Di scena a Mantova gli scatti di Juergen Teller, lo sguardo empatico che al glamour preferisce la verità

  • Postato il 5 settembre 2025
  • Di Panorama
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È stato definito «l’etnologo della moda» per la sua capacità di raccontare il meglio dell’industria creativa dell’abbigliamento con un realismo spesso crudo e senza compromessi, ma anche molto intimo e poetico.

Sulla falsariga degli etnologi dell’Ottocento infatti l’obbiettivo spontaneo di Juergen Teller, servendosi di abiti griffati dai più grandi stilisti e di accessori di lusso sfoggiati da top model di grido e icone internazionali come Björk, Kristen Mc Menamy e Kate Moss, restituisce un affresco coraggioso, iconoclasta e sincero, del caotico magma dei comportamenti umani, quei costumi di cui in modo beffardo svela le sfaccettature più inconsce.

Oggi la Fondazione Sabbioneta Heritage dedica al fotografo tedesco e alla sua provocatoria sintesi visiva del reale Juergen Teller 7 e ½, una suggestiva esposizione, aperta fino al 23 novembre nella Sala degli Specchi e nella Galleria degli Antichi di Palazzo Giardino, maestoso monumento eretto da Vespasiano Gonzaga nella ‘città ideale’ di Sabbioneta, uno scrigno di utopia urbanistica e bellezza rinascimentale dal 2008 considerato, insieme a Mantova, patrimonio culturale dell’Unesco.

L’imponente retrospettiva è attualmente corredata anche da un catalogo edito da Marsilio Arte, svelato in questi giorni a Venezia alla presenza di Charlotte Rampling, musa dei più grandi cineasti nonché soggetto prediletto degli atipici ritratti di Teller.

L’iter della mostra ripercorre segnatamente gli ultimi sette anni della produzione del grande fotografo, anni pregnanti, da lui vissuti nel segno di un profondo rinnovamento creativo reso possibile anche dal sodalizio artistico e affettivo con la moglie Dovile Drizyte che sembra aver vivificato in modo significativo la vena artistica del grande fotografo tedesco. Le foto di Teller, innestate con cura in uno scenografico groviglio di marmi e stucchi, invitano lo spettatore ad aprirsi senza timore e in modo istintivo alla contemplazione disinteressata della bellezza: attraverso installazioni site specific l’artista finisce per appropriarsi in modo creativo dello spazio espositivo.

Di scena a Mantova gli scatti di Juergen Teller, lo sguardo empatico che al glamour preferisce la verità

Curata da Mario Codognato, responsabile di rilevanti concept espositivi fra Napoli e Vienna, la mostra che non manca di mettere in luce anche la grande attrazione di Teller per il nostro paese e le sue eccellenze culinarie, è stata concepita in tandem con l’architetto Federico Fedel con un originale allestimento, una installazione definita dallo stesso Teller «tremenda e senza eguali». Dialogando in particolare con i magnifici soffitti della sala degli specchi dove si staglia con forza l’opera We are building our future together, la disposizione delle foto sfrutta magistralmente – e qui risiede la chicca della mostra – soprattutto la spettacolare prospettiva orizzontale lunga ben 97metri della Galleria degli Antichi come una grande navata, che finisce per risolversi in un efficace nastro narrativo. Qui infatti l’intimità al centro delle foto rivela il suo lato più concettuale e l’opera prende le distanze dalla cornice pur armonizzandosi mirabilmente con essa. In certi casi, come sottolinea anche Codognato nei testi che illustrano il percorso della mostra, sembra quasi che i gesti post industriali di Teller e sua moglie, calati nei panni di due operai stradali a Napoli, anticipino le evoluzioni manieriste degli affreschi mitologici che abbelliscono le sale attigue alla mostra stessa quasi evocando, per citare il curatore, un vero e proprio «cortocircuito semantico». Ma senza mai voler veramente dare spettacolo perché la vita quotidiana, articolata in scene semplici, colorite e mai banali di cui Teller è al contempo attore, regista e spettatore, pur rappresentata in questa chiave così singolare, è agli antipodi della teatralità comunemente intesa.

Lo sguardo dell’artista appare sempre empatico nel senso che non giudica mai i suoi oggetti ma li accoglie in un tempo sospeso che è poi il tempo dell’anima. Non a caso così nel catalogo Teller commenta il senso della mostra: «Abbiamo trascorso insieme, io e Dovile, ogni singolo giorno degli ultimi sette anni e mezzo. Ci siamo sposati, abbiamo messo al mondo nostra figlia Iggy, abbiamo lavorato e fatto tutto insieme, in coppia. Ogni mattina preparo il caffè per noi. […] Ogni mattina mi sveglio con un sorriso sulle labbra, preparo il caffè e inizio a lavorare». Questa ultima tappa lombarda del grande autore tedesco beniamino dei più grandi stilisti, e impegnato negli ultimi due anni in due retrospettive a Parigi e Milano, offre generosamente allo sguardo estraneo del pubblico un album molto privato dell’artista che, alla meticolosa ricerca sull’immagine fashion scandagliata con un’analisi spesso brutale della realtà sociale, alterna momenti squisitamente quotidiani, come per esempio il rito del caffè mattutino, trascorsi nelle mura domestiche o in giro per il mondo con la sua partner, ideatrice insieme al maestro bavarese sia della mostra che del volume d’arte che l’accompagna.

Nel saggio Sabbioneta 7 e ½ Codognato descrive in questi termini la cifra molto speciale dell’immaginario di Teller: «L’ironia – spesso sferzante, a volte commovente – é la chiave di accesso al suo universo, dove ogni posa é una maschera e ogni maschera un piccolo squarcio di verità, dove ogni immagine non sembra mai completarsi in uno scopo o un messaggio davvero finale. Teller non si limita a fotografare: agisce, partecipa, mette in scena. E questo vale anche per 7 ½, dove la scena si sposta su un piano ancora più intimo e politico. In 7 ½ questo sguardo si fa più complesso e riflessivo, quasi mistico».

Ezio Zani, direttore della Fondazione Sabbioneta Heritage, riconosce giustamente in Juergen Teller un «eccezionale artista, libero e visionario, che pone l’uomo, declinato nella moltitudine delle sue espressioni, al centro della propria indagine e della propria visione. Un uomo calato nella storia, nel quotidiano, ripreso con una sincerità graffiante che rifugge ogni costruzione lirica e ripudia qualsiasi tentativo di atteggiamento. Ospitando Juergen Teller, con questo suo personalissimo progetto costruito con un allestimento che non può non lasciare stupefatti, Sabbioneta conferma la sua vocazione di grande ed esclusivo contenitore e palcoscenico della più accreditata arte internazionale». Nel suo costante anteporre in modo destabilizzante la carnalità senza filtri del mondo comune al glamour ineffabile delle celebrità, Juergen Teller ha avviato quella mutazione genetica della fotografia di moda le cui propaggini nell’immaginario delle giovani generazioni sono oggi sotto gli occhi di tutti. E in fondo è proprio questo il destino di tutti gli antesignani.

Non per niente le opere del tedesco segnano fin da tempi non sospetti, meno attenti al normcore e all’inclusione oggi imperanti, una impietosa celebrazione del brutto e dell’imperfezione estetica riprodotti nei più reconditi dettagli attraverso corpi naturali e tutt’altro che tonici, spesso intenti a gesti inediti o folli ma anche nudi e pulsanti come se, per usare le parole di Tracey Emin, l’artista li avesse “appena toccati”. Una disamina oggettiva ma distopica dei fatti e della gente comune mirante a ribaltare in una narrazione aperta e incompiuta tutte le convenzioni iconografiche: il suo apripista nella fotografia del Novecento fu August Sander, il ritrattista della classe operaia tedesca perseguitato da Hitler per le sue immagini ‘schedative’ considerate poco edificanti per la propaganda di regime.

Successivamente, fra gli anni Sessanta e i Novanta, Diane Arbus e Nan Goldin hanno potenziato questa tecnica fotografica, portandola a esiti spiazzanti e imprevedibili. Come e più di altri come lui, Oliviero Toscani in primis, dalle pagine delle riviste di moda più patinate Teller ha saputo umanizzare con accenti volutamente trash e scioccanti, ma anche molto autobiografici e personali, le raffinate creazioni dei più grandi protagonisti dell’industria creativa del fashion, da Vivienne Westwood a Helmut Lang passando per Céline, Marc Jacobs e Missoni fino a Valentino, e la più recente collaborazione con Anthony Vaccarello per Saint Laurent. E così, attraverso i suoi scatti vividi e irriverenti, che sembrano a tratti ‘sputare nel piatto in cui mangia’, il fotografo ha tradotto la moda in ‘dramma borghese’ facendo del suo immediato e istintivo realismo, come pure del suo obbiettivo mosso, sfocato e spesso dissacrante, volto a catturare i difetti anatomici e inesorabilmente interessato ai paradossi del linguaggio comune, un veicolo immersivo, controverso ma onesto, di inequivocabile verità. Verità tanto più urgente ed essenziale nel mondo opaco, caotico e selvaggio in cui viviamo oggi.

Con i suoi scatti rapidi ed estemporanei, realizzati quasi in presa diretta con il mondo che rappresentano così come già era in voga negli anni Novanta su pubblicazioni indipendenti come ‘I-D’, in un certo senso Teller può essere considerato il precursore dell’approccio diretto e veloce dei social media. Un sistema in realtà complesso e a tratti imperscrutabile con un deficit congenito di spontaneità, ideale per filtrare la realtà con un algoritmo che, a differenza dell’artista di Erlangen, è in grado perfino di nebulizzare la percezione umana sempre più protesa a banalizzare tutto, in risposta a un mondo sempre più conflittuale, nichilista e polarizzato che, attraverso le inquietanti derive dell’intelligenza artificiale, ci restituisce una realtà drammaticamente distorta e una bellezza troppo spessa miracolosamente ‘intatta’, quindi fragile.

Non c’è spazio nell’universo di Teller per un tempo che tutto divora e polverizza nell’arrogante e convulso ‘qui e ora’ dei social media e della vertiginosa comunicazione digitale mainstream: sette anni e ½ sono quindi soprattutto alla fine quel tempo interiorizzato su cui dissertavano S.Agostino e Henry Bergson. Un tempo che è soprattutto esperienza privata ed emotiva.

E proprio per il suo costante appello alla verità e alla più turgida e autentica umanità, questa disarmante ed empatica reazione del fotografo alla dimensione artificiale della civiltà occidentale, associata già negli anni Settanta dalla filosofa Susan Sontag alla grottesca “menzogna cosmetica” contemporanea, per certi versi intrinsecamente connaturata alla Moda come arte applicata e fenomeno di costume, appare quanto più attuale e, diciamo pure, indispensabile.

Autore
Panorama

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