Dopo averlo idolatrato da tecnoguru i progressisti mollano Bezos perché è ricco

  • Postato il 1 luglio 2025
  • Di Panorama
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George Clooney si è sposato a Venezia nel 2014 davanti a 200 invitati, nell’Anam hotel a sette stelle di Palazzo Papadopoli, con puntate aggiuntive al Cipriani. Qualche anno prima, nel 2009, Salma Hayek e François-Henri Pinault hanno festeggiato per tre giorni a Punta della dogana e alla Fenice. E sono solo alcuni dei più famosi tra gli innumerevoli vip e vippetti che hanno scelto di convolare a nozze a Venezia.

Eppure in nessuna di queste occasioni si sono udite le sguaiate polemiche che hanno accompagnato lo sposalizio da nababbo di Jeff Bezos e Lauren Sánchez. Manifestazioni, dichiarazioni indignate di questo e di quello, Tommaso Cacciari – nipote d’arte che, se non fosse parente di Massimo, ignoreremmo tutti volentieri – che si sbraccia per far spostare la cerimonia e per rendere la vita difficile ai wedding planner. E poi ancora i cortei di protesta del comitato No Bezos, i professori e professorini che si stracciano le vesti perché Venezia sarebbe stata svenduta e ridotta a Disneyland. E, come se non bastasse, arriva Angelo Bonelli dei Verdi a tuonare contro il male nel mondo: «Venezia blindata per il matrimonio di Bezos, ma non si parla di frodi fiscali e lavoratori sfruttati. Serve una tassa globale sui super-ricchi», dice.

Sembrano i tempi antichi in cui i militanti comunisti andavano a tirare le uova ai borghesi impellicciati alla prima della Scala. E in effetti pare che le nozze Bezos abbiano gettato benzina sul fuoco dell’antagonismo da barzelletta e abbiano donato nuovo vigore, dopo tanto tempo, all’atavico disprezzo che la sinistra nutre per la ricchezza (la ricchezza degli altri, si intende). Tra una lagna sul fascismo e l’altra, i progressisti sono ben felici di poter cambiare registro almeno per un attimo e di avere l’occasione per prendersela con il perfido riccastro, disprezzandolo come facevano con Silvio Berlusconi.

Intendiamoci: Bezos non è che ci stia troppo simpatico, anzi. E non ci piace molto nemmeno il suo modello di business: Amazon, la sua creatura, è il Moloch del consumo immediato, l’infernale paradiso artificiale del tutto e subito, il gran distruttore di librerie e negozi tradizionali. Per non parlare della vita grama che fanno alcuni lavoratori nei magazzini in cui si impongono tempi disumani.

Ma che cosa c’entri tutto questo con la retorica sul matrimonio del miliardario, sinceramente, ci sfugge. Fra i tanti motivi per cui Bezos si può contestare, di sicuro le nozze sono il più stupido e meno pregnante. Si sposti come diamine vuole, spenda il più possibile, chiami tutte le celebrità del mondo e faccia lavorare paparazzi, cronisti e riviste patinate che ne hanno tanto bisogno. Se si vuole contestare lo spietato capitalista, si lasci stare la sua festicciola e si vada piuttosto a fare un pacchetto di fronte a uno stabilimento Amazon, se proprio necessario.

Il fatto è che tutte queste lacrime versate per il terribile scempio a cui si sottopone Venezia sembrano un po’ esagerate e parecchio ipocrite. Vorremmo, intanto, sapere se tutti gli indignati anticonsumisti apparsi sui giornali non abbiamo mai, davvero, ordinato un pacco o un libro via Amazon (abbiamo seri dubbi a riguardo). Soprattutto, però, ci teniamo a ricordare il fondamentale apporto che i progressisti hanno fornito negli anni alla rivoluzione digitale. Sono stati loro ad alimentarla, loro a idolatrare per primi i guru svalvolati della Silicon Valley. Da Bill Gates a Mark Zuckerberg, li hanno coccolati uno per uno. Matteo Renzi, da segretario del Pd, sosteneva che Jeff Bezos fosse un genio, fece accordi con Amazon per investimenti a Torino e Rieti, addirittura nominò Diego Piacentini, vice presidente dell’azienda, commissario per il digitale. Ebbene, la gran parte di coloro che oggi frignano, dieci anni fa stavano con Renzi e andavano in brodo di giuggiole per Bezos e i fenomeni della tecnologia. Adesso però, visto che i magnati digitali sono per lo più passati con Donald Trump, i sinistrorsi sono furenti contro la tecnodestra e quel capitalismo digitale che fino all’altro ieri esaltavano.

Dice qualcuno: a prescindere dalla politica, non si può accettare che Venezia resti chiusa per compiacere un pagliaccio imbottito di soldi. Può anche darsi che sia vero. Ma non ci risulta di aver sentito polemiche per le vie chiuse durante la visita di re Carlo III d’Inghilterra in Romagna, incontro con Sergio Mattarella incluso. Certo, qualche sacrificio Venezia e i suoi abitanti sono costretti a subirlo a causa del turismo. Ma il presunto sopruso attuato da Bezos non è peggio dell’overtourism quotidiano che molti approvano in silenzio perché porta soldi.

Secondo Repubblica, poi, il matrimonio di Bezos ha generato «un giro d’affari combinato tra 22 e 29 milioni, pari al 50-55% del budget fissato per le nozze, e 1,8 milioni di gettito municipale». A ciò si aggiunge la donazione di tre milioni di euro a beneficio di Corila, Venice international university e Ufficio Unesco voluta dei novelli sposi. Sarà pure volgare, il nostro uomo, ma paga. E finché lo fa in grande quantità e senza sfruttare nessuno, in Italia dovrebbe essere il benvenuto.

Autore
Panorama

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