Dopo il sindaco di New York, arriva la sinistra «Falce e Corano»

  • Postato il 1 dicembre 2025
  • Di Panorama
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Una bandierina palestinese stilizzata con il titolo «End of genocide». Una barchetta da Flotilla con due enormi occhi disegnati sullo scafo come a dire: vi teniamo d’occhio. Pentole vuote con la scritta «È fame deliberata». Sono alcune delle opere dell’illustratrice più di moda a Manhattan, non esattamente equidistante riguardo al tema unico; è di origine siriana, ha 28 anni e convinzioni radicali sul destino di Israele. Ma, soprattutto, Rama Duwaij è la donna dalla quale tutte le sere torna a casa il nuovo sindaco di New York. «Mi manda Mamdani, sono sua moglie». Lui condanna l’antisemitismo dopo aver conquistato nel nome di Maometto la metropoli mondiale con la comunità ebraica più numerosa fuori da Israele. Lei scandisce «Globalize intifada» nei cortei Pro Pal. Non è solo una famiglia, è un laboratorio. Dimostra come il socialismo musulmano prende il potere e diventa un fattore politico nell’Occidente annoiato, in crisi di identità e preda dei sensi di colpa.

Le tre regole del nuovo socialismo islamico

Per diventare vincente la formula necessita di tre caratteristiche. 1) Deve riproporre vecchi capisaldi dell’egualitarismo demagogico novecentesco: scuole, trasporti e pasti gratis, il disprezzo per i ricchi, il grande abbraccio ai migranti di ogni genere. 2) Deve essere rappresentata da giovani dell’upper class che richiamano il globalismo progressista da happy hours (Mamdani è figlio della regista Mira Nair, praticamente un Carlo Calenda che ce l’ha fatta) e si mostrano interessati a difendere le nuove generazioni a basso reddito. 3) Deve dissimulare sotto una patina di laicismo la matrice religiosa. Non per niente lady Mamdani si mostra in minigonna, pantaloncini corti, capello sbarazzino e pose da Instagram a labbro turgido, con un messaggio esplicito: dimenticatevi i burqa, nessun estremismo, facciamo parte del sistema. La grande illusione sta funzionando.

Il voto ebraico e le inquietudini

Come rivela un exit poll di Cnn, confermato dall’Associated Press, anche il 33 per cento degli ebrei di New York (66 per cento dei giovani) ha votato per Mamdani. Vale a dire per colui che ha definito i bombardamenti di Gaza un genocidio e non ha mai preso le distanze dalla piattaforma Bds («boicottaggio, definanziamento, sanzioni» allo Stato di Israele). Tutto ciò non preoccupa i miliardari di Wall Street, anche perché il finanziatore numero uno del «muslim-dem» è pur sempre George Soros, ma toglie il sonno all’Anti defamation league, l’associazione in difesa degli ebrei, che ha creato un «Mamdani Monitor» per controllarne politiche e nomine. Il presidente Jonathan Greenblatt ha tuonato: «Ci aspettiamo che il sindaco della città con la più grande popolazione ebraica al mondo si schieri contro l’antisemitismo in tutte le sue forme».

Il caso Safran Foer

Il senso della diffidenza sta tutto nella testimonianza dello scrittore ebreo Jonathan Safran Foer, autore del capolavoro sull’Olocausto Ogni cosa è illuminata, che ha rivelato: «Ero andato al seggio per votare Mamdani ma non ce l’ho fatta, ho lasciato la scheda in bianco». Troppe ambiguità in quell’urna, troppi rischi che dietro il sol dell’avvenire ci sia la Mecca, ci siano i miliardi degli sceicchi, ci siano in definitiva gli imam.

Radici storiche del socialismo islamico

Il socialismo islamico non è una novità. Lo teorizzava il libro verde di Muhammar Gheddafi in Libia, Al Fatah in Palestina, Saddam Hussein in Iraq, Bashar Al Assad in Siria, Ben Alì in Tunisia. Tutti autocrati, ad essere gentili. Il socialismo islamico non è solo una suggestione newyorchese ma lentamente prende piede nel partito democratico messo all’angolo da Donald Trump, copre l’estrema sinistra, piace a Barack Obama e si fonde con il radicalismo sociale. Mescola serenamente ideologia e costo della vita, dal prezzo degli affitti all’insalata, in un minestrone laicista che affascina il movimentismo post-liceale destabilizzato dal declino del woke.

Il laboratorio Minneapolis

Un esempio è Minneapolis, pieno Midwest, dove – una settimana fa – il senatore somalo e musulmano Omar Fateh è arrivato a un passo dallo scalzare il sindaco Jacob Frey, democratico moderato, con il supporto dei sindacati e della sinistra. Alla fine ha perso ma ha sorpreso per la sua trasversalità: lo slogan «Non è giusto che un lavoratore a tempo pieno debba scegliere fra l’affitto e la spesa» è stato pronunciato anche in italiano per dragare voti cattolici di quella comunità. Poiché ogni tendenza americana finisce per sbarcare in Normandia e ad Anzio, è importante inquadrare un fenomeno che sta prendendo piede anche nel vecchio continente con un sistema subdolo che va oltre Michel Houellebecq.

Dalla finzione alla realtà: Houellebecq e l’Europa

Nel libro Sottomissione (2015) lo scrittore francese teorizzava l’ascesa all’Assemblée Nationale di un partito islamico che in cambio dell’appoggio alla maggioranza di sinistra chiedeva due ministeri: quello della Famiglia e quello dell’Istruzione, per pianificare l’indottrinamento islamico delle nuove generazioni. Tutto questo nel totale disinteresse dei progressisti, felici di considerarsi iper laici, mondialisti e di incassare le laute donazioni in arrivo dai Paesi del Golfo. Dieci anni dopo, i politici islamici non agiscono ai margini, in sigle loro che non hanno chances di affermarsi, ma scalano partiti tradizionali, già strutturati, conquistandoli dall’interno. Non accade ancora in Italia, dove l’esperimento in Avs del gatto con gli stivali Aboubakar Soumahoro si è infranto contro le borse Vuitton di moglie e suocera.

Il caso tedesco

Accade invece in Germania, dove numerosi candidati musulmani (in rappresentanza di 5 milioni di immigrati) partecipano alle elezioni sotto le insegne di Spd, Linke, Verdi. E creano problemi nel conciliare l’identità religiosa con i valori costituzionali e la negazione dell’antisemitismo. La situazione tedesca è particolarmente delicata: l’associazione di Amburgo Muslim Interaktiv, che si presentava come gruppo culturale e politico, è stata messa al bando perché sotto sotto teorizzava la creazione di un califfato in Germania.

Regno Unito: alleanze rosso-coraniche

In Gran Bretagna è in atto un esperimento che coinvolge la sinistra radicale, con la sutura fra il vecchio arnese post-marxista Jeremy Corbyn (76 anni) e la giovane parlamentare Zarah Sultana (23), pakistana e musulmana, nota per avere scritto alcuni anni fa che avrebbe festeggiato «la morte di Tony Blair, Benjamin Netanyahu e George W. Bush». Usciti dal partito Laburista, Corbyn e Sultana hanno varato un nuovo soggetto politico perfettamente islamico-comunista: Your Party. Per ora non sono d’accordo su quasi nulla: quando lei ha lanciato la campagna di iscrizione sui social, lui ha mandato un avviso a tutti dicendo di cancellare i pagamenti perché la membership non era autorizzata. Corbyn parla di Karl Marx e working class, Sultana di Banksy e pro Pal. Un punto debole riguarda il mondo Lgbtq+: il guru marxista glissa, Sultana è fortemente transofila. E Adnan Hussein, deputato di Blackburn dalle idee tradizionali, ha già minacciato una scissione della scissione. Unico punto di convergenza: il testimonial, Brian Eno.

Il cortocircuito dei Verdi

Lo hanno scippato all’ultimo Frankenstein nato a sinistra: un esperimento rosso-coranico-ebraico messo in piedi da Zack Polanski, 43 anni, nuovo leader dei Verdi con l’85 per cento dei consensi. Incluso nella lista di Time fra i 100 più influenti dell’anno, ha annunciato che si candiderà alle prossime elezioni e come prima mossa ha nominato suo vice – lui ebreo – Mothin Alì, musulmano, noto per aver scandito su TikTok «Allahu Akhbar» dopo il 7 ottobre e per aver detto che gli israeliani massacrati «non erano vittime ma occupanti». Un corto circuito in piena regola. E chi critica è un islamofobo, sistema molto in voga sul pianeta liberal.

La chiosa su Bin Laden

Povero Bin Laden, per provare a distruggere l’Occidente, invece di abbattere le Torri Gemelle, avrebbe potuto sostenere i candidati giusti del progressismo mondiale. Oggi sarebbe un padre dell’Internazionale socialista, e non avrebbe trascorso gli ultimi anni in un bunker a girare video amatoriali, braccato dai Navy seals.

Autore
Panorama

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