a contribuire con una delle sue punizioni. Il re aveva lanciato, a 17 anni appena, il messaggio. Non è ancora oggi, ancora adesso considerato il miglior specialista a livello mondiale?

Il ragazzino serbo si fa notare, nella Stella Rossa: erano gli anni della Coppa Campioni prima dell’avvento della Champions League che si configurò ancora diversa da oggi. La Serie A è a un passo, ci pensa un suo estimatore nonché maestro di calcio e di vita a condurlo alla Roma, e porta il nome di Vujadin Boskov, una sorta di secondo padre per Sinisa che non rimase poi troppo. Giusto in tempo per dimostrare le proprie qualità e intuire le potenzialità della futura bandiera, l’esordiente Francesco Totti.

Com’è diventato il re delle punizioni

Quando passa alla Sampdoria, con in panchina il compianto Sven Goran Eriksson, muta a livello professionale e tattico e ciò gli conferisce probabilmente una visione di gioco e di prospettiva diversa, una sorta di passaggio propedeutico per la sua carriera da allenatore. Giocatore lo rimase ancora a lungo e con risultati estremi, importanti con Lazio e Inter al fianco dell’amico Roberto Mancini. Rapporto intenso, il loro, fatto d’amicizia e di lite e riconciliazioni.

I passaggi di squadra e la nuova collocazione tattica non lo destabilizzarono. Furono l’apoteosi per il re delle punizioni (28 gol in Serie A in condominio con Andrea Pirlo)che stasera meriterebbe e meriterà un tributo di affetto. Anche da allenatore, ma qui si va oltre Lazio-Inter.

A Bologna, Roma, Milano ha dato il suo contributo. Gigio Donnarumma gli deve il suo esordio in serie A con la maglia del Milan a soli 16 anni. Se un tecnico non crede in te, a quell’età non rischia per metterti tra i pali. Non è l’unico ad averlo amato e ammirato, nel mondo del calcio.

E anche stasera non mancherà un ricordo reso necessario dall’unicità di un campione che è stato tale, proprio perché ha dimostrato quanto sia indispensabile, qualunque sia il cammino, intraprenderlo insieme a chi si è scelto.

Autore
Virgilio.it

Potrebbero anche piacerti