Don Marelli, il mea culpa (tardivo) dell’arcivescovo di Milano: “Abusi commessi da preti ferita inguaribile”

  • Postato il 17 aprile 2025
  • Cronaca
  • Di Il Fatto Quotidiano
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“La nostra Chiesa è ferita, il nostro presbiterio è ferito”. Il mea culpa dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, è arrivato durante l’omelia della messa crismale, la celebrazione eucaristica nella quale vengono benedetti gli oli santi e rinnovate le promesse sacerdotali, presieduta nel Duomo ambrosiano alla presenza di oltre ottocento presbiteri. “Il comportamento scandaloso di alcuni di noi preti – ha affermato il presule – diventa una ferita per tutto il presbiterio, e tutti ne siamo umiliati e in qualche modo avvertiamo che è incrinata la fiducia verso tutti noi. Anche se non ogni comportamento scandaloso, che riguardi il potere, il sesso, l’uso del denaro, è un delitto perseguito dall’ordinamento canonico o civile, è però sempre una ferita per la gente che si aspetta una parola e una vita di Vangelo, è una ferita per tutto il presbiterio, per tutto il clero, per le comunità”.

Don Samuele Marelli – Il riferimento, neanche troppo velato, è alla vicenda di don Samuele Marelli, già vicario della comunità pastorale San Giovanni Paolo II di Seregno e responsabile della pastorale giovanile della stessa cittadina che comprende sei parrocchie, per sette anni responsabile della Fondazione diocesana per gli oratori milanesi. Il sacerdote è al centro di un’inchiesta canonica della Curia ambrosiana per abusi sessuali su minori ed è parallelamente indagato dalla procura di Monza per lo stesso reato. Docce con gli adolescenti che accompagnava nei campi estivi, allusioni sessuali, numerose chat e foto inequivocabili, insulti e umiliazioni: questo è ciò che è già emerso nel processo canonico in primo grado di giudizio del Tribunale ecclesiastico regionale lombardo.

L’inchiesta – La sentenza, prevedibilmente di condanna, secondo quanto trapela dalla Curia ambrosiana, è prevista nelle prossime settimane. L’inchiesta penale invece sta proseguendo con l’ascolto delle presunte vittime – alcune delle quali già ascoltate nell’ambito dell’investigatio praevia – e di testimoni. Un mosaico di difficile composizione in considerazione del ritardo con cui la notizia di reato è arrivato sul tavolo dei pm guidati dal procuratore Claudio Gittardi.

Il mea culpa di Delpini, però, sembra più un tentativo tardivo di correre ai ripari dopo che la vicenda di don Marelli ha creato un vero e proprio choc all’interno dell’arcidiocesi ambrosiana. “La nostra Chiesa – ha affermato il presule – ha messo in atto proposte formative, occasioni di confronto, pubblicazioni di indicazioni per comportamenti corretti e per una vigilanza condivisa. Come può essere che ci siano di quelli che snobbano le proposte, le verifiche, gli inviti a conversione?”.

I ritardi Gli abusi, infatti, erano stati segnalati già a partire dal 2018, ma la pandemia aveva fermato ogni tipo di verifica, consentendo così al sacerdote di continuare ad agire in modo indisturbato. Quando, però, nel febbraio 2024, la Curia ambrosiana ha finalmente dato il via all’investigatio praevia, trovando conferme alle pesantissime accuse, nessuno ha pensato di darne immediata comunicazione alla procura, soprattutto visto il coinvolgimento di minori all’epoca dei fatti. Atti, quelli dell’investigatio praevia, che sono stati inviati al Dicastero per la dottrina della fede, organismo vaticano competente per questi reati, che ha dato subito indicazioni alla Curia ambrosiana di come procedere con il processo canonico vero e proprio.

Cosa dice la legge – Incredibilmente nessun obbligo di denuncia ricade sugli ecclesiastici perché i sacerdoti o i loro superiori non sono pubblici ufficiali per il diritto penale italiano. Paradossalmente insegnanti, medici, notai e anche segretari comunali, per esempio, che sono a conoscenza di abuso o una violenza, sono obbligati dalla legge a denunciare: un prete, pur officiando cerimonie, non è un pubblico ufficiale, come sancito da una sentenza della Cassazione del 2009. Questa non punibilità di chi sapeva e ha potuto ignorare o insabbiare – come avvenuto nei casi dei vescovi citati nell’indagine sulla diocesi di Bolzano e Bressanone – e la storica omertà sui casi di violenza su bambini e bambine, ha impedito l’innesco immediato dell’inchiesta.

L’omelia – “L’abuso commesso da uno di noi preti – ha sottolineato ancora Delpini – è una ferita inguaribile in chi ne è vittima, perché è la smentita e la frantumazione di una fiducia che è diventata confidenza, condivisione, apertura all’intimità più profonda. Ci sono quindi ragioni perché in questo contesto la gente sia incline alla sfiducia, allo scetticismo, alla reazione scandalizzata. E continuiamo a chiederci come sia possibile che uomini consacrati per portare il lieto annuncio della salvezza, diventino motivo di scandalo e diventino un argomento per screditare la Chiesa, i suoi preti, e quasi di conseguenza la parola che viene annunciata. Continuiamo a chiederci come sia possibile. Continuiamo a proporre percorsi di formazione e di prevenzione. Continuiamo a richiamare a comportamenti prudenti, coscienziosi. Continuiamo a restare scandalizzati dalla leggerezza, dalla faciloneria che si autogiustifica, dalla mancanza di percezione del male che si compie verso persone che hanno dato fiducia, verso i confratelli e verso la Chiesa intera. Continuiamo a costatare il danno che ogni abuso rappresenta per le vittime, per le comunità. Continuiamo a prendere coscienza che il prete colpevole o anche semplicemente accusato di un abuso o di un comportamento inappropriato è segnato per tutta la vita”.

Delpini, infine, rivolgendosi ai sacerdoti ambrosiani, ha ricordato che “non siamo perfetti e nessuno mai è sottratto alle tentazioni. Ma voi siete un motivo per avere fiducia perché vi sdegnate per gli scandali, vi arrabbiate per il discredito che ci ferisce, ma avete una riserva inesauribile di generosità, di compassione, di creatività. I motivi di speranza per la nostra Chiesa e per la missione della Chiesa in questo tempo, siete voi, i preti che sono grati per la fraternità presbiterale, che la edificano, che portano i pesi gli uni degli altri, che sanno correggersi e incoraggiarsi a vicenda, che pregano insieme”. E ha concluso: “Siamo santi non perché siamo privi di difetti e di peccati ma perché la santità di Dio continua ad attrarci a sé e a renderci uniti al suo figlio Gesù”.

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