Depressione, scoperto un nuovo meccanismo che “spegne” i neuroni della corteccia prefrontale: la ricerca del NICO di Torino

  • Postato il 17 novembre 2025
  • Salute
  • Di Quotidiano Piemontese
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TORINO – Una nuova ricerca del Neuroscience Institute Cavalieri Ottolenghi (NICO) dell’Università di Torino, pubblicata su Scientific Reports, contribuisce a fare luce su uno dei nodi più complessi nella comprensione della depressione: il motivo per cui l’attività di alcune regioni cerebrali chiave si riduce drasticamente nelle persone colpite dal disturbo.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la depressione interessa circa il 5% della popolazione adulta globale ed è oggi una delle principali sfide per la salute pubblica. Nonostante i progressi terapeutici, molte persone non rispondono ai trattamenti disponibili, segno che una parte dei meccanismi biologici alla base della patologia resta ancora da chiarire.

Il focus si sposta: non solo serotonina, ma anche attività neuronale ridotta

Lo studio del NICO propone un cambio di prospettiva importante: i ricercatori hanno osservato che la depressione non dipende soltanto dai tradizionali deficit dei sistemi serotoninergici, ma anche da una riduzione dell’attività dei neuroni nella corteccia prefrontale mediale, area cruciale nella regolazione dell’umore, delle emozioni e della risposta allo stress.

Utilizzando un modello animale basato sullo stress da sconfitta sociale cronica — uno dei protocolli più utilizzati per studiare la depressione — il team ha analizzato cosa accade ai neuroni piramidali dello strato 2/3 della corteccia prefrontale nelle cavie che sviluppano comportamenti “depressivi”.

Neuroni meno eccitabili: la base cellulare della disfunzione

I risultati mostrano che, nelle cavie suscettibili allo stress, questi neuroni diventano meno eccitabili e mostrano un maggiore adattamento della frequenza di scarica. In termini semplici, quando vengono stimolati, faticano a mantenere l’attività elettrica necessaria per elaborare correttamente le informazioni.

«Nelle cavie suscettibili allo stress cronico, i neuroni della corteccia prefrontale perdono parte della loro capacità di rispondere in modo sostenuto agli stimoli eccitatori», spiega Anita Maria Rominto, ricercatrice del NICO e prima autrice dello studio. «Questo deficit potrebbe rappresentare una base cellulare della ridotta attività della corteccia prefrontale osservata nei pazienti con depressione».

Il ruolo dei canali del potassio: un bersaglio terapeutico emergente

Le analisi elettrofisiologiche hanno individuato il responsabile principale di questa ridotta eccitabilità: un’aumentata attività dei canali del potassio (K⁺). Questi canali regolano il ritmo con cui i neuroni si attivano e si disattivano. Nelle cavie stressate, la soglia di attivazione dei neuroni risulta più alta e l’iperpolarizzazione postuma più marcata, rendendo più difficile la generazione di potenziali d’azione.

«Un’iperattività di specifici canali del potassio potrebbe contribuire alla disfunzione della corteccia prefrontale nei disturbi depressivi», aggiungono Filippo Tempia ed Eriola Hoxha, ricercatori del NICO e ultimi autori dello studio. «Comprendere questo meccanismo apre nuove prospettive per terapie che puntino a normalizzare l’attività neuronale».

Stress, vulnerabilità e resilienza: cosa hanno mostrato le cavie

Il modello sperimentale ha messo in evidenza un’ulteriore distinzione significativa: solo le cavie “suscettibili” allo stress cronico hanno mostrato comportamenti di evitamento sociale e alterazioni neuronali. Le cavie “resilienti” — quelle che non sviluppano comportamenti depressivi nonostante l’esposizione allo stress — non hanno mostrato alcun cambiamento nella corteccia prefrontale.

Questo rafforza l’ipotesi che la vulnerabilità biologica individuale giochi un ruolo determinante nello sviluppo della depressione.

Implicazioni cliniche: perché le terapie di stimolazione cerebrale funzionano

La corteccia prefrontale mediale è nota per essere particolarmente coinvolta nei disturbi depressivi. Le tecniche di stimolazione cerebrale non invasiva, come la stimolazione magnetica transcranica (TMS), mostrano da anni un effetto antidepressivo proprio perché potenziano l’attività di quest’area.

Grazie ai nuovi risultati, è ora più chiaro perché queste tecniche siano efficaci: migliorando l’eccitabilità neuronale, compensano il deficit funzionale prodotto dall’iperattività dei canali del potassio.

Lo studio indica inoltre questi canali come possibili nuovi bersagli farmacologici, aprendo la strada allo sviluppo di terapie più precise e potenzialmente più efficaci.

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