Dietro la morte di Paolo Borsellino spunta l’ombra della massoneria

  • Postato il 27 giugno 2025
  • Di Panorama
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Nell’inchiesta sull’uccisione di Paolo Borsellino e della sua scorta compare anche la massoneria. In modo clamoroso e inaspettato la Procura di Caltanissetta ha ordinato la perquisizione dei luoghi che furono frequentati in vita da Giovanni Tinebra, controverso magistrato che in passato ha coordinato le indagini sulle stragi del 1992 e che è scomparso nel 2017. In particolare i pm, guidati da Salvo De Luca, sono andati alla ricerca di conferme sull’appartenenza di Tinebra a una sorta di loggia coperta a Nicosia, in provincia di Enna, dove il magistrato ha lavorato ininterrottamente dal 1969 al 1992 (ricoprendo anche il ruolo di procuratore dal 1983), prima di essere promosso a capo degli inquirenti di Caltanissetta.

Quello di Tinebra è un nome che collega molti mondi e che in tempi recenti è tornato alla ribalta, nonostante fosse già defunto, perché l’avvocato siciliano Piero Amara lo aveva posto al vertice di una supposta loggia massonica coperta di nome Ungheria. Una storia a cui la Procura di Perugia non ha trovato conferme e per cui Amara è stato ripetutamente denunciato per calunnia, ma che oggi vedrebbe riscontrata quanto meno l’appartenenza di Tinebra alla massoneria.

Occorre, però, precisare che le nuove indagini non hanno come obiettivo Ungheria. Dal decreto di perquisizione, eseguito ieri, si apprende che il procedimento, al momento contro ignoti e che ipotizza i reati di strage e frode in processo con l’aggravante mafiosa, ha ad oggetto «il coinvolgimento di soggetti esterni a Cosa nostra» nella strage di via D’Amelio, «con particolare riferimento al contributo fornito da appartenenti ad associazioni massoniche “coperte”». Questa pista è stata avviata grazie a «un’attenta e approfondita rilettura del complessivo materiale probatorio stratificatosi nei dibattimenti sin qui celebrati».

Ed ecco riaffiorare dalle carte polverose le testimonianze di pentiti come Giovanni Battista Ferrante, il quale attribuì a Totò Riina alcune clamorose affermazioni: «Alludendo alle due stragi che da poco tempo erano state consumate, pronunciò la frase che riporto testualmente: “Se era solo per me non avremmo fatto niente…”». Un’ammissione che sarebbe stata fatta per rispondere alle «doglianze» di Matteo Messina Denaro, collegate alle «conseguenze pregiudizievoli per Cosa nostra che stavano derivando dalla reazione dello Stato successiva alle stragi». Il capo dei capi avrebbe aggiunto: «I massoni vosiru ca si fici chistu». I massoni vollero che si facesse questo. Dalle indagini è emerso, come detto, anche il nome di Tinebra. Scrivono i pm: «L’esame del materiale probatorio emerso nel corso del dibattimento getta certamente delle ombre sull’operato del dottor Giovanni Tinebra all’epoca dei fatti Procuratore della Repubblica di Caltanissetta. In proposito basti pensare all’irrituale e per certi versi inquietante coinvolgimento nelle attività di indagine dei Servizi di sicurezza ed in particolare del dottor Bruno Contrada».

E così, per «comprendere il contesto ambientale in cui si collocò l’ormai accertato depistaggio relativo alle indagini sulla strage di via D’Amelio», i magistrati nisseni hanno ritenuto necessario approfondire l’ipotizzata «appartenenza massonica» di Tinebra «fin da epoca precedente a quella in cui diresse la Procura di Caltanissetta».

I carabinieri del Ros ieri hanno passato al setaccio tre appartamenti nisseni intestati ai due figli del magistrato scomparso e la dimora dell’ultima compagna, in provincia di Catania. Le perquisizioni sono state eseguite per trovare «documentazione idonea a comprovare l’appartenenza» di Tinebra «a logge massoniche» e «l’originale o copia dell’agenda rossa appartenuta in vita al dottor Paolo Borsellino e altra documentazione riguardante tale agenda». Che, però, non è stata trovata. Il nuovo filone d’indagine coinvolge pure l’imprenditore mafioso Antonino Buscemi che è citato anche nell’inchiesta per favoreggiamento che vede indagati gli ex pm palermitani Giuseppe Pignatone e Gioacchino Natoli. Un personaggio, Buscemi, che diventa così il crocevia di due indagini parallele che sino a oggi non si erano mai incrociate. Infatti Buscemi era uno degli imprenditori al centro del dossier mafia e appalti su cui stava lavorando Borsellino poco prima di morire, ma è anche colui che aveva venduto, attraverso la sua società immobiliare, diversi appartamenti alla famiglia di Pignatone e al pm Guido Lo Forte, magistrato, quest’ultimo, che avrebbe poi firmato, insieme con il collega Roberto Scarpinato, la richiesta di archiviazione del filone principale del procedimento sugli affari delle cosche. Compravendite immobiliari che sono finite nel mirino dei pm, convinti che l’inchiesta su Buscemi & c. sia stata dolosamente affossata quando a guidarla erano Pignatone e Natoli.

Durante le indagini i pm hanno acquisito un appunto del 20 luglio 1992 (il giorno dopo l’esplosione dell’autobomba in via D’Amelio) firmato dall’ex capo della Squadra mobile Arnaldo La Barbera, poliziotto sospettato di aver partecipato alla «sistematica attività di depistaggio» delle indagini sulla morte di Borsellino. Nell’appunto si legge: «In data odierna, alle 12, viene consegnato al dottor Tinebra, uno scatolo in cartone contenente una borsa in pelle e un’agenda appartenenti al giudice Borsellino». Nel documento non compare nessuna «sottoscrizione per ricevuta di quanto indicato da parte del dottor Tinebra».

In questo complicato intreccio, per gli inquirenti, la massoneria potrebbe avere svolto un ruolo non secondario. Secondo la Procura nissena sono emersi «concreti indizi circa la presenza di una loggia massonica coperta nella città di Nicosia, di cui avrebbe fatto parte anche il dottor Tinebra». Il suo nome era Victoria e di essa ha parlato Nicola Spinello, figlio di Salvatore, personaggio coinvolto negli anni ’90 in un’importante inchiesta sulle logge della Procura di Napoli. Spinello junior ha confermato l’amicizia tra Tinebra e il genitore, ma ha negato che tra i due ci fossero «rapporti massonici». Eppure il padre, intercettato, aveva detto: «Tinebra è dei nostri anche lui, era della loggia di Nicosia …io naturalmente quando vado la, non vado pubblicamente ad abbracciarlo, perché non voglio comprometterlo».

A Napoli era emerso che il nisseno Spinello, «già al vertice dell’obbedienza massonica di piazza Del Gesù» era «in contatto con esponenti di primissimo livello di Cosa nostra anch’essi appartenenti alla massoneria tra i quali Angelo SiinoPino LipariPino Mandalari». E negli anni delle stragi «aveva in animo di riunire sotto la propria direzione più logge sparse per l’Italia comprese quelle presenti in Sicilia». Al telefono disse: «Io dal 1978 al 1983 andai 32 volte in Sicilia, anche perché io sono di origini siciliane e allora avevo proprio l’impegno inderogabile di cercare di recuperare questa gente». Siino, parlando della commistione massoneria/mafia, ha dato conferma ai magistrati di tale intento: «Spinello mi disse che voleva creare una super loggia massonica segreta nella quale potessero confluire esponenti politici di rilievo, della imprenditoria e della criminalità organizzata in modo da creare rapporti di reciproca convenienza». In un’intercettazione Spinello, parlando del suo progetto con l’ex Gran maestro del Grande Oriente d’Italia Giuliano Di Bernardo, aveva rivelato che a Nicosia esisteva una loggia massonica che al suo interno aveva persone altolocate, in particolare «un personaggio estremamente in auge… che è in una posizione di grande rispetto, di grande giurisdizione». Per i magistrati si tratterebbe proprio di Tinebra.

A riprova dello strapotere di SpinelloSiino ha raccontato quanto gli avrebbe riferito il massone nel settembre del 1990, quando gli venne presentato da uno degli imprenditori coinvolti in mafia e appalti, Francesco Salamone, e da un sindacalista siciliano: «Disse di essere in grado di far trasferire Giovanni Falcone a Roma, aggiungendo che quest’ultimo o se ne andava da Palermo o sarebbe stato ammazzato». Siino avrebbe risposto con rabbia: «Dissi a Spinello di riferire a quelli che volevano uccidere Falcone che, finché c’ero io a Palermo, nessuno mai lo avrebbe ammazzato». Ma poi ha anche ammesso: «Fatto sta che dopo alcuni mesi, verso febbraio del 1991, Falcone effettivamente fu trasferito al ministero (di Grazia e giustizia, presieduto da Claudio Martelli, ndr) ed io rimasi molto meravigliato, anche perché Spinello si vantò con me di essere stato lui ad aver fatto trasferire il giudice Falcone».

Spinello sarebbe stato vicino ai servizi segreti e «ai socialisti ed ai socialdemocratici, amico dell’allora ministro dei Lavori pubblici Nicolazzi».

Tornado a Tinebra, lo storico autista dell’ex magistrato ha fornito ai pm un «importantissimo dettaglio»: «Io non ho mai partecipato o accompagnato Tinebra a riunioni di massoneria. Ma so che si incontrava con persone che si diceva essere massoni». Il riferimento è a un primario e a un viceprimario di Nicosia che avrebbero fatto parte anche di un’associazione, il club Kiwanis, una specie di emanazione non segreta della massoneria, in cui Tinebra avrebbe «rivestito un ruolo di vertice». Di Bernardo, sentito a Trento nel novembre scorso come testimone, ha confermato «i rapporti molto forti tra i club Kiwanis e logge massoniche» e ha aggiunto che «tra gli appartenenti a detti club vi erano anche soggetti massoni».

Il procuratore De Luca ha evidenziato anche le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Gioacchino Pennino, il quale, già nel 1998, aveva parlato della super loggia Terzo Oriente, «struttura sorta sulle ceneri della P2». Essa, al pari della P2, a detta di Pennino, si proponeva «di affiliare tutti coloro di cui non si poteva rendere manifesta l’appartenenza massonica, al fine di creare un organismo capace di gestire il potere al di sopra dei partiti e del governo». A parlare a Pennino di questa organizzazione sarebbero stati principalmente «il medico Giuseppe Lisotta, cugino di Vito Ciancimino, nonché Antonino Schifaudo, i quali esplicitamente gli manifestarono la loro appartenenza al Terzo Oriente, facendogli alcuni nomi di persone affiliate e in particolare: (omissis), il medico Antonino Cinà e l’imprenditore Buscemi». Ed è intorno a quest’ultimo nome che l’inchiesta sul presunto insabbiamento del dossier mafia e appalti e quella sui rapporti tra cosche e massoneria stanno convergendo. Il prosieguo delle indagini ci dirà se si tratta di suggestioni, seppur suffragate da importanti testimonianze, o del vero movente della morte di Paolo Borsellino.

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Panorama

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