Draghi: “L'Ue sarà lasciata sola a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa"

  • Postato il 18 febbraio 2025
  • Di Il Foglio
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Draghi: “L'Ue sarà lasciata sola a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa"

L'Unione europea deve attrezzarsi a far fronte a novità nei cambiamenti economici e politici globali. Ed “è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”. Così Mario Draghi, intervenendo a una seduta del Parlamento europeo a Bruxelles. 

 

La sicurezza dell'Ucraina e la difesa frammentata

"Se le recenti dichiarazioni", da parte dell'amministrazione statunitense "delineano il nostro futuro, possiamo aspettarci di essere lasciati in gran parte soli a garantire la sicurezza in Ucraina e nella stessa Europa e per far fronte a queste sfide”. 

Eppure, quello della difesa è un settore nel quale “la frammentazione della capacità industriale lungo linee nazionali impedisce la scala necessaria” ha osservato Draghi: “Anche se fossimo collettivamente la terza area che spende di più al mondo, non saremmo in grado di soddisfare un aumento della spesa per la difesa attraverso la nostra capacità produttiva". I nostri sistemi di difesa nazionali “non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di fornitura”. E questo è solo uno dei tanti esempi, ha aggiunto, “in cui la Ue è meno della somma delle sue parti”.

 

Il nodo dei dazi

Quando è stato scritto il rapporto sulla competitività, presentato per la prima volta lo scorso 9 settembre, “il tema geopolitico principale era l'ascesa della Cina. Ora, la Ue dovrà affrontare i dazi imposti dalla nuova amministrazione statunitense nei prossimi mesi", i quali rappresentano un ostacolo all'accesso verso “il nostro più grande mercato di esportazione”. Inoltre, ha osservato Draghi, le tariffe statunitensi più elevate sulla Cina “reindirizzeranno la sovracapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee”.

Motivo per cui “le grandi aziende dell'Ue sono più preoccupate per questo effetto che per la perdita di accesso al mercato statunitense”. In futuro, ha continuato l'ex presidente della Bce, “potremmo anche trovarci di fronte a politiche ideate per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione”. Non a caso, proprio una simile espansione della capacità industriale statunitense rappresenta un fondamentale del piano del governo americano, in modo da “garantire che i dazi non abbiano effetti inflazionistici”. 

 

L'impegno nella competitività

Dalla pubblicazione del rapporto Draghi ad oggi "i cambiamenti avvenuti" a livello Ue "sono sostanzialmente in linea con le tendenze che erano state delineate" nel rapporto stesso. Ma "il senso di urgenza di intraprendere il cambiamento radicale auspicato dal rapporto è diventato ancora più forte".

La complessità della risposta politica sulle sfide globali richiedono un grado di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori, ma “il tempo non è dalla nostra parte, con l'economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce". Sarà necessario quindi, ha spiegato l'ex premier, "creare le condizioni affinchè le aziende innovative crescano in Europa anzichè restare piccole o trasferirsi negli Stati Uniti”. Questo impegno implica “abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sul capitale azionario".

“Spesso siamo noi stessi i nostri peggiori nemici in questo senso" ha spiegato Draghi. Eppure, il nostro mercato interno ha “dimensioni simili a quello degli Stati Uniti. Abbiamo il potenziale per agire su larga scala ma il Fondo monetario internazionale stima che le nostre barriere interne equivalgano a un dazio di circa il 45 per cento per la produzione e del 110 per cento per i servizi".

In più “abbiamo scelto un approccio normativo che ha dato priorità alla precauzione rispetto all'innovazione, soprattutto nel settore digitale" ma "i nostri Paesi si affidano principalmente ai prestiti bancari che generalmente non sono adatti a questo compito: ci porta a inviare oltre trecento miliardi di euro di risparmi all'estero ogni anno perchè qui mancano opportunità di investimento”. Se agiremo con decisione, rendendo “l'Europa un luogo attraente per l'innovazione”, ha concluso Draghi, avremo “l'opportunità di invertire la fuga di cervelli che ha trascinato i nostri migliori scienziati oltreoceano”. 

 

Energia e gas: l'Ue deve abbassare i prezzi

Sul fronte energetico, Draghi ha sottolineato il fatto che i prezzi “sono generalmente aumentati in tutti i paesi e sono ancora due-tre volte più alti di quelli degli Stati Uniti. Abbiamo visto il tipo di tensioni interne che potrebbero sorgere se non agiamo con urgenza per affrontare le sfide create dalla transizione energetica”. In particolare, i prezzi del gas naturale “rimangono altamente volatili, in aumento di circa il 40 per cento da settembre, e i margini sulle importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono aumentati in modo significativo dall'anno scorso”. Ad esempio, durante la grave 'dunkelflaute' (il periodo di picco negativo per lo sfruttamento delle rinnovabili) di dicembre dell'anno scorso, quando l'energia solare ed eolica sono scese quasi a zero, “i prezzi dell'energia tedesca sono aumentati di oltre dieci volte rispetto al prezzo medio annuale”. Tutto ciò, ha spiegato Draghi, a sua volta “ha causato importanti picchi di prezzo in Scandinavia, con i paesi che hanno dovuto esportare energia per colmare il divario, portando a sua volta alcuni di loro a considerare di posticipare i progetti di interconnessione". Mentre parallelamente, “le crescenti minacce alle infrastrutture sottomarine critiche sottolineano l'imperativo di sicurezza per sviluppare e proteggere le nostre reti”

Di fronte a un contesto di questo tipo, l'Ue deve abbassare i prezzi dell'energia. “Ciò è diventato imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate”, ha affermato Draghi, specificando che "si stima che il consumo di energia dei data center in Europa sarà più che triplicato entro la fine del decennio”. Contestualmente, appare “sempre più chiaro che la decarbonizzazione stessa può essere sostenibile solo se i suoi benefici diventano evidenti".

Oltre al fatto che l'Ue non è un importante produttore di gas naturale, il rapporto Draghi identifica una serie di ragioni per gli alti prezzi dell'energia in Europa. Vale a dire il coordinamento limitato dell'approvvigionamento di gas naturale, il funzionamento del mercato energetico, i ritardi nell'installazione di capacità rinnovabili, reti sottosviluppate, elevata tassazione e margini finanziari: “Questi e altri fattori sono tutti di nostra creazione e pertanto possono essere cambiati se abbiamo la volontà di farlo”.

Allo stesso tempo, però “dobbiamo garantire parità di condizioni per il nostro innovativo settore delle tecnologie pulite in modo che possa beneficiare delle opportunità della transizione.” In poche parole: “La decarbonizzazione non può significare che perdiamo posti di lavoro verdi, perchè le aziende nei paesi con più sostegno statale possono conquistare quote di mercato”

 

Intelligenza artificiale e i ritardi dell'Ue

In tema di innovazione, “il ritmo dei progressi nell'intelligenza artificiale ha accelerato rapidamente” e “abbiamo visto modelli di frontiera raggiungere quasi il 90 per cento di accuratezza nei test di riferimento per il ragionamento scientifico, superando i punteggi degli esperti umani”. Ma nel corso del tempo “abbiamo anche visto modelli diventare molto più efficienti, con costi di formazione in calo di un fattore dieci” oltre a costi di inferenza (ossia i costi inerenti allo sviluppo della capacità dei modelli di AI di elaborare e rispondere a informazioni mai ricevute prima, ndr) “di un fattore superiore a venti”. 

Per adesso, ha proseguito l'ex premier, “la maggior parte dei progressi avviene ancora al di fuori dell'Europa”. Nel dettaglio, “otto degli attuali dieci grandi modelli linguistici sono stati sviluppati negli Stati Uniti, mentre gli altri due provengono dalla Cina”. Di conseguenza, per ogni giorno di ritardo che l'Europa accumula nei confronti dell'intelligenza artificiale “la frontiera tecnologica si allontana da noi”, ma, d'altro canto, cadono i costi. E ciò, ha aggiunto, “è anche un'opportunità per noi per recuperare più velocemente”

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Il Foglio

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