Delmastro attacca: “Io condannato da giudici di sinistra”. Tajani: “Sentenza politica”. L’Anm: “Sconcertati, dal governo dichiarazioni gravi”
- Postato il 21 febbraio 2025
- Politica
- Di Il Fatto Quotidiano
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“È un dato di fatto che il collegio fosse fortemente connotato dalla presenza di Md. Le sentenze non si commentano, ma quelle politiche si commentano da sole, e questa lo fa”. In un’intervista al Corriere, il meloniano Andrea Delmastro attacca i giudici del Tribunale di Roma che lo hanno condannato a otto mesi per rivelazione di segreto d’ufficio per aver rivelato a un compagno di partito, Giovanni Donzelli, il contenuto di rapporti riservati della Penitenziaria sui dialoghi in carcere dell’anarchico Alfredo Cospito. Per insinuare la politicizzazione del collegio, il sottosegretario alla Giustizia insiste sulla presunta appartenenza dei suoi componenti a Magistratura democratica, storica corrente di sinistra delle toghe. In realtà l’unico dei tre giudici iscritto a Md è il presidente, Francesco Rugarli (che però non ha mai svolto particolare attività associativa), mentre una dei magistrati a latere, Emilia Conforti, aderisce ad Area, l’altro gruppo progressista, nella cui lista è stata di recente eletta al Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” dell’Associazione nazionale magistrati. Non risulta in alcun modo “correntizzata” invece la terza giudice, Lucia Bruni. Soprattutto, Delmastro omette di precisare che alla “magistratura di sinistra” sarebbe ascrivibile anche Paolo Ielo, il pm che ha chiesto prima la sua archiviazione e poi l’assoluzione, a lungo membro di Md. Per lui, però, il politico ha solo complimenti: “Coraggiosa è stata la Procura. Mi ha colpito il pm quando ha detto che non si spostava di un millimetro e ci metteva la faccia”, dice.
I big del centrodestra intanto continuano a blindare il sottosegretario. Subito dopo la decisione, la premier Giorgia Meloni aveva a sua volta messo in dubbio la buona fede dei giudici, dicendosi “sconcertata” per la condanna: “Mi chiedo se il giudizio sia realmente basato sul merito della questione. Il sottosegretario Delmastro rimane al suo posto”. Il ministro della Giustizia Carlo Nordio, invece, ha subito auspicato una “radicale riforma” della sentenza in Appello, per quanto le motivazioni non siano state ancora pubblicate. Il giorno dopo anche il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, leader di Forza Italia, attacca i magistrati: “Non vedo un grande fondamento giuridico nella sentenza che ha condannato il sottosegretario Delmastro, mi sembra più una scelta politica finalizzata a dare un colpo alla riforma della giustizia. Noi andremo avanti perché va nell’interesse dei cittadini e della stessa magistratura, quindi per me può rimanere al suo posto, sono assolutamente d’accordo con Meloni”. Come reazione politica, al Senato i capigruppo di opposizione hanno scritto al presidente Ignazio La Russa di calendarizzare “quanto prima” il “premier time”, il question time rivolto alla presidente del Consiglio, per parlare, tra l’altro, della “condanna del viceministro Delmastro, con la conseguente consueta e sgrammaticata reazione del governo, ancora una volta pronto a scagliarsi contro la magistratura”.
Alle affermazioni degli esponenti del governo la giunta dell’Anm ha risposto con una dura nota, dal titolo “Per avere un giudice terzo non occorre andare a Berlino”. “Siamo sconcertati nel constatare che ancora una volta il potere esecutivo attacca un giudice per delegittimare una sentenza. Siamo disorientati nel constatare che il ministro della Giustizia auspica la riforma di una sentenza di cui non esiste altro che il dispositivo. Sono dichiarazioni gravi, non consone alle funzioni esercitate, in aperta violazione del principio di separazione dei poteri, che minano la fiducia nelle istituzioni democratiche”, scrive l’organismo di rappresentanza delle toghe. Che ribadisce, alla luce della vicenda, l’infondatezza del mito del giudice “appiattito” sul pm, posto alla base della riforma costituzionale sulla separazione delle carriere: “Per dimostrare l’inutilità della separazione delle carriere, basta osservare la vicenda processuale che si è conclusa con la condanna in primo grado del sottosegretario Delmastro. Alla richiesta di archiviazione del pm un giudice ha ordinato l’imputazione, ed alla richiesta di assoluzione di un pm il Tribunale ha pronunciato condanna. Questo dimostra, come l’Anm sostiene da sempre, che il pm può chiedere l’assoluzione, nonostante la sua carriera non sia separata da quella del giudice, e che il giudice non è succube del pm“.
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