Dopo i manicomi, oggi siamo nelle mani della psico giustizia

  • Postato il 2 giugno 2025
  • Di Panorama
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«Le mie impronte digitali / prese in manicomio / hanno perseguitato le mie mani / come un rantolo che salisse la vena della vita, / quelle impronte digitali dannate sono state registrate in cielo / e vibrano insieme ahimè / alle stelle dell’Orsa Maggiore». Sono versi di Alda Merini, l’immensa poetessa che fu ricoverata coattivamente e che ha – novella Erasmo da Rotterdam – narrato l’elogio della follia. Che la nostra società ha espunto, occultato confondendo la rimozione della sofferenza psichiatrica con la cura. C’è voluto un saggio – il secondo dacché nel primo si è occupato della medicina non convenzionale e dei suoi delicatissimi aspetti giuridici – dell’avvocato Filippo Teglia, che esercita a Foligno in Umbria, è docente a contratto all’Università di Perugia, per squarciare un velo di omertà sul disastro del post-Legge 180. 

È quasi un romanzo che diventa saggio giuridico; con Dalla legge Basaglia al trattamento sanitario obbligatorio (edizioni Giuffrè) Teglia punta il dito contro la «psicogiustizia», che cancella la persona attraverso un sistema che ha tradito le intenzioni del grande psichiatra Franco Basaglia, ispiratore della legge che nel 1978 decretò la chiusura di manicomi con il loro dramma di letti di contenzione.  «L’idea» afferma l’autore «era buona, il risultato, è sotto gli occhi di tutti, disastroso. A quasi mezzo secolo dalla Legge 180, siamo di fronte alla totale assenza di impianto assistenziale e terapeutico, ma si è burocratizzata la psichiatria. Dalle linee guida al Tso, il Trattamento sanitario obbligatorio, si è del tutto cancellato il rapporto medico-paziente e si è scelta la via farmacologica. Oggi il paziente psichiatrico è trasformato in uno zombie a forza di pillole». 

Sul piano giuridico Teglia fa uno scatto in avanti: il Tso è anticostituzionale. «Credo che la prova risieda nel lockdown che è stato un Tso generalizzato, dove la coattività del provvedimento sanitario è passata sopra i diritti individuali. Tutta l’attività di contenimento del Covid è stata un comportamento antigiuridico». Non a caso prima di scrivere questo saggio il legale ha assunto la difesa di centinaia di casi di persone cacciate dal lavoro perché non vaccinate e ha fatto parte del collegio di difesa anche dei portuali di Trieste che non si piegarono all’obbligo vaccinale. «Anche nel caso del Covid si è avuto un approccio esclusivamente farmacologico che discende dalla psicogiustizia» afferma. Un’osservazione che fa dire a Teglia: «La legge Basaglia è un fallimento e il Tso ne è l’evidenza; il trattamento carcerario di chi è affetto da disturbo psichiatrico è del tutto anticostituzionale. Basta rileggersi l’articolo 27 – le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato – e confrontarlo con la realtà carceraria per comprenderlo».Nella prefazione al volume il professor Daniele Trabucco, uno dei massimi costituzionalisti, scrive: «Come ha chiarito la Cassazione le linee guida non sono obblighi giuridici per i medici anche se quest’ultimi spesso le applicano come se lo fossero, trascurando la complessità del paziente, soprattutto in un ambito delicato come quello neuropsichiatrico». Trabucco ragionando di trattamenti sanitari obbligatori e di accertamenti sanitari obbligatori aggiunge che con: «L’ordinanza n. 509/2023 della III sezione della Cassazione si abbatte uno dei fondamenti del diritto sanitario moderno: il consenso informato del paziente ritenuto, in casi di urgenza, non sempre necessario. E qui si apre un problema di ordine costituzionale». Ma tanto, verrebbe da dire, sono matti. 

Già. Ma quanti sono? Non esiste una stima precisa: gli ultimi dati – rapporto Aifa, l’Agenzia del farmaco, del 3 aprile scorso – segnalano circa 850 mila casi psichiatrici ovvero 150 ogni diecimila abitanti adulti con una crescita del 10 per cento solo tra il 2022 e il 2023. Recentissimi «censimenti» fatti su base europea – ne ha diffusamente parlato Daniela Bianco, responsabile Area Healthcare di The European House – Ambrosetti, commentando lo studio Headway che ha indagato la «psiche degli europei» – stimano che «il 20 per cento degli italiani soffra di almeno un disturbo psichico, in particolare ansia e depressione» un dato che supera la media Ue e che è particolarmente allarmante tra gli adolescenti. Almeno la metà dei disturbi mentali si manifesta prima dei 15 anni e l’80 per cento di essi prima dei 18, con prevalenza di ansia (28 per cento), depressione (23 per cento), solitudine, stress e paura cause stimate tutte al 5 per cento di incidenza. 

Lo studio Headway mette in evidenza come i costi diretti e indiretti della sofferenza psichica superano i 600 miliardi di euro, pari al 4 per cento del Pil europeo e che l’aggravamento è dovuto al lockdown con i diversi sistemi sanitari impegnati ad arginare questa «epidemia della mente».  E in Italia che si fa? Pare avere ragione  Teglia quando sostiene che la risposta sia stata solo farmacologica. Il rapporto Aifa dell’aprile scorso segnala che vi è stato un costante incremento (a ritmi del 3 per cento all’anno negli ultimi dieci anni) di ricorso a psicofarmaci con una spesa, nel 2023, di 729 milioni a carico del Servizio sanitario nazionale e di 533 milioni (pari al 14 per cento di tutti i farmaci acquistati) da parte dei cittadini. Il picco di consumo è tra gli adolescenti (siamo a 65 prescrizioni ogni mille). A fronte di questo disagio, nel nostro Paese ci sono 4.286 psichiatri e 2.740 psicologi che operano nelle strutture di salute mentale. Un organico ampiamente insufficiente; le statistiche dicono che gli psichiatri in Italia sono poco più di 12 mila – 17 ogni centomila abitanti ben al di sotto della media europea – e che si hanno 47 dottori specialisti in più ogni mese, ma che non compensano coloro i quali lasciano la professione. 

Da qui muove Teglia per sostenere: «La legge Basaglia ha sostanzialmente fallito perché non c’è stata un’assistenza alternativa, le famiglie dei pazienti spesso sono abbandonate e gestiscono come possono il problema. Se il Tso è la spia del fallimento, la dimostrazione conclamata sono le Rems (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza su cui ha competenza il ministero della Giustizia). Le hanno promosse come alternative all’ospedale psichiatrico giudiziario, erede diretto dei manicomi criminali. In realtà sono luoghi di detenzione dove il paziente-criminale è tenuto in stato di continua sedazione: l’unica via scelta per far fronte al disagio psichico è quella farmacologica».  Le Rems italiane sono 31 e ospitano 577 pazienti (144 stranieri), ma, secondo le stime della Società italiana di psichiatria (Sip), si contano «oltre 700 persone ad alta pericolosità sociale attualmente a piede libero senza contare altre 15 mila in libertà vigilata affidate ai Dipartimenti di salute mentale». La Sip in suo rapporto scrive che questa situazione deriva da «due fattori -chiave: una psichiatrizzazione dei reati, cioè la riattribuzione del mandato di custodia e controllo di persone socialmente pericolose alla psichiatria, e una criminalizzazione delle strutture psichiatriche, ormai sature di autori di reato. Occorre agire con programmi di cura differenziati, erogati in luoghi ad alta sicurezza, serve la riqualificazione delle Rems e serve l’aumento del personale dei dipartimenti di salute mentale». 

Ciò che Teglia denuncia nel suo saggio. «Ho assunto come punto di arrivo il Tso perché nel modo in cui oggi è irrogato – rapporto del medico, convalidato dal sindaco e poi attuato dal magistrato – è una sorta di automatismo giuridico-formale che tra l’altro mette insieme tre istanze diverse dello Stato, ma non affronta minimamente il problema psichiatrico: non prende in considerazione il singolo individuo, non ne valuta la condizione né gli propone una via di uscita. Io sono un ammiratore di Mario Tobino che da psichiatra e scrittore sosteneva: l’oggetto del nostro interesse è l’uomo, il paziente. Oggi è solo un numero da tenere isolato dalla società e controllato con le “goccine”». Il saggio di questo avvocato in prima linea sul fronte del diritto penale è anche un compendio letterario. Come scrive nella postfazione Daniele Cenci, presidente della Corte d’appello di Firenze: «Lo stato della legislazione in tema di disagio psichico rimane insufficiente». Ma per dirla proprio con Tobino, sottolinea Cenci: «I matti sono le ultime persone rimaste veramente libere». Filippo Teglia però constata amaramente che fallita la Basaglia e a causa di rimedi ancor più errati dopo la chiusura dei manicomi, quel 13 maggio 1978, «si è passati dall’essere chiusi in quattro mura all’essere rinchiusi nelle ombre e nelle nebbie della propria mente».  

Autore
Panorama

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