“Dopo 30 anni tra colpe, dolore e processi ho deciso lasciare la mia carriera da avvocato e fare la stilista. In tribunale cercavo giustizia, ora aiuto le donne a piacersi di nuovo”. La storia di Marina “Amelia” Acconci

  • Postato il 8 novembre 2025
  • Moda E Stile
  • Di Il Fatto Quotidiano
  • 1 Visualizzazioni

“Ti scrivo non solo per confermarti la mia amicizia e il mio bisogno di sentirti vicina, ma soprattutto perché sempre più spesso penso a te, al tuo saper fare, sempre silente, al tuo prenderti cura di chi necessita di te, al tuo esserci sempre”. Marina ‘Amelia’ Acconci, fondatrice del brand di abbigliamento Amélie nel 2015, ci fa dono di un libricino di poesie e scritti a una donna inventata, prima di spiegarci perché, da avvocata penalista, è diventata direttrice creativa del marchio che oggi conta 60 boutique monomarca nelle principali città italiane.

Un cambiamento radicale, una virata secca, una scelta inusuale dopo decenni di esperienza sul territorio ligure in cui ha seguito casi di maltrattamento, abusi, persino di pedofilia. Dal penale alla moda, a prima vista non sembra una scelta consequenziale. Anzi, stupisce per il contrasto fra mondi apparentemente distanti. Uno è fatto di gravità, l’altro di leggerezza. Uno di umiliazione, l’altro di autostima. Eppure, Acconci prova a raccontarci il suo cambiamento di rotta come fosse la cosa più naturale del mondo. Pensato, voluto, elaborato. “Da sempre mi occupo di donne, delle loro storie, del loro modo di raccontarsi al mondo”, rivela. “Quel percorso umano del mio passato, fatto di battaglie condivise, quando ho deciso di cambiare professione e di dedicarmi al mondo femminile da un altro punto di vista, è stato fondamentale”.

Valorizzare le donne come persone reali, abolire le taglie, smetterla di misurare la loro età con i centimetri o con modelli per corpi perfetti, creare modelli adatti a chi non desidera conferme esteriori, c’entra eccome con il suo passato di professionista del foro. “La mia idea di abbigliamento veste una donna normale – chiarisce – quella che vive la quotidianità nel suo anonimato, quella che vorrei si sentisse a proprio agio senza bisogno di cercare plausi negli sguardi altrui”. La sua idea di stile è una carezza a sé stesse sotto forma di giacca, pantalone, camicia, spolverino, abito. Parte da una ricerca profonda e di studio sui tessuti e palette di colori, tagli diversi a seconda delle fisicità. Ed è al contempo sostenibile.

Eliminare le taglie, riproporre colori che si possano abbinare a capi di collezioni precedenti, permette di eliminare lo spreco e agevolare il riutilizzo”, spiega. Nata a Sarzana, dopo trent’anni di cause, aule e palazzi di giustizia, aveva bisogno di provare un’altra strada. “La mediaticità dei processi – ci svela – dal caso di Cogne in avanti, ha tolto a mio avviso quella ritualità e fascino al lavoro che svolgevo con passione e tenacia da anni. Avevo ormai perso il senso della sfida intellettuale. Ma tutta quella umanità condivisa nel mio percorso, soprattutto con e per le donne, rimaneva come un patrimonio prezioso della mia esperienza”.

Così, nel 2010, Marina Acconci decide di cambiare rotta. La famiglia era proprietaria di un immobile inutilizzato e di alcuni terreni vicini all’autostrada. L’avvocata, allora, decide di costruire, con il padre, nel 2012 l’Outlet Village di Brugnato (Cinque Terre). “Volevo dare continuità all’attività di famiglia – racconta – ero l’unica a poterlo fare perché mio padre cominciava ad avere la sua età e i miei due figli non potevano dedicarcisi, uno era a Londra e l’altro era ancora troppo piccolo”. Nell’outlet però, Marina tiene per sé uno dei negozi all’interno del centro commerciale, per capire meglio i meccanismi che stanno dietro le quinte delle vetrine e lanciarsi in un suo personale progetto.

Ma c’era bisogno di un nome. Il suo, oltre a Marina, è Amelia. Da ragazzina scriveva pensieri e parole su un quaderno soprannominato ‘il diario di Amélie’. La scritta a mano, tuttora caratteristica grafica del marchio, era perfetta per esprimere l’idea della collezione: una cosa piccola, senza pretese, femminile, quasi timida. Quali vestiti proporre? Marina Acconci indossa sempre e solo jeans. Allora ci abbina T-shirt personalizzate con applicazioni di tessuti, paillettes, cristalli, scampoli e, come accessori, solo ballerine. Il successo è strepitoso e in pochi giorni gli scaffali si svuotano. La neo stilista intanto incontra un creativo che usa cotone di buona qualità e disegna abiti in taglia unica. Nasce la collaborazione e in tre giorni è di nuovo sold out.

L’inverno successivo arrivano nuove aperture, non solo negli outlet: negozio a Sarzana, Spezia, Genova, Riccione. Per lei è una sorta di test per quel che avverrà dopo. “La vicinanza con le clienti mi ha permesso di capire e migliorare – acconta Acconci – mi sono resa conto della difficoltà che hanno le donne sopra la taglia 42 a parlare di moda e abiti. Tendenzialmente fanno difficoltà ad accettarsi e spesso sono vittime di vestiti che recitano da protagonisti invece di raccontare chi li indossa. Ecco, io voglio ribaltare la questione e permettere a tutte le donne di sentirsi libere”, ribadisce. La taglia unica è fondamentale. “Non è un escamotage per semplificare la produzione ed evitare gli sprechi – spiega – ma il principio su cui si basa Amélie: permettere alle donne di tutte le taglie e di tutte le età di indossare lo stesso vestitino, quello di cui ti sei innamorata al primo sguardo”. Ovviamente ci sono dei trucchi: calcoli matematici, coulisse strategiche, tessuti elastici, analisi del giro manica, fondamentale.

Per la stagione autunno-inverno 2025-26 lo spunto è un giardino segreto delle meraviglie, un French Garden, un luogo immaginario in cui si coltiva bellezza per farla crescere rigogliosa. Nel corso della stagione il racconto si svolge in capitoli, capsule che tracciano un percorso emotivo e creativo. Il tutto ha origine da uno schizzo di un fiore che fa un frutto bellissimo: il lampone artico, detto Marika. Da qui il nome della prima capsule con un cuore rosso. Viene in mente ciò che Acconci rivela su tante storie di donne che ha seguito come avvocata penalista: “Avevano paura della solitudine con sé stesse, perciò a volte non denunciavano”. Fare qualcosa per sé stesse, a cominciare da un vestito che ci fa stare bene, sembra una banalità ma non lo è.

L'articolo “Dopo 30 anni tra colpe, dolore e processi ho deciso lasciare la mia carriera da avvocato e fare la stilista. In tribunale cercavo giustizia, ora aiuto le donne a piacersi di nuovo”. La storia di Marina “Amelia” Acconci proviene da Il Fatto Quotidiano.

Autore
Il Fatto Quotidiano

Potrebbero anche piacerti