Dopo Agrigento Capitale, Albergoni lascia anche Gibellina. Parola a Calogero Pumilia

Quando Roberto Albergoni rassegnò le sue dimissioni come direttore della Fondazione Agrigento 2025, la neo presidente Maria Teresa Cucionotta (persona di fiducia del Governatore Schifani, subentrata dopo l’abbandono del prof. Giacomo Minio) commentò seccamente, non dissimulando il nodo di tensioni che evidentemente pesava da tempo: “Quello di Albergoni è un passo indietro che ha tolto dall’imbarazzo il Consiglio di amministrazione dall’assumere un atto più doloroso”. In sintesi, se non fosse andato via lui lo avrebbero cacciato loro.
Oggi Albergoni si aggancia a quell’indizio di ostilità e così motiva la sua ultima decisione: rimettere anche il mandato di direttore artistico di Gibellina Capitale dell’Arte contemporanea 2026. Un altro addio, un altro scossone per il mondo della cultura e della politica siciliane: “Non credo di avere la fiducia del presidente Schifani. Non voglio mettere in difficoltà Gibellina e il suo sindaco, che stimo. Meglio andare via. La mia presenza ormai era considerata fastidiosa”. Così ha commentato sulle colonne di “Repubblica” in un’intervista dello scorso 12 aprile, raccontando finalmente la sua verità. Risentimenti, pressioni, motivazioni personali, delusioni, dinamiche dei fatti. I cieli cupi di Agrigento Capitale e forse il timore di nuove tempeste, guardando a Gibellina. Il sistema Sicilia e un copione che non cambia?

Stella, Gibellina, Pietro Consagra
Stella, Gibellina, Pietro Consagra

Tutti contro tutti. Le dichiarazioni di Albergoni

Albergoni, come l‘ex presidente Minio, è un manager ed economista dei beni culturali: nessun’altra figura competente compare nel board della Fondazione Agrigento 2025, costituita dal Comune di Agrigento, dal Consorzio universitario agrigentino e dal Comune di Lampedusa per rendere esecutivo il progetto di candidatura che lo stesso Albergoni aveva scritto (identico schema dell’edizione palermitana di Manifesta 2017). Cucinotta guida dunque un Cda composto da notabili nominati dalla politica, senza il supporto di ulteriori comitati di intellettuali e uomini di cultura.

Anche a Gibellina il dossier vincitore è frutto delle capacità progettuali di Albergoni con la sua Fondazione MeNo, ma per la costruzione dell’evento, in questo caso, non fu prevista la creazione di una locale fondazione di scopo: al Comune e alla storica Fondazione Orestiadi è affidata la realizzazione dei progetti. “Non voglio rivivere quello che ho vissuto ad Agrigento”, ha aggiunto Albergoni, senza entrare nel dettaglio della situazione gibellinese, ma soffermandosi invece sullo scenario agrigentino, tra “logiche di appartenenza che partono dai politici nazionali, regionali e locali e scendono sempre più giù”, un Cda senza “competenze specifiche”, che avrebbe voluto chiedere agli artisti di pagarsi i viaggi da soli (!), e poi la mancata “condivisione del progetto con la città, con le realtà esistenti” e lo stop, da parte di Cucinotta, all’assunzione di personale per la comunicazione e l’organizzazione (non sappiamo naturalmente con quali motivazioni). Una condizione dunque di “conflittualità autodistruttiva, la guerra di tutti contro tutti”.

A margine di queste nuove, clamorose dimissioni e dei vari giri di poltrone che in questi mesi hanno agitato le acque delle due città siciliane, abbiamo voluto raccogliere l’opinione di un protagonista di spicco del dibattito pubblico. Un uomo che queste vicende le ha seguite da vicino e che ben conosce la Sicilia, nei suoi meccanismi politici, amministrativi, culturali.

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L’On. Calogero Pumilia

Calogero Pumilia, tra politica e cultura

È uno di quei politici colti, lungimiranti, che alle parole visione e militanza assegnano un valore culturale e intellettuale irrinunciabile. Come accadeva un tempo. Come non accade oggi, nella mediocrità progressiva che abita i luoghi del potere, nella combinazione letale tra metodo e demerito per cui il populismo è cifra vincente, l’approssimazione è strada comodamente battuta, l’assenza di idee (non solo di ideali) è cifra comune. 
Calogero Pumilia, siciliano, classe 1936, eletto per la prima volta in Parlamento nel 1972 con la Democrazia Cristiana, amico di vecchia data del Presidente Sergio Mattarella (che lo ha ricevuto di recente al Quirinale), più volte segretario di Stato nei governi Andreotti e Cossiga, poi passato con la Margherita, quindi nel Partito Democratico, è stato membro dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e sindaco della natia Caltabellotta (cittadina in provincia di Agrigento), ricevendo incarichi prestigiosi in ambito civile, tra questi il ruolo di consigliere di Poste Italiane, poi di presidente di Poste.com dal 1999 al 2000.

Ed è proprio nel mondo della cultura che ha sempre trovato uno spazio parallelo d’azione e osservazione, facendone orizzonte costante. Giornalista pubblicista, è stato redattore e direttore di diverse testate siciliane e ha pubblicato una decina di volumi (l’ultimo, La svolta, con prefazione di Gaetano Savatteri e postfazione di Daniela Thomas, è un racconto di taglio autobiografico uscito nel 2024 per Rubettino). Negli Anni Novanta segretario dello straordinario Festival di Palermo sul Novecento, diretto da Roberto Andò – durante una delle stagioni culturali più esaltanti per Palermo – divenne nel 2015 presidente della Fondazione Orestiadi di Gibellina. Incarico che mantenne per un decennio tondo, rassegnando le dimissioni a gennaio 2025. Proprio nel momento di massimo giubilo, quando si prendeva la rincorsa per prepararsi a un 2026 di festa e di lavoro, con la città incoronata prima Capitale italiana dell’Arte contemporanea. Tre mesi dopo andrà via anche Albergoni.

il presidente mattarella riceve lon calogero pumilia a gennaio 2025 Dopo Agrigento Capitale, Albergoni lascia anche Gibellina. Parola a Calogero Pumilia
Il Presidente Mattarella riceve L’On. Calogero Pumilia a gennaio 2025

Gibellina 2026 e lo scontro interno alle Orestiadi

Onorevole, lei si era dimesso a gennaio dal ruolo di Presidente della Fondazione Orestiadi, perché – parole sue – si stava “trasformando in rissa un’opportunità”: troppi “appetiti”, troppe “ambizioni personali”. Cosa era accaduto nel concreto?
Le incomprensioni tra me e alcuni componenti del CdA della Fondazione, interrompendo un lunghissimo periodo durato quasi dieci anni – nel corso dei quali non c’era mai stato alcun elemento di contrasto – sono emerse immediatamente dopo la proclamazione di Gibellina prima Capitale italiana dell’Arte contemporanea. In quel momento si sono evidenziati malumori che serpeggiavano, per la verità, da qualche mese e si sono saldati con l’emergere di ambizioni personali, della volontà quasi patrimoniale di riappropriarsi della titolarità della Fondazione e di occupare il posto migliore per essere inquadrati dalle videocamere dei mezzi di comunicazione.

Su quali temi verteva lo scontro?
La diversità delle opinioni derivava dal fatto che io avevo portato avanti, con l’unanime consenso del CdA, una visione della Fondazione basata sul mantenimento delle radici a Gibellina ma anche sull’espansione della nostra presenza in altri territori, per “spandere”, come diceva Ludovico Corrao, “i semi della cultura”. In questa direzione si era ottenuta la presenza a Palermo e avevamo aperto la sede ad Agrigento, presso le Fabbriche Chiaramontane. A maggior ragione in fatto di arte contemporanea non si può che pensare in termini di futuro, sperimentazione, apertura.
Viceversa, alcuni immaginavano che tutto dovesse rimanere esclusivamente all’interno della realtà di Gibellina, che ci dovesse essere una coincidenza precisa tra gli interessi dello sponsor produttore di vini, che in quella realtà esercita un potere totalizzante, e l’attività della Fondazione, e che l’amministrazione comunale e il sindaco, sostenuti dalla Fondazione MeNo, dovessero avere quasi l’esclusiva della gestione di Capitale 2026.

In sostanza lei premeva per aprire verso l’esterno e insieme per mantenere forte il ruolo delle Orestiadi nel progetto Capitale 2026. C’è stata una frattura decisiva?
Sì, la scintilla finale si è accesa quando ho riunito a Gibellina i rappresentanti di alcune realtà dell’arte contemporanea in Sicilia, in previsione di una più larga riunione, con l’obiettivo di procedere coinvolgendo tutte le realtà siciliane, in collegamento con le presenze più rilevanti in campo nazionale. La convergenza di queste diverse spinte ha portato a un contrasto che avrei potuto fronteggiare rimanendo al mio posto; ma ho preferito evitare di immiserirmi in uno scontro per me del tutto improprio e quindi mi sono dimesso. Gibellina rischia così di diventare capitale belicina anziché italiana dell’arte contemporanea.

Oggi si dimette anche Albergoni, perché ritiene di non essere gradito a Schifani. Come legge questa mossa?
Albergoni dichiara di non volersi occupare della realizzazione del progetto Portaci il futuro, da lui stesso redatto, per contrasti con il Presidente della Regione che evidentemente mi restano del tutto ignoti. Posso avanzare una riserva, un pensar male. Albergoni – che è in ottimi rapporti con la Professoressa Corrao, subentrata dopo di me alla Presidenza – si tira indietro, ma magari la sua squadra, con la Fondazione MeNo, sarà protagonista lo stesso. In un contesto in cui, a discapito dell’autorevolezza delle Orestiadi, si manterrà un’interlocuzione più accomodante con il Comune, il quale avrà piena titolarità sull’evento. E nessuno, immagino, si preoccuperà di rivendicare il fatto che la scelta del Governo di premiare Gibellina si è fondata sull’attività delle Orestiadi stesse, sulla loro storia e su ciò che si è fatto nel corso degli ultimi dieci anni per preservarle dall’estinzione, risanarle finanziariamente e rilanciarle. Una spinta al coagulo di queste ambizioni è venuta anche da una situazione di tranquillità finanziaria, essendo io riuscito, proprio nel 2024, a raddoppiare il budget previsto dalla legge finanziaria della Regione. L’arte contemporanea a Gibellina ha coinciso ovviamente con l’attività della Fondazione Orestiadi.

agrigento valle dei templi Dopo Agrigento Capitale, Albergoni lascia anche Gibellina. Parola a Calogero Pumilia
Agrigento, Valle dei Templi

Agrigento 2025, il fallimento della politica

Ad Agrigento invece cosa è accaduto? Incapacità e ingerenza della politica, gestione avida o maldestra del potere, come si è detto?
Ad Agrigento vi è stata la prova della totale insipienza e inadeguatezza della classe locale, che ha immaginato la scelta di Capitale della cultura come un’opportunità per consolidare e allargare il proprio potere. Senza nessuna visione, nessuna idea della cultura e delle proposte da mettere in campo, la scelta del governo è diventato il pretesto per un conflitto tra i partiti che reggono l’amministrazione comunale. Dopo più di un anno di totale inerzia, hanno costituito una Fondazione con persone di fiducia dei singoli partiti, a prescindere dalle attitudini di ciascuno dei componenti.

E da qui una serie di inefficienze fatali…
Esattamente. Si è accumulato un notevole ritardo nella nomina del direttore generale, non sono stati promulgati i regolamenti per rendere possibile la partecipazione delle associazioni locali nella gestione della Fondazione e per favorire la presenza di capitali privati. Non sono stati emanati i bandi per consentire la partecipazione delle realtà culturali agrigentine. Non è stato costituito, come più volte peraltro avevo suggerito al sindaco, un comitato scientifico che affiancasse l’attività della Fondazione e fosse in grado di esaminare con competenza i progetti e le modalità della loro attuazione. Non è stato approvato il bilancio entro il dicembre del 2024 per consentire l’avvio delle manifestazioni all’inizio del 2025. Non si è trovata una sede idonea con la bizzarra conseguenza di dovere utilizzare alcune stanze della Provincia. Non si è scelto un adeguato strumento di comunicazione, non è stato incaricato un ufficio stampa.

Un disastro, su tutti i fronti. Con un ruolo della Regione sempre più netto.
Poco alla volta la città di Agrigento è stata commissariata di fatto: tutto è stato avocato dalla Regione, che ha sostituito il presidente della Fondazione con una ex prefetta scelta da Schifani.
Alla fine, andato via Albergoni, si è scelto un nuovo direttore generale (Giuseppe Parello, direttore del Museo Salinas, N.d.R.) che di sicuro, per la propria cultura, per esperienza anche di natura organizzativa e amministrativa, dà affidamento, non potendo tuttavia recuperare il tempo perduto e rappresentando un ulteriore tassello della avocazione di ciò che resta del programma originario da parte della Regione.
Succede così che quanto sarà possibile realizzare nei mesi che restano sarà fatto con la totale esclusione dell’amministrazione comunale, della stessa città e dei comuni, che pure erano stati individuati come sedi di alcune iniziative.

A mancare è anche il supporto dei privati, strategico per più ragioni.
Ad Agrigento sicuramente è così, almeno finora, ed è prevedibile che la situazione resti tale. A Gibellina bisognerà vedere. Certo non è incoraggiante per nessun privato mettere propri capitali in realtà rissose e male organizzate.

Roberto Albergoni davanti alla Montagna di Sale di Paladino
Roberto Albergoni davanti alla Montagna di Sale di Paladino

In questa girandola di abbandoni, nomine, tensioni, l’interesse politico c’entra in alcuni casi, in altri meno. Ma resta un dato: il bene comune spesso, in Sicilia, viene sacrificato.
Le doppie dimissioni di Albergoni, per ciò che egli stesso dichiara, hanno evidenti motivazioni politiche. Sulle mie dimissioni la politica in quanto tale non ha avuto un ruolo preminente. Al di là delle affinità, c’è comunque un dato che mi amareggia tantissimo: dover prendere atto che la rissosità, l’incapacità di far prevalere sulle piccole ambizioni personali il raggiungimento degli obiettivi con adeguate risorse ed energie, finiscono per vanificare le migliori occasioni, in particolare sul versante della cultura.
Non è certo un bel proporsi all’opinione pubblica nazionale – e ciò che hanno scritto i mezzi di informazione in questi mesi lo dimostra – dopo avere ottenuto due nomine, Capitale della Cultura e Capitale dell’Arte contemporanea, in due anni successivi. Agrigento e Gibellina avrebbero dovuto, ciascuna per la propria parte, agire da staffetta, coordinare materialmente e idealmente le proprie attività. Viceversa, l’una ha quasi esaurito tutto, vanificando il programma originario e colpendo anzi l’immagine della stessa città, l’altra inizia con uno scontro e una volontà di chiusura.

Con Albergoni, dopo le sue dimissioni da Agrigento, lei era stato molto severo.
Credo di avere risposto su questo punto, posso solo aggiungere che risulta del tutto improprio il tentativo di attribuire ad altri le responsabilità di ciò che è accaduto, responsabilità che coinvolgono pienamente Albergoni. Egli esce di scena dopo avere peraltro messo al sicuro i progetti della sua fondazione.

La Fondazione MeNo di Albergoni costruisce questi dossier vincenti, ma è anche l’ente che gestisce i progetti. C’è un po’ di confusione in questa matrioska di fondazioni ed enti locali, che finiscono anche con l’impantanarsi?
Alla Fondazione MeNo va riconosciuto il merito di avere elaborato i progetti di Palermo, di Agrigento e di Gibellina; tuttavia, ciascuno dovrebbe fare il mestiere che conosce. Un conto è stilare degli ottimi progetti, un conto è guidare le strutture deputate a realizzarli. Resta la domanda sul possibile conflitto di interessi quando i due ruoli si sovrappongono.

Si sono dimessi anche Minio e Mangiacavallo, presidenti della Fondazione Agrigento 2025 e del Consorzio Universitario. Due uomini di cultura. Uno parlò di “ragioni politiche”, l’altro disse “qualcuno aveva deciso di allontanarci”.
Mangiacavallo ha avuto il merito di coordinare tutte le realtà della città e del territorio che hanno dato il loro contributo alla formulazione del progetto. Poi, per ricompensa, è stato estromesso.

biblioteca siculo araba del museo delle trame mediterranee di gibellina in mostra presso le fabbriche chiaramontane di agrigento Dopo Agrigento Capitale, Albergoni lascia anche Gibellina. Parola a Calogero Pumilia
Biblioteca siculo-araba del Museo delle Trame mediterranee di Gibellina, mostra presso Le Fabbriche Chiaramontane di Agrigento


Calogero Pumilia: la Sicilia, tra speranze e declino

Nelle ex Fabbriche Chiaramontane di Agrigento, chiuse nel 2017 dopo circa 15 anni di attività espositive, la Fondazione Orestiadi si è insediata a fine 2023, riqualificandole e inaugurando un suo avamposto per mostre ed eventi culturali di alto profilo. Fu un’altra sua intuizione nel segno dell’apertura.
Le Fabbriche Chiaramontane sono state la sede di un’offerta culturale nel settore del contemporaneo nel centro della città di Agrigento. Hanno operato in collaborazione e col sostegno finanziario dell’Ente Parco per mettere insieme due realtà fra loro estremamente diverse e con l’obiettivo di implementare la cultura nella città dei Templi. Per poco più di un anno, con mostre, concerti, dibattiti, presentazione di libri, rappresentazioni teatrali, siamo stati un importante punto di riferimento per gli agrigentini e i visitatori, avvalendoci della direzione di Beniamino Biondi, una delle migliori espressioni della cultura non solo agrigentina. Abbiamo cercato di portare avanti un programma che non fosse la meccanica riproposizione di quello di Gibellina ma che a quella realtà si richiamasse, essendone espressione e sentinella. Tutte le scelte sono state frutto non del mio arbitrio ma dell’unanime concorso degli organi della Fondazione, a partire dalla professoressa Corrao e dal comitato scientifico.

E poi cosa è accaduto? Perché le Orestiadi hanno mollato dopo le sue dimissioni?
Poi, in modo del tutto incomprensibile, si è voluto abbandonare uno spazio culturale proprio quando ad Agrigento doveva partire il progetto di Capitale della Cultura e alla vigilia di Gibellina Capitale dell’arte. Una scelta dettata da una banale e del tutto inventata “lista della spesa”, ignorando che l’attività delle Fabbriche era ampiamente coperta dal punto di vista finanziario e che realtà come le Orestiadi dovrebbero essere sempre indotte a donare, restituire, trasformare il patrimonio che hanno accumulato in decenni. È stata assunta una decisione del tutto in contrasto con la visione e l’azione di Ludovico Corrao.

Che futuro intravede per Gibellina Capitale 2026?
A rischio di apparire ipocrita, mi auguro il successo di Gibellina Capitale italiana dell’arte contemporanea. Per quindici anni, prima come segretario generale e poi come presidente, ho gestito, curato e rilanciato quella realtà, che era stata immaginata e realizzata da Corrao e che in notevole misura ritengo anche una mia creatura. Al di là dello sfregio personale, non posso auspicare il fallimento di un’occasione che dovrebbe avere come protagonista principale una delle più importanti istituzioni culturali della Sicilia e che mantiene il proprio valore al di là di chi temporaneamente la guida e degli scontri attivati da questioni banali.

Di stagioni politiche e culturali ne ha attraversate molte. Più in generale, con che occhi guarda la Sicilia oggi? È davvero destinata a una gestione della cultura approssimativa, mediocre? Una cultura usata spesso per scopi clientelari, dinamiche tra partiti, affermazioni personali. Come invertire questa drammatica coazione a ripetere?
Io non so se esista una via per invertire tutto ciò che di negativo viene fuori, e non solo nel settore della cultura. Posso non coltivare previsioni molto rosee e tuttavia resto fortemente impegnato perché contro ogni speranza prevalga la speranza di un vero rinnovamento della politica siciliana e del ruolo della cultura nella nostra terra.

Helga Marsala

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L’articolo "Dopo Agrigento Capitale, Albergoni lascia anche Gibellina. Parola a Calogero Pumilia" è apparso per la prima volta su Artribune®.

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