Donald Trump e Elon Musk, il divorzio impossibile
- Postato il 2 agosto 2025
- Di Panorama
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No, non è soltanto un dissidio di natura caratteriale. Lo scontro tra Donald Trump ed Elon Musk presenta degli aspetti strutturali decisamente rilevanti, che potrebbero avere delle pesanti ripercussioni per il settore della Difesa statunitense. Ma andiamo con ordine.
Che tra i due si registrasse qualche tensione era emerso già ad aprile, quando il ceo di Tesla, all’epoca ancora a capo del Doge, aveva criticato i dazi promossi dalla Casa Bianca. Lo scontro aperto è tuttavia scoppiato a giugno, quando Musk aveva lanciato bordate contro la legge di spesa, fortemente voluta da Trump: una legge che, a dire del ceo di Tesla, avrebbe aggravato eccessivamente il già cospicuo debito statunitense. Nell’occasione, il magnate andò all’attacco del presidente: ventilò l’ipotesi di sostenere un impeachment ai suoi danni, sostenne che il suo nome fosse presente nei famigerati file di Jeffrey Epstein e non escluse la possibilità di fondare un proprio partito. Trump, neanche a dirlo, replicò duramente, minacciando di stracciare i contratti delle aziende di Musk con gli apparati governativi statunitensi.
La crisi di giugno alla fine rientrò. A ritagliarsi il ruolo di pontieri erano del resto stati non solo alcuni pezzi grossi del Partito repubblicano ma anche figure legate all’establishment finanziario americano, come Bill Ackman. Una tregua, quella tra Trump e Musk, durata tuttavia poche settimane. Sì, perché a luglio, man mano che si avvicinava l’approvazione definitiva della legge di spesa al Congresso, Musk ha ripreso a sparare a palle incatenate contro l’inquilino della Casa Bianca. È tornato a metterlo sotto pressione sui file di Epstein e, soprattutto, ha annunciato ufficialmente la nascita di un proprio partito, chiamato America Party. L’approvazione definitiva della legge non ha fatto che rinfocolare la tensione tra i due, facendo venire al pettine una serie di nodi tutt’altro che irrilevanti. Una delle ragioni strutturali che hanno portato al dissidio risiede innanzitutto nella differente filosofia economica sposata dai litiganti. Musk è un fautore dello Stato minimo: si ispira al presidente argentino Javier Milei e, non a caso, da capo del Doge ha simbolicamente fatto ricorso alla motosega per promuovere i suoi decisi tagli alla spesa pubblica. In tal senso, America Party strizza l’occhio soprattutto alla corrente libertarian del Partito repubblicano: a quei parlamentari cioè che, come il senatore Rand Paul e il deputato Thomas Massie, non solo si sono opposti alla legge di spesa di Trump ma sono anche fautori di un drastico ridimensionamento del governo federale. È sempre in quest’ottica che Musk ha criticato in passato i dazi, fortemente voluti dal presidente americano. Trump, dal canto suo, è sì favorevole a tagliare alcuni capitoli di spesa pubblica, ma non è mai stato un fautore dello Stato minimo. D’altronde, la filosofia improntata al “miniarchismo” non è esattamente agevole nella gestione di un impero come quello americano. Lo stesso ricorso alle tariffe è, per Trump, più una misura legata alla sicurezza nazionale che all’economia in senso stretto.
Un secondo aspetto dello scontro tra il magnate e il presidente riguarda l’auto elettrica. Difendendo la legge di spesa, Trump ha rivendicato di aver promesso in campagna elettorale l’abolizione di quello che lui stesso ha definito l’“obbligo” dei veicoli elettrici. Non solo. Il Dipartimento del Commercio statunitense ha recentemente dichiarato che imporrà dazi antidumping al 93,5 per cento sulla grafite importata dalla Cina. Secondo Bloomberg News, Tesla ha cercato di bloccare il provvedimento: questo perché la grafite è un materiale essenziale per la realizzazione delle batterie. Più in generale, durante la campagna elettorale dell’anno scorso, Trump aveva condotto una vera e propria crociata contro l’auto elettrica, essendo perfettamente a conoscenza dell’ostilità che essa suscitava tra i metalmeccanici di uno Stato chiave come il Michigan.
Tuttavia bisogna fare attenzione. Al netto delle divergenze, Musk e il presidente americano non possono probabilmente permettersi una rottura realmente irreparabile. Il punto vero riguarda infatti proprio il settore della Difesa. Secondo il Washington Post, le aziende di Musk, in vent’anni, avrebbero ricevuto complessivamente 38 miliardi di dollari tra sussidi, prestiti e contratti d’appalto con gli apparati governativi statunitensi: di questa cifra, 22,6 miliardi sarebbero andati a SpaceX, che vanta i maggiori legami con il governo, soprattutto per quanto concerne la Nasa e il Dipartimento della Difesa. Ed è qui che arriviamo al cuore della questione. In definitiva, Musk non può realisticamente fare a meno delle sue connessioni con Pentagono e Nasa, così come Pentagono e Nasa, a loro volta, non possono fare a meno della tecnologia di Musk.
E questo è tanto più vero se consideriamo la crescente competizione geopolitica di Washington nei confronti di Pechino: una competizione che lo stesso Trump ha notoriamente messo al centro della propria agenda politica.
«SpaceX è nota soprattutto per le sue missioni con equipaggio di alto profilo verso la Stazione spaziale internazionale e per il suo ambizioso programma Starship. Ma gli Stati Uniti dipendono sempre più dall’azienda per operazioni spaziali cruciali e talvolta segrete. Questo rapporto è ora messo a repentaglio dalla crescente faida tra il fondatore di SpaceX, Elon Musk, e il presidente Trump» ha sottolineato la National Public Radio a inizio giugno. «La rottura tra Musk e Trump mette in serio pericolo i programmi della Nasa e del Pentagono», riportava in quegli stessi giorni il Washington Post.
In questo quadro, sempre a inizio giugno, la Cnn sottolineava che un divorzio effettivo tra i due sarebbe «complicato», visto che SpaceX «non solo fornisce razzi alla Nasa, ma possiede anche il sistema internet Starlink, fondamentale per il Pentagono e proposto come opzione per migliorare la copertura nelle zone rurali dell’America».
Insomma, gli apparati governativi legati alla Difesa e al settore spaziale sono particolarmente preoccupati per lo scontro in atto tra il presidente e il Ceo di Tesla. E lo sono altrettanto pezzi importanti dell’establishment economico-finanziario americano: il che spiega per quale ragione, a giugno, un finanziere come Ackman si fosse speso per cercare di far riappacificare i due litiganti. Lo stesso responsabile della Casa Bianca per l’Intelligenza artificiale, David Sacks, ha chiesto al ceo di Tesla (di cui è amico) di riconsiderare la sua iniziativa di fondare un nuovo partito. Il nodo, quindi, non è semplicemente di carattere personale ma è di natura sistemica. E attenzione: questa interdipendenza tra Musk e gli apparati potrebbe rivelarsi problematica anche per le sue ambizioni politiche. Come detto, il suo America Party punta a strizzare l’occhio ai libertarian e, forse, a proporre propri candidati alle Midterm del 2026 (sono invece da escludere manovre presidenziali, visto che il Ceo di Tesla, essendo nato in Sudafrica, non è candidabile alla Casa Bianca). Ebbene, nonostante la convergenza contingente sull’opposizione alla legge di spesa voluta da Trump, è tutto da dimostrare che l’alleanza tra Musk e i libertarian alla lunga regga.
Questi ultimi, nella loro crociata contro il big government, hanno infatti due grandi nemici: la Fed e quel Pentagono con cui Musk, lo abbiamo detto, intrattiene stretti legami. Senza contare che, visto il sistema rigidamente bipartitico vigente Oltreatlantico, i “terzi incomodi” non hanno mai avuto vita troppo facile dal punto di vista elettorale negli Stati Uniti. Ecco, chissà che queste considerazioni politiche e le pressioni del “sistema” americano non convincano, alla fine, Trump e Musk a sotterrare l’ascia di guerra.
Sotto questo aspetto, è importante sottolineare che la stessa conversione di Musk sulla via del trumpismo si verificò, tra il 2022 e il 2024, nel più ampio quadro di un riposizionamento politico degli apparati della Difesa statunitense: apparati che, soprattutto dopo la crisi afgana di agosto 2021, erano rimasti profondamente delusi dall’amministrazione Biden e dal Partito democratico.
A livello sistemico, non è probabilmente interesse di nessuno, negli Stati Uniti, che la lite tra il presidente americano e il Ceo di Tesla vada avanti, trasformandosi in una frattura insanabile.
Che poi i due riescano a mettere da parte l’orgoglio e le divergenze di opinione, è un altro discorso. Tuttavia, è stato lo stesso Trump, il 24 luglio, a dichiarare: «Voglio che Elon e tutte le aziende nel nostro Paese prosperino». E ha aggiunto: «Meglio fanno, meglio vanno gli Stati Uniti».